Unfitting, Giovanna Mezzogiorno: "Il body shaming? Può distruggere la vita di una persona"

Alla Festa del Cinema di Roma l'attrice presenta il suo debutto alla regia: un cortometraggio sul body shaming subito in prima persona.

Unfitting, Giovanna Mezzogiorno: 'Il body shaming? Può distruggere la vita di una persona'

Unfitting, ovvero inadeguato. È il titolo del cortometraggio con cui Giovanna Mezzogiorno esordisce alla regia, ma è anche il modo in cui dopo la gravidanza il suo corpo è stato etichettato più volte sui set dove ha lavorato. L'idea è nata dalla direttrice di Grazia, Silvia Grilli, al termine di una chiacchierata con l'attrice esattamente un anno fa, quando "Giovanna mi raccontò di quel periodo della sua vita e mi parlò degli episodi di bullismo sul proprio corpo realmente accaduti sui set. Al termine di quella conversazione andai a digitare sui motori di ricerca il suo nome e mi colpirono le domande degli utenti che venivano fuori: 'Quanto pesa Giovanna Mezzogiorno? Giovanna Mezzogiorno gonfia? Giovanna Mezzogiorno malata?'. Ho pensato che questo bullismo digitale meritasse non solo un'intervista, ma qualcosa di più. E così le ho chiesto a Giovanna di scrivere e dirigere Unfitting". Prodotto da Manuela Cacciamani per One More Pictures e presentato alla Festa del Cinema di Roma, il corto è intrepretato da Carolina Crescentini, Massimiliano Caiazzo e Marco Bonini.

L'impatto del body shaming sulla vita di chi lo subisce

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Fabio Volo in una scena di Unfitting

Di body shaming "si chiacchiera tanto, - dice Giovanna Mezzogiorno - ma non si è mai veramente raccontato quanto possa essere grave per una persona. Non pretendo che sia io con un film a cambiare una cultura millenaria, non mi illudo di poterlo fare. In fase adolescenziale può essere devastante e indurre anche a gesti molto gravi; a me è successo a cinquanta anni e fa male comunque, fa male sempre. Si è parlato molto all'epoca della mia gravidanza, del fatto che avessi preso venti chili ed è vero, ma era anche un alibi: sono stata grassa per dieci anni non solo perché ho avuto due gemelli, ma anche perché sono stata pigra, ho fatto più vita casalinga che lavorativa ed era più facile andarsi a svuotare il frigorifero. Bisogna essere onesti, è anche colpa mia e non solo del fatto di aver avuto due gemelli, due figli meravigliosi. Che questo diventi un'arma per offendere, denigrare e ricamare leggende, ad esempio sul fatto che fossi malata, è una cose grave che può rovinare la vita di una persona". Ispirandosi alla propria vita Mezzogiorno racconta in Unfitting la storia di Giovanna, un'attrice rifiutata perché il suo aspetto fisico non corrisponde ai canoni estetici imposti nel mondo del cinema.

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Carolina Crescentini e Marco Bonini in una scena di Unfitting

E ricorda ad esempio quella volta che partecipò "a una famosa trasmissione domenicale. Avevo una cisti all'occhio, non posso negare mi desse un aspetto sinistro perché sembrava che mi avessero menato, ma in quel momento dovevo fare una promozione, quindi ci sono andata. I commenti che arrivarono il giorno dopo mi fecero rabbrividire: dicevano che ero malata, che non stavo bene. Si viene a creare qualcosa di allucinante ma ci vuole resistenza: bisogna prima che ti passi lo sbigottimento, poi serve capire che cosa è successo, e infine bisogna saperne ridere".

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Carolina Crescentini, l'ironia come autodifesa

Carolina Crescentini alla Festa del Cinema di Roma 2007
Carolina Crescentini alla Festa del Cinema di Roma 2007

Non la pensa diversamente Carolina Crescentini che la interpreta: "Vivo lo stesso tipo di bullismo. Porto una 42 che sembra un insulto a tutto: alla moda, ai costumisti che ti dicono 'Scusa per favore potresti perdere peso? Perché per questa scena vorrei usare proprio quest'abito'. E penso che magari andrebbe scelto un abito che vada bene all'attore senza imporlo; per fortuna ho un buon carattere perché mi prendo spesso in giro, la mia difesa quando mi capitano queste cose è sapermi prendere in giro per stemperare, perché fa male e l'unico modo che ho per superarlo è ridere di me o della situazione. È una continua mancanza di rispetto e educazione. Se questo corto può far sentire a disagio almeno per tre secondi chi ci ha fatto sentire a disagio per più tempo, allora è già una vittoria. Il nostro lavoro è fatto anche di immagine, ma siamo chiamati a fare questo mestiere per ciò che possiamo apportare emotivamente, e testa e cuore dovrebbero essere un po' più importanti di un girovita". Una ferocia che arriva tanto dagli uomini quanto dalle donne: "Pancia in dentro", sussurra alla protagonista il suo addetto stampa (Marco Bonini) prima di affrontare i fotografi; "ma che cazzo è sta roba? Non lo vedi il doppio mento che ha?", si lamenta la regista (Ambra Angiolini) sul set del film a cui Giovanna sta lavorando; "abbiamo un problema, sei grassa" le dice dritto in faccia il produttore (Fabio Volo).

La mancanza di emancipazione maschile

In Treatment: Giovanna Mezzogiorno nella serie
Giovanna Mezzogiorno in una scena della serie In Treatment

"È qualcosa che viene agita soprattutto dal punto di vista maschile, ma anche agli uomini succede in forme diverse di essere vittime di giudizio. Il mondo dell'intrattenimento si nutre molto del chiacchiericcio che fa passare il talento in secondo piano", racconta Massimiliano Caiazzo che interpreta un giovane attore, l'unico a dimostrare comprensione e umanità verso la protagonista: "Il mio personaggio si pone in modo empatico nei confronti del tema. L'arte non può cambiare le cose, ma può scuotere le persone". Al progetto partecipa anche Marco Bonini sia per l'amicizia fraterna che lo lega all'attrice da trenta anni, sia "per la mia militanza nella questione di genere. L'emancipazione femminile va avanti dagli anni '60, quella maschile non è mai partita e questo è il problema dei problemi". "Lo stiamo vedendo nella cronaca di questi giorni, con le vicende della nostra Presidente del Consiglio" - spiega - "non è sicuramente della mia parte politica, ma è una donna che stimo e che è stata vittima dentro casa dell'assenza di emancipazione maschile che ha annaspato e ha cercato conferme in certezze ormai obsolete e anche un po' ridicole. C'è bisogno di cambiare il paradigma che vede il femminile e il maschile attraverso una forma estetica, e adottarne uno che invece li concepisca attraverso una relazione. La riduzione di una donna alla sua forma è la possibilità di oggettivizzarla, possederla, definirla e controllarla. Non dobbiamo semplicemente essere gentili e non dire certe cose, serve smettere di pensarle e ripensare una relazione tra mensile e femminile che preveda un'idea nuova di maschile".