Il viaggio di Andy Garcia tra sport, musica e cinema

Segna in grande stile l'ultimo giorno del RomaFictionFest 2010 l'interessante masterclass del premio Oscar cubano Andy Garcia. Riservato nel privato ed espansivo con il pubblico, l'attore ha regalato ai suoi fan una piccola e inaspettata performance dal vivo in omaggio a Marlon Brando.

Giunge al RFF 2010 per una lunga masterclass moderata dal giornalista Marco Spagnoli il premio Oscar Andy Garcia, accolto da una platea calorosa e numerosa, malgrado i diversi scioperi abbiamo paralizzato la capitale. L'attore hollywoodiano, che tutti ricordano per le indimenticabili performance in film strepitosi come Gli intoccabili, Il Padrino: parte terza e Ocean's Eleven, si è presentato in Italia, dove riceverà l'Artistic Excellence Award, con un look insolito che ha destato non poca curiosità per i baffi che lui stesso ha definito "buffi" e ci ha spiegato a quali progetti musicali e cinematografici sta lavorando al momento.
Intelligente e sensibile, Andy Garcia, di origini cubane, si è commosso e ha fatto fatica a trattenere le lacrime quando si è fatto riferimento alla situazione politica del suo popolo: le radici, ci ha raccontato, non si dimenticano mai, formano una persona per sempre e la condizionano. Tra le passioni coltivate, oltre a quella per il cinema che ha segnato una carriera straordinaria prossima a festeggiare i vent'anni, l'amore per l'italiano, in cui più volte ha provato con successo ad esprimersi guadagnando numerosi applausi scusandosi perché il suo italiano "è poco Italiano, è uno Spagnolo con accento italiano, forse! E metà delle parole conosciute sono parolacce", per lo sport e il pianoforte.

Attore, regista e produttore, Andy Garcia, con appeal da star modesta e la simpatia di un abile intrattenitore, ha ripercorso con i fan e i giornalisti alcune tappe della sua carriera, che ha più volte definito un "viaggio", mosso da una profonda passione, rinforzato dall'incontro con Francis Ford Coppola e spesso bloccato da lunghe attese, e ci ha parlato di alcuni episodi legati ai suoi viaggi in Italia. Abbiamo parlato con l'attore della situazione odierna della produzione cinematografica e di come la televisione stia offrendo al cinema che vuole raccontare ancora le "grandi storie" una strada alternativa ai rifiuti degli studios, che sono sempre più interessati invece ai blockbuster. Attualmente sugli schermi con il suo City Island, recentemente distribuito in Italia da Mikado, ha dato prova di grande generosità verso il suo pubblico: in una scena del film, una commedia familiare a cui ha partecipato anche sua figlia, Dominik García-Lorido, l'attore fa il verso a Marlon Brando, un'imitazione che, dietro la richiesta di un affettuoso spettatore, ci ha regalato con grande sorpresa prima di raccogliere una meritata standing ovation.

Ci racconta com'è nata la sua passione per la recitazione? Cosa l'ha spinta al mondo del cinema? Andy Garcia: Quand'ero molto giovane andavo spesso al cinema, come tutti i ragazzi specie negli anni '60, ed ero molto attratto dalle celebrità. Ero molto impegnato nello sport, nel baseball e nel basket, ma a 18 anni mi sono ammalato e non ho potuto praticare sport per circa un anno. E' stato allora che l'interesse verso il cinema si è impadronito della mia vita, mi ha infettato come un virus!

A quale tipo di cinema e a quali attori era interessato prima di entrare nel mondo del cinema? Andy Garcia: Ero affascinato dagli "eroi" come James Coburn, Sean Connery, Steve McQueen, Peter Sellers... Non dimenticherò mai, per esempio, la scena de I magnifici sette in cui James Coburn entra e lancia il coltello! Sono riuscito poi nella vita a lavorare con lui come produttore, con Sean Connery ne The Untouchables - Gli intoccabili, che in un certo senso è stato ispirato tanto da I magnifici sette quanto da I sette samurai.

Il cinema degli anni '60 era molto diverso da quello attuale, è un cinema che rimpiange? Andy Garcia: Sì, mi manca tutto di quel cinema. Mi mancano il bianco e nero, il Neorealismo italiano, il cinema americano degli anni '70. Quando ero un attore giovane imparavo guardando film come Il padrino, il capolavoro di Francis Ford Coppola, i film di Martin Scorsese come Taxi Driver e Mean streets, Harold e Maude... I film di Hollywood non sono più film realizzati negli studios: oggi quei film sarebbero film indipendenti perché il sistema cinematografico è cambiato. Ad esempio City Island è stato rifiutato dagli studios e l'abbiamo prodotto indipendentemente. Ed è in sala in America da 15 settimane.

Cosa intende quando parla di cambiamento del sistema cinematografico? Che ruolo ha la televisione in questo nuovo sistema? Andy Garcia: Il sistema cinematografico negli USA ha sempre più un raggio molto limitato nella produzione perché è legato a grosse produzioni, ai blockbuster come Spiderman, alle commedie... Le grandi storie, che rappresentano la vera sfida per chi fa cinema, si stanno spostando e ritagliandosi uno spazio nella televisione. Le reti televisive americane producono pochi film, serie di pochi episodi o stagioni singole. Così molte storie che non trovano uno sbocco al cinema cercano una strada nella televisione. La sensibilità e la capacità del cinema si stanno spostando verso la televisione e questo significa che le linee di separazione tra attori, sceneggiatori... si sono attenuate.

Come mai, secondo lei, Hollywood produce sempre più per un target particolare, soprattutto per i giovani? Andy Garcia: E' molto semplice: moltissime persone vengono attirate dalla tv perché s'identificano con le storie che trasmettono. Pensate che alcuni dei più popolari film in America vengono visti in tv; io per primo non vado mai al cinema e guardo più la televisione. Vado al cinema per guardare film indipendenti, vado con mio figlio a vedere film come Toy Story, ho visto Avatar, che era un evento particolare, ma non ho visto nessuno degli Spider Man. Penso che al cinema non ci siano storie interessanti!

Ha citato il film della Pixar, cosa pensa del 3-D? Andy Garcia: Come regista sono molto più interessato all'aspetto umano, a storie come quelle raccontate da Vittorio De Sica. Da attore potrebbe essere una sfida interessante, ma da regista no. I miei interessi legati al cinema vanno alla fotografia e all'aspetto umano delle storie.

Lei conosce il cinema italiano... Andy Garcia: Il periodo del cinema italiano a cui mi sono anche ispirato per il mio stile e in cui mi identifico è quello del Neorealismo. Del cinema contemporaneo conosco Benigni, Tornatore, del quale ho visto Baaria, con il mio amico Beppe Fiorello. Conosco i film che vengono in America, ma gli altri che non hanno la possibilità di essere distribuiti non li conosco. Uno dei miei attori preferiti è Giancarlo Giannini.

Il cinema internazionale in Italia viene doppiato. Qual è la sua opinione sul doppiaggio? Andy Garcia: Preferisco i film in lingua originale, i film dovrebbero essere visti in lingua originale con i sottotitoli. Non che non siano bravi i doppiatori, ma in originale si vede meglio la performance di un attore!

Signor Garcia, ha esordito partecipando a serie oggi molto popolari come La signora in giallo. Com'è avvenuto il passaggio al cinema? Andy Garcia: Avevo piccole parti all'epoca! Ero andato a Los Angeles perché volevo fare cinema, mi sono concentrato sul "film", ma per anni ho lavorato in televisione perché non trovavo l'opportunità di lavorare per il grande schermo. Poi ho trovato un agente che ha creduto in me e che mi ha dato la possibilità di andare avanti. Il primo ruolo importante è arrivato con The Mean Season e da allora mi hanno offerto molti ruoli. Prima c'era una forte divario tra televisione e cinema al punto che se lavoravi in tv poi al cinema venivi snobbato, così ho rifiutato parecchie parti e ho dovuto attendere per il cinema, ma oggi le cose sono diverse.

Da ragazzo praticava sport, crede che la formazione sportiva l'abbia condizionata nel suo percorso cinematografico? Andy Garcia: No, è stata la mia "testa dura" - Andy lo dice in italiano - a farmi andare avanti! Ricordo che, per la scena de The Untouchables - Gli intoccabili in cui un bambino cade lungo le scale con la carrozzina, lo stuntman mi chiese se fossi riuscito a precipitarmi per fermarla e lanciare contemporaneamente una pistola a Kevin Costner. Io gli dissi che potevo e infatti feci una scivolata usata nel baseball - l'attore ci mostra fisicamente l'esatta posizione delle gambe -, anche se ancora adesso mi sorprendo di esserci riuscito. L'allenamento sportivo in quell'occasione mi ha consentito di girare senza difficoltà!

Secondo lei, da ex sportivo e attore, come mai nel cinema americano ci sono tante scene di basket? Andy Garcia: Quando lanci una palla, questa continua a rimbalzare da un film all'altro!!

Ci racconta come la scelsero per Il Padrino - Parte III? Come ricorda quell'esperienza? Andy Garcia: Quando ho iniziato a recitare, alle prime lezioni guardavo le scene de Il padrino, un film che ha avuto un ruolo molto importante nella vita e un'opera che io ritengo fantastica. Quando ero a Los Angeles negli anni '80 ho girato alcuni film per la Paramount come Black Rain, poi Internal Affairs, sviluppato appositamente per me... Un giorno Frank Mancuso senior, capo della Paramount, era a pranzo con me e mi chiese cosa avrei fatto a settembre, mi disse che aveva parlato con Coppola e che voleva che interpretassi una parte ne Il Padrino: parte terza, io risposi scherzando: - Controllo l'agenda e ti richiamo.

Poi andò al provino? Andy Garcia: All'inizio degli anni '80 circolava la voce che si sarebbe fatto Il Padrino: parte terza, quando mi hanno contattato l'ho sentita quasi come una chiamata di Dio, lo desideravo molto e sentivo di volerne far parte. Prima di allora alcune voci dicevano che per il ruolo di Vincent Mancini erano candidati John Travolta e Sylvester Stallone. Non ne sentii più parlare, e menomale visto che allora lavoravo come cameriere. Quando arrivò la telefonata invece stavo avendo successo come attore: Coppola mi ha chiamato, abbiamo fatto un provino e il ruolo è stato mio.
Sono stato fortunato, ma penso che qualunque attore nel mondo avrebbe voluto quella parte.

Per alcune riprese giraste a Roma. Cosa ricorda del tempo trascorso in Italia? Andy Garcia: Mi diedero un appartamento a Quarto Miglio, dove mi trasferii due settimana prima che iniziassero le riprese a Cinecittà, quando poi tutta la mia famiglia mi raggiunse.
La prima sera, mentre dormivo, ho sentito bussare alle pareti, volevo chiamare la polizia, ma non rispondevano allo 011, al 911!! Quella notte non sono riuscito a dormire. Il giorno dopo ho visto delle orme fuori alla porta, ero stanchissimo e mi hanno spiegato che erano gli zingari che probabilmente pensavano che la casa fosse vuota. Ma non avrebbero potuto rubare niente, solo la mia valigia e un pianoforte...

Cos'ha significato per lei lavorare con Francis Ford Coppola? Andy Garcia: L'esperienza con Francis Ford Coppola, per me un maestro di cinema, mi ha ispirato anche come regista. Guardavo i giornalieri con Gordon Willis, il direttore della fotografia, e lui mi spiegava tutto e rispondeva ogni domanda. Ho avuto la possibilità di vederlo dirigere da vicino un film e quest'opportunità mi ha indicato la strada per rinforzare il mio desiderio di diventare regista. E' incredibile, ma Willis usò solo due obiettivi per girare i tre film de Il Padrino su 40 e 75 mm!

Quando è stato a Roma in occasione di Ocean's Eleven, i giornali riportarono che lei trascorse una notte intera a suonare il pianoforte. Da dove nasce la sua passione per la musica? Andy Garcia: Io sono di Cuba! E Cuba significa musica!! Ce l'ho nel sangue da ragazzino. Studiavo percussioni da piccolo, ho imparato a suonare il bongo e l'ho suonato fino ai 14-15 anni. Mia nonna suonava il pianoforte e mia zia era musicista, ma non avevamo un pianoforte in casa perché non avevamo i soldi per comprarne o noleggiarne uno. Quando sono stato la prima volta a Roma, mi aveva contattato poco tempo prima lo sceneggiatore Guillermo Cabrera Infante dicendomi di aver scritto per me The Lost City, una via di mezzo tra Casablanca e Il padrino ambientato a L'Havana. Mi disse che il protagonista suonava, così pensai che fosse la buona occasione per imparare. Noleggiai un pianoforte e iniziai a studiare da autodidatta. Forse per quello gli zingari sono scappati!! Dopo una settimana usavo due dita però. Poi ci sono voluti 16 anni per trovare i finanziamento per quel film, ma intanto avevo imparato e ne ho composto anche la colonna sonora.

Ha accennato al suo trasferimento da Cuba a Los Angeles. Le sue origini cubane l'hanno segnata? Andy Garcia: Io sono Cubano, il mio Paese è Cuba, dove c'è però un sistema dittatoriale da 50 anni e io ho molto a cuore il dolore del mio popolo - l'attore si commuove e piange, poi continua - In tutto il mondo ci sono problemi, ma il mondo è libero, Cuba non lo è!

Lei ha sostenuto anche la musica cubana nella produzione. Se ne occuperà ancora in futuro? Andy Garcia : Ho prodotto 4 album del maestro Israel "Cachao" López e ho suonato anche nella sua orchestra. Non ho prodotto altri dischi perché il mio desiderio adesso è quello di registrare la mia musica originale e condividerla con il pubblico. Sul maestro Cachao ho anche prodotto un documentario, si chiama Cachao: uno mas ed è andato in onda sulla BBS, che lo stesso anno ne aveva trasmesso solo un altro, su John Lennon.

E' vero che per lei la regia è una sfida? Andy Garcia: Io adoro la regia! Ne sono stato sempre attratto fin da giovane e non mi dispiacerebbe l'idea di trascorrere il resto della mia vita a dirigere film. Ci sono storie che voglio raccontare, alcune delle quali sono già in fase di sviluppo... Mi piace l'idea di fare film indipendenti e veder cosa succede senza che abbiano un percorso prestabilito dagli studios, avere la libertà di fare qualcosa che mi piace e poi vedere che magari a un festival ci sono persone interessate... E' un viaggio molto puro, il cinema è una forma pura! Raccontare una storia come pensi di volerla raccontare è favoloso! Io sono più interessato a raccontare storie, come quelle raccontate Rossellini, De Sica...

Da attore invece come si avvicina ai suoi ruoli? Andy Garcia: Provo sempre a personalizzare i miei personaggi in tutte le emozioni che provano, cercando le passioni comuni. Cerco sempre di trovare una combinazione della storia con quello che sento. Il mio lavoro è recitare, non essere "recitato"! Nella vita sono una persona riservata, ma nel lavoro è il contrario, metto tutto me stesso nel mio lavoro ed è tutto visibile a tutti.

Sua figlia Dominik ha lavorato con lei come attrice in City Island. Che rapporto ha con lei sul set? Andy Garcia: Mia figlia Dominik recita da quando aveva 5 anni e aveva già lavorato con me ne Il Padrino: Parte terza, poi a 12 anni nel film The Lost City. Anche l'altra figlia, Daniella, ha recitato, sempre in The Lost City. La più piccola invece non è un'attrice ma una "boss" in casa. Abbiamo un rapporto molto professionale sul set, siamo come colleghi e non le dò mai consigli a meno che non sono nel ruolo del regista.

Come vengono scelti gli attori in America? Andy Garcia: E' molto difficile la professione dell'attore e non c'è mai abbastanza lavoro per tutti. E' una combinazione tra determinazione e preparazione. Se hai una passione, devi studiare e prepararti per questo viaggio! Quando ti presenti a un casting, per farti notare, devi impressionare, magari non ti danno subito la parte, ma poi dopo si ricordano di te.
Stanislavskij diceva: "Non amare te nell'arte, ma ama l'arte che c'è in te".

Signor Garcia, oggi sfoggia un look inedito, è legato a una produzione in corso? Andy Garcia: Sì, sto realizzando un film in Messico, il titolo è Cristiada, è una storia vera in cui interpreto la parte del generale Enrique Gorostieta. Ecco perché ho dei baffi così buffi! Inoltre sono in fase di preproduzione per realizzare una serialità lunga, a cui parteciperò come produttore e attore, ma non c'è ancora il titolo perché sono indeciso.

Anche lei dunque si rivolgerà al settore televisivo? Andy Garcia: Sì, come ho detto prima, oggi ci sono difficoltà a trovare finanziamenti. Ci abbiamo messo 16 anni per The Lost City, 5 per City Island... Adesso sto partecipando a un'altra produzione come regista e attore: Hemingway & Fuentes con Anthony Hopkins nella parte dello scrittore e Fuentes interpretato da me. Attualmente però è difficilissimo trovare finanziamenti anche perché si tratta di una produzione ad alto budget essendo un film d'epoca. Spero che non debbano passare altri 16 anni!

Nell'ultimo film, City Island, l'abbiamo vista imitare Marlon Brando. Da dov'è nata quell'idea? Andy Garcia: Quando Raymond De Felitta, regista e sceneggiatore del film, mi ha mandato il copione insieme abbiamo parlato a lungo del protagonista e ci è venuta un'idea: il mio personaggio è una guardia carceraria che ha il sogno segreto di diventare attore. Pensavamo a come caratterizzarlo, al fatto che non avrebbe dovuto avere tanti dvd e poster perché è uno timido, ma avrebbe potuto avere solo una biografia di Marlon Brando chiusa nel cassetto... Così abbiamo scritto la scena del provino a cui lui arriva nervoso perché non sa che fare, ha una reazione illogica, trema e gli esce fuori quel suono simile a Brando - che Andy Garcia ha imitato in sala!