Bertrand Tavernier a Firenze per ritirare il Premio Fiesole

Il nostro incontro con il regista francese, che ha ricevuto a Firenze un importante riconoscimento alla carriera.

Interrompendo la tradizione che prevede una cerimonia rigorosamente estiva, quest'anno il maestro francese Bertrand Tavernier è arrivato a Firenze col freddo per ritirare il Premio Fiesole, importante riconoscimento tributatogli in virtù della sua carriera. Il valore attribuibile al tradizionale riconoscimento quest'anno è doppio, visto che a essere celebrato non è solo un singolo artista, ma con lui anche la cinematografia a cui appartiene, quella francese, talvolta trascurata dalle istituzioni fiorentine che quest'anno hanno deciso di inaugurare una breve rassegna dedicata proprio al cinema d'Oltralpe, rassegna che ha visto madrina l'italiana d'esportazione Caterina Murino. Personalità ricca e sfaccettata, dotata di cultura straordinaria, lettore di Dumas, Zola, Hugo, amante della cinematografia italiana e di artisti come Riccardo Freda e Mario Bava, Tavernier si è sempre espresso in maniera anticonformista fin dal suo esordio, successivo alla Nouvelle Vague.

Che cosa si prova a ricevere questo riconoscimento?

Bertrand Tavernier - In questo momento storico la cultura è l'unico scudo che ci protegge dalle minacce, dai fondamentalismi e dai dogmi che ci vengono imposti. La cultura è un'arma potentissima e anche per questa ragione sono felice di essere qui con voi a celebrare il valore dell'arte. Non sono d'accordo con De Sade che criticava Firenze parlando di aria irrespirabile e mefitica in autunno, mentre sono vicino a Stendhal, il quale riteneva che Firenze fosse la città più accogliente e amabile del mondo. Ero già stato qui nel 2005 per consegnare il premio Fiesole a Francesco Rosi, un regista che ammiro moltissimo, ma ancor prima mi ero recato in Toscana per assistere alle riprese di Amici Miei, su invito del mio amico Philippe Noiret. Sono stato sul set per cinque giorni e mi ricordo ancora l'emozione e il divertimento. L'aria che si respirava era molto positiva. Mario Monicelli fermava le riprese alle tre del pomeriggio e dalle tre alle sei partiva una discussione tra lui e Ugo Tognazzi sulla scelta del ristorante in cui cenare. Si vedeva che l'importanza della cena andava ben al di là del normale, questa attenzione al luogo e al tempo da trascorrere insieme evidenziava l'affiatamento sul set.

In concomitanza con la consegna del premio Fiesole è stato presentato in anteprima italiana L'occhio del ciclone - In the Electric Mist, la sua nuova pellicola ambientata in Louisiana e ispirata al romanzo di James Lee Burke. Come ha lavorato all'adattamento?

Bertrand Tavernier - Il progetto è mio, sono stato io a voler adattare il romanzo, era da molto tempo che volevo portare sullo schermo una storia di Burke, per questo ci sentivamo regolarmente per email. All'inizio lui non voleva lavorare alla sceneggiatura, così il produttore mi ha consigliato un altro sceneggiatore. Alla fine della prima bozza della sceneggiatura, però, non ero soddisfatto così ho contattato Burke di nascosto e lui ha collaborato alla sceneggiatura nella massima riservatezza. Ogni volta che avevo un problema andavo a trovarlo e lui lo risolveva. Anche Tommy Lee Jones è stato fondamentale e ci ha aiutato tantissimo scrivendo quattro scene che non erano nel romanzo, ma che sono molto importanti. Per me sia Tommy Lee Jones che Burke dovrebbero figurare nei titoli di coda come co-sceneggiatori, ma per motivi a me incomprensibili, legate alle regole dei sindacati americani ciò non è stato possibile. Spesso l'ego dei registi spesso li spinge ad attribuirsi anche i meriti dei propri collaboratori. L'intellligenza di un cineasta sta nel saper accettare critiche e consigli, di capire cosa funziona e di evitare di rifiutare l'aiuto esterno solo per orgoglio. Questa è una delle qualità necessarie che un regista deve avere. Tommy Lee Jones non è solo un attore geniale, ma anche un ottimo scrittore, purtroppo le rigide regole americane e gli altri registi spesso non hanno riconosciuto i suoi meriti. Sul set di The Missing ha collaborato con Ron Howard suggerendo modifiche da inserire in alcune scene. Howard ha finto di accettare tutti i consigli, ma le scene in questione sono state tagliate al montaggio.

Cosa pensa del cinema italiano contemporaneo?

Bertrand Tavernier - Il regista che amo di più è Marco Bellocchio. Ho trovato straordinario il suo Buongiorno, notte. Naturalmente seguo sempre Nanni Moretti e trovo interessante Gianni Amelio, un regista dotato di una grande sensibilità. Mi è piaciuto molto Il ladro di bambini, che è un film ottimamente recitato, soprattutto da Enrico Lo Verso. Altri film che mi hanno colpito sono Gomorra, Romanzo criminale, anche se è un po' troppo americanizzato nello stile narrativo, La meglio gioventù e Respiro di Emanuele Crialese. Gomorra è un film nuovo ed estremamente coraggioso. La critica francese ha celebrato il funerale del cinema italiano, ma esistono molti film, purtroppo maldistribuiti in Europa, che in realtà contengono elementi di grande interesse. In Francia va di moda soprattutto il cinema asiatico, in particolare coreano, molto meno quello europeo. Un altro cinema che trovo molto interessante e ricco di talenti è quello romeno. Cristian Mungiu è stato mio assistente alla regia di Capitan Conan, l'unico assistente romeno a restare fino alla fine delle riprese.

A cosa sta lavorando attualmente?

Bertrand Tavernier - Ho concluso le riprese del mio nuovo film una settimana fa, dopo quattro stop imposti dalla produzione per mancanza di fondi. Il film è una storia d'amore ambientata nel passato che vede protagonista una giovane ventenne che è costretta a sposarsi contro la propria volontà nonostante sia innamorata di un altro uomo, il Duca di Ghisa. Mi intrigava molto realizzare una storia d'amore ambientata nel '500 con personaggi giovanissimi. Il Duca di Ghisa di solito viene rappresentato come un quarantenne, mentre invece aveva solo 19 anni quando era generale dell'esercito cattolico, ma a quel tempo 19 anni non avevano lo stesso valore di oggi. Oltre alla storia d'amore ero molto interessato al contesto delle guerre di religione. Sul set mi sono trovato a dirigere attori giovani e li ho trovati meravigliosi, forti, energici, appassionati. L'unico attore più avanti nell'età con cui ho lavorato è Lambert Wilson, che qui ha interpretato un ruolo molto più fisico, quello di un cavaliere, completamente diverso dai personaggi che di solito è chiamato a impersonare.