Future Film Festival 2011: è il giorno di Luc Besson

Per celebrare il suo immaginario e la personale interpretazione del fantastico, la tredicesima edizione del Future Film Festival ha deciso di omaggiare il regista, con un'ampia retrospettiva che include la saga dei Minimei e altre opere recenti. Eccolo protagonista della conferenza stampa bolognese.

Amato dal pubblico giovane e spesso osteggiato dalla critica, Luc Besson è probabilmente il più internazionale tra i registi francesi degli ultimi vent'anni. La sua cinematografia dominata da canaglie dal piglio futuristico è riuscita a valicare i Pirenei e sedurre il viziato spettatore anglo-americano, condizionando nel bene e nel male anche parte del mercato hollywoodiano.
Arrivato alla ribalta nel 1985 con Subway, Besson si presenta come lo sperimentatore, una sorta di moderno pioniere per cui il cinema non è scienza ma fantascienza purché in action. In questo modo, seguendo uno stile influenzato dal mondo della pubblicità e dal desiderio di stupire a tutti i costi con soluzioni visive choc , il regista ha costruito una carriera lunga ventisei anni di cui film come Nikita (1990), Leon (1995)e Il Quinto Elemento (1997) ne rappresentano indubbiamente l'immagine più alta. E proprio per celebrare il suo immaginario e la personale interpretazione del fantastico la tredicesima edizione del Future Film Festival ha deciso di omaggiare il regista, definito recentemente e scherzosamente dall'Herald Scotland come il Darth Vader del cinema francese, con una retrospettiva composta dalla maratona Minimei, cui fa seguito nelle giornate successive la proiezione de Il Quinto Elemento e di Adèle e l'enigma del Faraone. In risposta Besson ringrazia e partecipa alla manifestazione con l'anteprima italiana di Arthur 3 - La guerra dei due mondi, terzo e ultimo capitolo della ben nota saga distribuito in Italia da Moviemax nel mese di giugno. Venuta alla luce grazie a un atto d'orgoglio nazionale e continentale, la saga di Arthur ha venduto ben tre milioni di libri in tutto il mondo ed è la dimostrazione che ciò che Besson vuole, Besson può. Così, dopo più di due milioni di biglietti staccati solo in Francia e un decennio di duro lavoro, il regista ci regala il racconto di una sfida emozionante e l'aspettativa altrettanto elettrizzante per quelle che verranno.

Signor Besson, la realizzazione della saga di Arthur le ha chiesto un lungo periodo di lavorazione. Può raccontarci l'evoluzione dell'intero progetto e in modo particolare del terzo capitolo?

Luc Besson: Tutto è iniziato dieci anni fa, quando praticamente ero un bambino. Nell'arco di questo lungo periodo sono riuscito ad avere tre figli e, attraverso di loro e il piccolo Arthur, ho sviluppato un pubblico personale. Tirando le somme posso dire che il processo di realizzazione è stato veramente lungo, probabilmente troppo, anche se stupefacente. Ricordo la prima avventura di Arthur come un'esperienza incredibile. Il team creativo e tecnico era composto da 400 persone e nessuna di loro aveva la minima esperienza all'interno dell'animazione, incluso me. Però, nonostante sperimentazioni ardite, siamo riusciti nel nostro intento. Altra storia per i sequel che ci hanno trovati sicuramente più preparati e sono stati girati contemporaneamente. Certo sarebbe stato meglio portarli al cinema con un intervallo molto breve, come ad esempio una settimana, ma ormai non possiamo cambiare le cose. Tecnicamente parlando è incredibile come tutti i macchinari e le soluzioni grafiche pensate per Arthur e il popolo dei Minimei siano risultate inappropriate e sorpassate una volta che abbiamo affrontato gli ultimi due capitoli.

I suoi film sembrano richiamare una certa cultura fumettistica. Quali sono le sue principali fonti d'ispirazione?
Il mio processo creativo è veramente particolare, oserei dire strano. Sono stato influenzato da mia madre, dal mio cane e dagli alberi, in definitiva dalla vita in cui sono inserito e che mi lascia sempre più stupefatto. A dirla tutta, il luogo peggiore da cui trarre ispirazione è proprio il cinema perché si tratta di rimaneggiare sempre una materia già ampiamente metabolizzata da altri. Ad esempio, se nel mio prossimo film volessi fare una scena tra madre e figlio mi dovrei basare esclusivamente sulle mie sensazioni e sui miei ricordi e non certo su come l'ha realizzata Martin Scorsese nel 1972. Per quanto riguarda poi la televisione escludo qualsiasi suggestione, dato che l'ho avuta in casa per la prima volta all'età di 16 anni. A questo punto non rimane che il mondo esterno a cui fare riferimento. Così ho tenuto lo sguardo e il cervello aperto per catturare tutto ciò che mi gravitava intorno.

Pensa di continuare con la saga di Arthur e di scrivere altra letteratura per l'infanzia?

Non ho pubblicato altre storie per ragazzi e non credo che lo farò in futuro, anche perché i miei figli stanno crescendo e non considerano l'argomento con la reverenza necessaria. Per quanto riguarda Arthur penso di aver definitivamente concluso il nostro rapporto. Per realizzare Le Grand Blue ho trascorso due anni in mare ma alla fine non ne potevo più e desideravo solo andare oltre. Questo è esattamente ciò che provo per Arthur. Per dieci anni è stato veramente divertente ma oggi voglio cambiare e tornare a dei film per adulti. Un altro motivo per rallentare la marcia è una schizofrenia di fondo presente durante la lavorazione di un'animazione. Per un lungo periodo ho gestito attori facendoli interagire con delle immagini chiare nella mia mente, ma che non avevano nessun corrispettivo sul set. Tutti noi dovevamo continuamente immaginare zanzare enormi e formiche gigantesche. Capite che una cosa del genere può mandarti anche fuori di testa, ma ora mi sento molto meglio.

Arthur, al di là della natura fiabesca, ha un nucleo narrativo molto solido in cui la tematica ecologista la fa da padrone. Crede che questo sia servito a veicolare un certo tipo di educazione e consapevolezza nel pubblico più giovane?
Non mi sento molto orgoglioso dello stato attuale del pianeta e dell'ambiente in cui vivono i nostri figli. Certo non è facile educare i ragazzi ad un più attento rispetto per la natura. Puoi dirgli cosa è giusto o cosa è sbagliato fare, ma la comprensione non è così immediata e rischiamo di metterli inutilmente sotto pressione. Totalmente diverso è usare un mentore alla loro portata come Arthur. In questo modo raggiungiamo la sfera d'interesse senza traumatizzarli. Per quanto riguarda la mia vita quotidiana, invece, faccio ciò che posso per contribuire ad un approccio diverso. Dobbiamo pensare che non esiste solo il singolo e le sue azioni ma una comunità intera le cui decisioni possono migliorare a livello macroscopico il pianeta. Realisticamente, non credo che potremmo mai rinunciare a viaggiare in aereo ma si potrebbe pensare a degli apparecchi che consumino meno carburante o si potrebbe evitare di farli partire mezzi vuoti. Dobbiamo comprendere che tutto dipende da noi e da coloro che abbiamo eletto, spesso dimentichi delle loro promesse. Sarebbe opportuno, per una volta, ignorare il profitto, anche perché totalmente inutile senza un'umanità con un futuro. In questa società, in cui i giornali non fanno che parlare di scandali sessuali e matrimoni, bisognerebbe avere maggior lucidità.

Altro tema centrale sembra essere l'integrazione razziale...

Sono molto sensibile riguardo all'integrazione e a come persone diverse per cultura e provenienza possono lavorare insieme. Se guardate i bambini capite quanto questo processo sia naturale. Il razzismo non nasce con loro, ma è un falso principio che il mondo degli adulti inserisce nelle loro menti. Quando sono insieme tutto ciò che fanno è giocare e basta, senza altre pretese. Anni fa, quando realizzai Il Quinto Elemento, inserii in modo naturale un Presidente dell'Universo di colore. Per questo incontrai una certa resistenza da parte della produzione ma io dissi perché no, probabilmente un giorno avremo un presidente americano nero. E così è stato.

Alcuni registi stanno abbandonando scenografie reali per sostituirle con quello digitali. Uguale destino sembra minacciare gli attori. Cosa pensa di questa direzione presa dalla computer grafica?
Sostanzialmente le persone fanno ciò che vogliono, ma per quanto riguarda il mio modo di fare cinema, non credo di poter mai rinunciare all'apporto umano. L'emotività è la materia fondamentale su cui lavora l'animatore, anche perché senza tutte queste interazioni il tecnico rimane da solo con se stesso e produce solo una pessima copia di sé. Dunque dietro ogni mia animazione c'è il lavoro incredibile di un team di attori che ringrazio per il prezioso lavoro svolto davanti alla macchina da presa.

Continuando a parlare di cinema e riprendendo il suo desiderio di tornare ad altri progetti, da cosa sarà caratterizzato il suo futuro professionale?

Ho finito di girare il film The Lady, ispirato alla figura eroica di Aung San Suu Kyi. Questa donna è rimasta segregata nel suo paese per più di 20 anni solo perché chiedeva democrazia e diritto di voto. Ha portato avanti la sua battaglia per la Birmania in silenzio, senza chiedere nulla a nessuno e, proprio per quest, la sua storia mi ha incredibilmente affascinato. Purtroppo non sono mai riuscito ad incontrarla a causa di problemi con il visto ma Michelle Yeoh, che le darà il volto sul grande schermo, ha avuto l'opportunità di vederla anche se per poco.