Super Robot [Re]Genesis: La strada verso Pacific Rim

Nascita, storia ed evoluzione dei giganti d'acciaio difensori della Terra che hanno ispirato gli Jaeger di Pacific Rim.

La Terra è sotto attacco. Orde di alieni invasori giungono dallo spazio, antiche civiltà riemergono da dimenticati abissi, mostri da altre dimensioni hanno trovato un varco per spargere il terrore sul mondo.
L'unica speranza per l'umanità è affidata al perfetto connubio tra uomo e macchina: i robot giganti! Colossali macchine da combattimento, armate e corazzate, pilotate da giovani eroi disposti a ogni sacrificio per difendere la razza umana.
Se il canovaccio che avete appena letto vi risulta familiare, vuol dire che anche voi avete assistito all'invasione di anime (cartoni animati giapponesi) robotici, gli stessi da cui Guillermo del Toro ha tratto ispirazione, assieme ai "kaiju movie", per il suo Pacific Rim: un sentito e commosso omaggio, ufficializzato dai ringraziamenti nei credits del film, ad un genere nato mezzo secolo fa e con elementi costitutivi precisi e riconoscibili.
Vediamo insieme, quindi, i momenti salienti della storia dei robottoni e quali sono state le fonti di maggiore ispirazione per gli Jaeger di Del Toro, una storia che parte dalla fine degli anni 50 con un radiocomando.

Un bambino e il suo radiocomando
Nel 1956 l'autore di manga Mitsuteru Yokoyama immagina che, durante la II Guerra Mondiale, uno scienziato giapponese, il dottor Kaneda, stia studiando una super-arma da utilizzare contro gli Alleati. Dopo ventisette tentativi falliti completa il suo capolavoro: il Super robot 28 (Tetsujin 28-go, "Uomo d'acciaio 28"). Si tratta di un enorme automa antropomorfo, dall'aspetto vagamente simile a un medievale cavaliere in armatura, dotato di immensa forza e capace addirittura di volare. Per comandarlo, Kaneda utilizza un radiocomando attraverso il quale è possibile impartire a distanza ordini al robot. Con la guerra ormai finita nuove minacce si profilano per uno stremato Giappone, e prima di morire il professor Kaneda lascia in eredità al figlio Shotaro il possente Tetsujin 28-go. Sarà proprio il ragazzo, detective in erba, a utilizzare il robot come alleato nella sua lotta per la giustizia contro criminali, gangster e scienziati pazzi.
Il manga di Tetsujin 28-go verrà trasformato in serie d'animazione nel 1963 e diventerà uno dei punti di riferimento dell'animazione giapponese, sottoposto a numerosi remake (e restyling grafici) e esportato anche all'estero: negli USA con il nome di Gigantor e anche in Italia, dove è conosciuto come Super Robot 28. Alcuni degli elementi utilizzati da Yokoyama, autore di altri personaggi famosissimi come Giant Robo, Babil II e Sally la maga, sono diventati topoi e punto di partenza per l'evoluzione del genere. In primo luogo il "titanismo": fino a quel momento il robot per eccellenza dell'immaginario nipponico era il piccolo Tetsuwan Atom, il bambino androide creato da Osamu Tezuka.
Con Yokoyama l'automa diventa gigantesco e capace, da solo, di dominare qualunque campo di battaglia. Poi lo scienziato solitario, incarnazione dello spirito moderno e proiettato verso il futuro del nuovo Giappone, che lascia in eredità il robot al giovane protagonista; la possibilità di usare il robot sia come forza del bene che come macchinario diabolico, a seconda di chi lo controlla; la lotta contro il "mostro della settimana" che serviva a tenere vivo l'interesse del pubblico all'interno di una struttura episodica e, infine, il legame emotivo che si instaura tra il pilota e il robot. Ma manca ancora un elemento fondamentale, un'idea geniale nata... per colpa del traffico.

Il Dio Demone.
A chi non è capitato di rimanere bloccati in un ingorgo? Doveva essercene uno bello grosso il giorno in cui il giovane mangaka Go Nagai, che fino a quel momento si era dilettato per lo più con opere comiche d'ambientazione scolastica/boccaccesca, immagina di poter passare -letteralmente- sopra le altre auto grazie ad un robot gigantesco. Nasce così il primo vero super-robot contemporaneo: Mazinga Z. Elaborando l'idea che il robot possa essere, nelle mani del pilota, un demone micidiale o un salvatore dell'umanità, Nagai crea un robot dall'aspetto minaccioso, dotato di armi di spettacolare potenza. Ma, a differenza del Tetsujin, il pilota è dentro il robot, e lo controlla come lo si farebbe con un'auto o una moto. È il 1972 e, anche se Nagai ancora non lo sa, ha appena avuto l'intuizione che lo renderà famoso in tutto il mondo e darà il via a un'interminabile lista di successori.
Mazinger Z è la creazione del professor Juzo Kabuto, un eccentrico quanto geniale scienziato convinto che il mondo dovrà presto fronteggiare l'ambizione del Dottor Hell, suo vecchio collega. Hell ha ritrovato in un'isola del Mar Egeo dei piani lasciati da un'antica e sconosciuta civiltà, progetti che gli consentono di costruire e dare vita a giganteschi mostri meccanici. Kabuto sa che Hell userà questi mostri per conquistare il mondo e così, in segreto, costruisce a sua volta un automa formidabile: dotato dell'inesauribile "energia fotoatomica" e rivestito della straordinaria Superlega Z, creata grazie al miracoloso metallo Japanium, Mazinger Z è a tutti gli effetti un'invincibile fortezza d'acciaio potenziata con armi spettacolari (come il "marchio di fabbrica" Rocket Punch), l'ultimo baluardo dell'umanità contro il male. Ma controllare l'immane potenza del Mazinger Z è impresa difficilissima, e il giovane nipote del professor Kabuto, Koji, dovrà fare uno sforzo sovrumano per imparare a utilizzare Mazinger Z senza provocare danni devastanti.
La lotta tra Koji/Mazinger Z ed il dottor Hell appassionerà a tal punto gli spettatori giapponesi da diventare un fenomeno di culto e dare il via a una serie di sequel in cui si susseguono robot sempre più potenti e storie sempre più complesse: da Mazinger Z a Il grande Mazinga fino al Grendizer, ovvero il celebre e amatissimo, in Italia, Ufo Robot Goldrake. Affiancato dal genio di Ken Ishikawa, Nagai colleziona un successo dopo l'altro.
L'era d'oro dell'animazione robotica è iniziata e gli anime iniziano ad essere trasmessi anche all'estero. In Spagna, in Francia ed in Italia, in particolare, questa nuova ondata di prodotti raggiunge i teleschermi e il pubblico dei più giovani, generando un vero e proprio shock culturale. Questi cartoni animati sono innovativi, originali, lontani anni luce dalle scialbe produzioni americane. Si intuisce subito che qui c'è qualcosa di "diverso" da quello a cui il pubblico era abituato.
Grazie a Go Nagai abbiamo un robot che non solo è gigantesco e invincibile, ma è anche una "diretta emanazione" del corpo del pilota, il quale "indossa" questa sorta di armatura prostetica ed evoca la potenza delle armi grazie a rituali grida di battaglia e che, per contrasto, soffre sulla propria pelle i danni inferti al robot. Uomo e macchina iniziano ad avvicinarsi, a fondersi l'una nell'altro, dando origine a ibridi cyborg Jeeg robot d'acciaio (Kotetsu Jeeg), trasformazioni modulari (Getter Robot), potenziamenti psicofisici (Psycho Armour Govarian).
Con il passare del tempo i robot diventano sempre più grandi e complessi, le trasformazioni si fanno sempre più mirabolanti (e improbabili) e le armi sempre più devastanti e coreografiche, ma rimane evidente l'approccio, un po' ingenuo, super-eroistico alle storie.
Il robot gigante è una "meraviglia unica", il suo eroico sforzo è amplificato dall'essere il solo possibile difensore dell'umanità ed il solo detentore del potere sufficiente a combattere e sconfiggere il "mostro della settimana". Ad aggiungere un po' di sano realismo ci penserà un nuovo tipo di robot. Tutto bianco.

Nessuno ce la fa contro Gundam
Non ci vuole molto perché si faccia strada un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario: la guerra non è "divertente". I personaggi degli anime si trovano coinvolti in conflitti che provocano sofferenza, perdita, morti. Se finora questo elemento narrativo viene utilizzato in maniera marginale o come semplice espediente, l'arrivo di Yoshiyuki Tomino cambia completamente le carte in tavola. Autore complesso e brillante che si è fatto le ossa lavorando per Tezuka, Tomino si fa notare in produzioni come Daitarn 3 e Zambot 3, in cui fonde con sapienza elementi da commedia a affondi drammatici sempre più profondi e spiazzanti.
In Muteki Chojin Zambot 3 (L'invincibile superuomo Zambot 3), in particolare, si inizia ad intravedere una crudezza inedita fino a quel momento. Il protagonista, una ragazzino alquanto arrogante di nome Kappei Jin, fa parte di una famiglia di profughi alieni, rifugiatasi sulla Terra per sfuggire alla furia del malvagio e misterioso Gaizok. Purtroppo Gaizok raggiunge il nostro pianeta e inizia una spietata opera di distruzione, non esitando neppure ad utilizzare ostaggi umani come bombe viventi. Tra la malvagità di Gaizok e l'odio degli umani, che li considerano i responsabili dell'attacco alieno, la famiglia Jin riuscirà a fermare il massacro, ma solo con un pesante tributo di sangue.
Questi elementi drammatici vengono ulteriormente approfonditi in quello che, assieme a Tetsujin 28-go e Mazinger Z, compone la "sacra trinità robotica": il Gundam.
Mobile Suit Gundam viene trasmesso in Giappone nel 1979 e ottiene un travolgente successo.
Nell'anno 79 dello Universal Century, l'umanità ha iniziato la colonizzazione dello spazio esterno, ma questo non ha impedito l'esplosione di nuovi conflitti. Tra colonie e esterne e terrestri l'atmosfera si fa sempre più tesa, fino a che le armi prendono il posto della diplomazia. L'originalità della serie sta nel dipingere con inedito realismo la guerra, militare, politica ed ideologica, tra Federazione e il Principato di Zeon. Nel mezzo del conflitto il giovane Amuro Rei si trova suo malgrado costretto a pilotare un prototipo di robot (o, come vengono definiti in questa serie, un "mobile suit") dal nome Gundam RX-78. Molto lontano dallo stereotipo dell'eroe, anche grazio allo splendido character design del collaboratore storico di Tomino, Yoshikazu Yasuhiko, Amuro Rei soffre sulla propria pelle tutti i traumi della guerra: la perdita dell'innocenza, la morte dei commilitoni e delle persone care, la frustrazione del dover obbedire a ordini incomprensibili o scellerati, tanto da scegliere volontariamente di fuggire dal fronte piuttosto che continuare a combattere.
Anche il Gundam è molto diverso rispetto al canonico "super robot", tanto da definire una tipologia tutta nuova: il cosiddetto "real robot". Non più invincibili e unici prodigi ingegneristici, i robot di Tomino, disegnati dal geniale Kunio Okawara, diventano modelli meccanici prodotti in serie, che abbandonano le fantasiose trasformazioni e gli elementi più fantastici e coreografici a favore di pistoni ed ingranaggi bene in vista, di problemi di surriscaldamento, bilanciamento e approvvigionamento di munizioni: da mitici eroi a semplici "carri armati con le gambe", insomma.
All'interno della battaglia, Tomino tenta di lanciare un messaggio sulla necessità di un nuovo livello di comunicazione tra gli individui, un contatto tra menti, anime e cuori di persone che si trovano su fronti distinti. Questo è simboleggiato dall'avvento dei cosiddetti "newtype", ovvero la nuova generazione di umani cresciuta nello spazio: affrancati dal peso della gravità e dotati di una spiccata sensibilità e intuito, paragonabili ad una sorta di "sesto senso".
Purtroppo Gundam generò un incredibile paradosso: da una parte la serie ebbe un successo enorme. Dalla sua prima trasmissione si sono moltiplicati sequel, serie alternative, remake e film per il cinema. Anche se -purtroppo- per la maggior parte inedita in Italia a causa di problemi di gestione dei diritti, la saga di Gundam è, senza dubbio, la più famosa e apprezzata serie robotica giapponese, che continua ancora oggi.
Ma, dall'altra parte, l'innovativo e profondo messaggio di Tomino non fu colto del tutto all'epoca della trasmissione dell'anime. Gli spettatori apprezzarono solo gli aspetti più superficiali e immediatamente visibili della storia: il nuovo design dei robot, che abbandonava le linee da "samurai futuristico" per concentrarsi su un look postbellico; l'impostazione militarista della storia generò più un'attenzione ai dettagli scenografici che alla reale essenza dell'idea di Tomino.
Profondamente depresso da questa piega degli eventi, Tomino produsse opere via via più cupe e pessimiste nei confronti dell'effettiva possibilità dell'umanità di superare i propri limiti ed ascendere ad un livello etico superiore, costringendo i protagonisti delle sue storie a morti improvvise e traumi devastanti (Camille Vidane, il successore di Amuro Rei alla guida del modello Gundam Z, finisce ridotto in uno stato vegetativo in seguito ai traumi riportati nell'ultima battaglia) e guadagnandosi così il soprannome di "Tomino kill'em all".
La sua visione pessimista e nichilista culminerà poi in Space Runaway Ideon, opera inedita in Italia ma di straordinaria importanza storica, in cui il robot protagonista, all'apparenza un "comune" robot gigante composto dall'unione di tre veicoli, è in realtà un'entità ancestrale dotata di poteri divini. Al termine -apocalittico- della serie, l'Ideon giudicherà negativamente l'operato della razza umana e deciderà di annientare ogni forma di vita senziente dall'Universo, per dare modo ad una nuova specie di ricominciare daccapo.

La tesi degli angeli crudeli
Alla seconda metà degli anni '80 il genere robotico inizia a stagnare, tra eredi più ingenui dei super-robot nagaiani che, abbandonata ogni connotazione più "estrema", si susseguono uno dopo l'altro come prodotti destinati principalmente all'infanzia e come veicolo di marketing e un'impostazione di genere più "realistico", che ha visto in Gundam il suo punto di partenza, apparentemente incapace di uscire dall'impasse narrativa, pessimista e cupa, in cui il suo principale fautore l'aveva trascinata.
Paradossalmente, sarà proprio una serie solo all'apparenza robotica a portare nuova linfa.
Una nuova generazione di autori, cresciuta con i primi anime, è ora pronta a entrare direttamente nel ciclo produttivo, con rinnovato entusiasmo e idee innovative.
Nel 1988 uno studio d'animazione, la Gainax, si fa notare grazie ad una serie di sei OAV (Original Anime Video) che è un chiaro omaggio ai "vecchi" robottoni. Top o nerae! Gunbuster (Punta al top! Gunbuster) è la storia della giovane e imbranata Noriko, una normale ragazza che verrà scelta per pilotare il potentissimo Gunbuster contro una soverchiante minaccia aliena. Citando grandi classici dell'animazione come Ace o nerae! (in Italia Jenny la tennista) e condendo la storia con la giusta dose di dramma, azione e hard science-fiction, Gunbuster traccia una nuova via, permettendosi anche un episodio finale interamente girato in bianco e nero in cui l'anime abbandona finalmente ogni costrizione per diventare una space-opera a tutti gli effetti.
Ma è solo il preludio della new wave robotica. È il 1995 quando va in onda il primo episodio di una attesissima nuova serie robotica: Neon Genesis Evangelion (Shin Seiki Evangelion). Prodotta dallo studio Gainax e diretta dal giovane regista Hideaki Anno, con il character design di Yoshiyuki Sadamoto, Evangelion rappresenta un passaggio fondamentale non solo nel genere robotico (nonostante, appunto, a tutti gli effetti NON SIA un anime robotico), ma nella percezione stessa degli anime nel mondo.
Dopo un terrificante e misterioso cataclisma noto come Second Impact la vita sulla Terra è profondamente mutata. Nell'insediamento di Tokyo-3 arriva un ragazzo, Shinji Ikari, convocato dal padre Gendo. Timido, introverso e ipersensibile, Shinji scopre con orrore che l'unico motivo per cui il padre l'ha richiamato, dopo averlo abbandonato in seguito alla morte della madre, è per utilizzarlo come pilota dell'EVA-01, una gigantesca "macchina umanoide da combattimento" progettata per difendere l'umanità dagli Shito (Angeli), inquietanti e strani mostri che sembrano intenzionati a distruggere Tokyo-3. A partire da questo plot Anno realizza una serie volta a destabilizzare e scuotere lo spettatore: rovescia la successione cronologica degli eventi con flashback a effetto (molto prima di Lost); descrive e fa agire personaggi molto lontani dai classici stereotipi, e spesso "umanamente sgradevoli"; costruisce un complesso intrico di enigmi e misteri che, anziché chiarirsi con il procedere della storia, sembra complicarsi puntata dopo puntata (molto prima di Lost).
Evangelion termina con una coppia di episodi finali diventati, a modo loro, leggenda: dopo aver definitivamente accantonato l'illusione di aver costruito una "storia con i robot", Anno svela le sue carte al pubblico. Tutta la serie è un suo messaggio agli spettatori, una esortazione ad uscire dai propri gusci e affrontare la vita "reale", superando le proprie paure e i propri traumi.
Se questo "messaggio" di Anno, dichiaratamente ispirato al tominiano Space Runaway Ideon, è innegabilmente accorato e sensato, considerata la situazione sociale al momento della messa in onda di Evangelion (in cui il Giappone si trova a dover affrontare il crescente disagio apatico delle nuove generazioni), resta il fatto che la trasmissione di questi due episodi, girati con uno stile assolutamente "sperimentale", fu uno shock incredibile per il pubblico che, fino a quel momento, aveva seguito la serie sperando di ricevere risposta alle domande in sospeso. Ma, anziché ad un catartico -per quanto ingenuo- "combattimento finale", lo spettatore si ritrovò ad assistere alla messa in scena di una seduta psicanalitica sui generis, rivolta in primo luogo dal regista a se stesso e, per estensione, al suo pubblico.
Le reazioni furono estreme, in un senso o nell'altro: chi si sentì tradito, chi esaltò l'originalità di Hideaki Anno, chi protestò in maniera veemente contro questa inattesa svolta degli eventi.
Come ultima nota, va segnalato che Anno abbia poi deciso di ritornare sui suoi passi, sottoponendo Evangelion a continue operazioni di revisione e riedizione, di cui l'ultima in ordine di tempo è la produzione dei nuovi lungometraggi animati, distribuiti nella sale italiane da Nexo.
Resta il fatto, aldilà di ogni personale interpretazione, che Evangelion ha saputo riaccendere un fuoco che si stava estinguendo, anche grazie ad una buona realizzazione tecnica e ad alcune idee innegabilmente efficaci, attirando nuovamente l'attenzione degli spettatori di anime di tutto il mondo sui robot giganti (anche se gli Eva non sono robot...).

Rinascimento robotico
Dopo Gunbuster ed Evangelion il terreno è pronto per una nuova generazione di robot. Il pubblico geek è ormai cresciuto, ma ha mantenuto l'interesse (anche nostalgico) per quelle serie che vedevano da bambini. Inoltre grazie ai supporti magnetici e poi, in modo decisamente più massiccio, all'avvento del web diventa possibile "approvvigionarsi" direttamente di quanto viene prodotto e trasmesso in Giappone.
Il genere robotico non è più predominante tra le produzioni animate nipponiche, ma con una certa frequenza vengono annunciate e trasmesse nuove serie, alcune decisamente interessanti. In particolare il filone si sviluppa in due categorie: da una parte gli "eredi di Gundam", che riprendono, in misura più o meno evidente, gli stilemi dell'opera di Tomino e li rielaborano, spesso con risultati decisamente efficaci: dopo Eva arrivano serie come RahXephon, Gasaraki o Argento Soma.
Dall'altra parte autori come Masami Obari (Gravion), Shoji Kawamori (Aquarion, Macross Zero) Yasuchika Nagaoka e Yasuhiro Imagawa, tra gli altri, rielaborano gli elementi "classici" delle serie robotiche primigenie, modernizzando l'impianto narrativo e creando una interessantissima (e spesso riuscita) fusione tra elementi storici e nuove idee.
In Godannar, ad esempio, dei mostri terribili attaccano il pianeta. Per combattere questi abomini, le varie nazioni costruiscono diversi super-robot, ognuno con caratteristiche peculiari e che necessitano di una coppia di piloti per poter esprimere il proprio massimo potenziale (ricorda niente?).
Continui ammiccamenti sexy, un buon bilanciamento tra umorismo e drammaticità (legata in primo luogo alla sconvolgente verità sulla natura dei mostri invasori), un discreto comparto tecnico e un continuo gioco citazionistico -a partire dalla colonna sonora- sono i punti di forza di questa serie, che per quanto tutto sommato gradevole paga purtroppo una evidente disomogeneità nella sceneggiatura.
Ma il principale interprete della new wave robotica è senza dubbio il regista Yasuhiro Imagawa. Già regista di una delle serie più "anomale" legate al brand Gundam, Mobile Fighter G Gundam, Imagawa si è specializzato nel rielaborare i classici del genere in una chiave nuova e intrigante.
Nel 1992 viene pubblicato il primo episodio della serie di OAV Giant Robo: The day the Earth stood still (in Italia: Giant Robot: il giorno in cui la Terra si fermò).
Partendo dalla creazione del maestro Mitsuteru Yokoyama, Imagawa crea un'opera possente e complessa, accompagnata da un gusto che oscilla tra il retrò, lo steampunk e il cinema wuxia di Hong Kong (di cui Imagawa è un grande estimatore) e una colonna sonora sinfonica ancora oggi indimenticabile. Il conflitto tra una banda di criminali, la BF e un'organizzazione di polizia internazionale, si accende per il possesso di un misterioso apparecchio legato alla principale fonte energetica del mondo, lo Shizuma Drive. L'ago della bilancia della contesa sarà il giovane Daisaku Kusama, che ha ricevuto in eredità dal padre il robot più grande del mondo: il possente Giant Robo.
Nonostante una produzione estremamente travagliata, Giant Robo arriva a compimento con il settimo OAV, raccogliendo consensi tra tutti gli appassionati.
Imagawa procede la sua opera con i primi tre episodi del rilancio del Getter Robot - The Last Day, una delle più riuscite creazioni del collaboratore di Go Nagai, Ken Ishikawa. E anche in questo caso il risultato è stupefacente: la storia all'apparenza semplice del conflitto tra "buoni" e "cattivi" si ingarbuglia, tra continui capovolgimenti di fronte e colpi di scena (vero "marchio di fabbrica" del regista giapponese). Le idee di Imagawa sono talmente estreme e rivoluzionarie (ad esempio il pianeta Terra viene praticamente distrutto già nel terzo episodio) da costringere la produzione a cambiare marcia e chiamare il più controllabile Jun Kawagoe alla direzione degli episodi seguenti.
Ma Imagawa non demorde e, nel giro di pochi anni, mette a segno due straordinari remake, addirittura sui due "mostri sacri" del genere: Mazinger Z, completamente rivisitato in Mazinger Edition Z: The Impact (Shin Mazinger Shougeki! Z hen), e Super Robot 28, rielaborato con una fedeltà grafica assoluta nei confronti dell'originale.
Il maggior merito di Imagawa è stato riuscire a recuperare il sense of wonder, l'indispensabile stupore e ammirazione che un titano di metallo alto decine di metri dovrebbe giustamente provocare.
Riuscire ad emozionare nuovamente gli spettatori quando il Mazinger Z usa per la prima volta il Koshiryoku Beam (o i "raggi fotonici", se preferite la versione nostalgica) non era impresa da poco. Eppure Imagawa riesce nella difficile impresa, centrando nel contempo l'obiettivo di spianare la via ad una nuova generazione di storie di robot, all'interno della quale non possiamo non citare almeno l'ultima produzione della Gainax, l'adrenalinico Gurren Lagann (Tengen Toppa Gurren-Lagann), in cui la progressione della storia, che parte da un minuscolo insediamento umano sottoterra per arrivare alle immensità spaziali, va di pari passo sia con la maturazione del protagonista, Simon "lo scavatore", che con il continuo upgrade in termini di potenza e dimensioni del robot protagonista: nel delirante, esaltante, esilarante e riuscitissimo combattimento finale, il Gurren-Lagann diventa talmente grande da poter usare le galassie come armi da lancio.
A questo punto possiamo solo confidare che la lezione e le esperienze di questi anni di storia dei robottoni abbiano trovato un degno erede ed interprete, anche nel cinema dal vivo, in un grande artista come Guillermo Del Toro.