Vera gloria per i bastardi di Tarantino

La fiaba hollywoodiana dell'ex-commesso di una videoteca di Los Angeles approda a un altro capitolo mettendo a tacere intere schiere di detrattori e sorprendendo ancora una volta i sostenitori.

C'era una volta un giovane appassionato di cinema originario del Tennessee; dopo essersi fatto le ossa e una cultura lavorando come commesso in una videoteca della periferia di Los Angeles, il nostro cominciò a scrivere le sue prime sceneggiature insieme all'amico e collega Roger Avary. A questo punto si dovrebbe dire il resto è storia, ma quando si tratta di Quentin Tarantino bisogna sempre fare questa premessa, bisogna sempre ricominciare da capo quasi fosse un esordiente. In realtà come tutti sanno l'esordio di Tarantino è ormai avvenuto diciassette anni fa con Le iene, nel frattempo il regista/sceneggiatore ha vinto una Palma d'Oro, un Oscar, ha partecipato ai maggiori festival internazionali e soprattutto ha raggiunto uno status di culto che in pochi casi si è visto nella storia del cinema.

Eppure ad ogni nuovo suo film una gran fetta di critica (e in misura minore anche di pubblico) è subito pronta a gridare alla morte cinematografica di questo autore che in fondo ha commesso solo un gravissimo e imperdonabile peccato, ovvero quello di far seguire al suo (amatissimo e celebratissimo) esordio, una pellicola talmente perfetta e importante da rendere arduo per chiunque non gridare al capolavoro. Da Pulp Fiction in poi, per quindici anni ormai, alle folle di sostenitori si sono aggiunte intere schiere di personaggi che hanno gioito ad ogni suo passo falso, augurandogli che potesse magari essere quello definitivo. Tarantino però è sempre caduto in piedi, ha sempre dimostrato un'incoscienza tipica di chi non lavora per gli altri, ma per sé stesso ed ha così proseguito con un suo personalissimo modo di fare cinema che lo ha visto sperimentare e divertirsi con i lavori degli altri (guest director in Sin City ma anche nelle serie E.R. e CSI), tentare forme di distribuzione atipiche (la divisione in due parti di Kill Bill ma anche il double feature Grindhouse) e soprattutto l'annunciare decine di titoli diversi in preparazione per poi in realtà vederne realizzati ben pochi.
Per questo Bastardi senza gloria per esempio ci sono voluti circa otto anni tra la prima volta che il progetto è stato annunciato dallo stesso Tarantino e la presentazione ufficiale del film allo scorso Festival di Cannes. E proprio vedere un film di Tarantino a Cannes, per esempio, fa capire esattamente il tipo di prevenzione (in positivo e in negativo) che c'è verso i lavori di questo regista: un grado di aspettativa, una volontà e una necessità di giudicare l'uomo prima che il regista che tra gli addetti ai lavori ha veramente pochi uguali (sempre a Cannes quest'anno c'era Lars Von Trier, forse l'unico che può vantare un livello di amore/odio nei propri confronti pari al regista di Jackie Brown). Come ovviamente prevedibile, a Cannes il film ha diviso, tra l'entusiasmo di alcuni e lo scetticismo di molti; nonostante la Palma d'oro del 1994 e l'amore degli organizzatori, verrebbe effettivamente da chiedersi se Cannes (ma più in generale i festival competitivi di caratura internazionale) possa essere la giusta piattaforma di lancio per un film di Tarantino, considerata anche la pessima accoglienza due anni fa per A prova di morte.
Da Cannes insomma Inglorious Basterds non è uscito troppo bene, non tanto per le numerose critiche negative sicuramente messe in preventivo sia dal regista che dai produttori, ma per l'effetto sulla vendibilità del prodotto messa in discussione anche da diversi esperti del settore. Come far diventare un successo un film di due ore e mezza in gran parte sottotitolato con poca azione, poco Brad Pitt e che (a detta di molti) è perfino poco tarantiniano? Un bel problema per Harvey Weinstein, che non può assolutamente permettersi un altro flop alla Grindhouse, e un bel problema anche per Tarantino, che se non avesse dimostrato con questo film di poter avere anche un appeal commerciale avrebbe rischiato di perdere molto della libertà creativa che gli appartiene.
Nonostante le insistenze della Weinstein Company, Tarantino non cede di un passo e si rifiuta di tagliare il suo film, anzi rispetto allo screening di Cannes aggiunge anche una scena e porta la durata oltre i 150 minuti; a sorpresa la roboante campagna pubblicitaria che aveva fallito con Grindhouse questa volta ha il suo effetto e Bastardi senza gloria diventa il più grande successo di Tarantino in patria e nel mondo intero, superando perfino Pulp Fiction che solo qualche mese fa sembrava irrangiungibile.

E per i Weinstein l'unica difficoltà rimane ora quella di trovare un modo efficace di sostenere il film verso un altro traguardo apparentemente irraggiungibile, quello degli Oscar: essendo uscito negli USA a fine agosto, ci vorrà una campagna massiccia per spingere il film presso gli Oscar voters solitamente molto più attenti alle pellicole di novembre/dicembre,

ma i Weistein hanno già pronto il loro piano, ovvero quello di promuovere il film grazie a dvd e blu-ray, quindi non limitandosi come si fa solitamente ad inviare delle copie "for your consideration" (peraltro più costose di circa quattro volte del prodotto che finirà nei negozi) ma utilizzando il canale distributivo classico. I votanti agli Oscar (e agli altri premi ovviamente) stiano quindi pronti ad essere invasi intorno a Natale da tanti "bastardi" in tutti formati video immaginabili, col solo scopo di regalare una (meritatissima) nomination al bravissimo Christoph Waltz, alla sceneggiatura originale e alla regia, e, perché no, anche come Miglior Film, magari approfittando della novità di quest'anno delle dieci nomination.

E' così che si capisce perché la storia di quel commesso del videonoleggio ancora ad oggi continua ad essere così abusata: la storia di Tarantino è in effetti una delle più belle favole hollywoodiane degli ultimi decenni, è la storia di un sognatore testardo che va dritto per la sua strada e con le sue convinzioni e che alla fine si conquista un meritato lieto fine. Se in fondo il suo Bastardi senza gloria non è altro che un'atipica dichiarazione d'amore al cinema stesso, come potente strumento che permette di realizzare ogni cosa, compresa l'uccisione dei nazisti e di Hitler, non si può certo dire che il cinema non abbia più e più volte dimostrato di ricambiare questo amore verso Quentin Tarantino; regista amato, odiato, celebrato, discusso, ma mai sconfitto.