Maradona: Sogno benedetto, Edoardo De Angelis: “Diego rappresenta un sogno che si è realizzato”

La nostra intervista a Edoardo De Angelis, regista degli episodi italiani di Maradona: Sogno benedetto, la serie Amazon che racconta il calciatore argentino, dal 29 ottobre su Prime Video.

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Maradona: Sogno benedetto - una suggestiva immagine della serie

Un mese intenso quello di novembre per la serie Amazon su Diego Armando Maradona: dal debutto del 29 novembre con i primi cinque episodi, Maradona: Sogno benedetto ha proseguito il suo cammino fino al finale di stagione pubblicato il 26 novembre. Un cammino che abbiamo accompagnato proponendovi le nostre interviste ai volti hanno animato il racconto, soffermandoci in conclusione sul regista che si occupato di portare su schermo i segmenti napoletani di questo viaggio partito da Buenos Aires e terminato, per ora, in quel di Città del Messico con la coppa del mondo del 1986. Si tratta di Edoardo De Angelis, con cui abbiamo discusso di quel che ha rappresentato Maradona, ma anche di quello che per lui offre la città in cui si è compiuto il suo miracolo. La Napoli di cui non sembra essersi stancato di raccontare storie.

Sul set di Maradona: Sogno benedetto

Ci racconti come ti sei avvicinato a questo progetto e come sei entrato in contatto con la produzione?

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Maradona: Sogno benedetto - un'immagine della serie

È un progetto a cui si è avvicinato prima il mio socio, Pierpaolo Verga, che me l'ha raccontato. C'era un collegamento tra me e questo personaggio legato alla mia infanzia, perché avevo dei ricordi degli scudetti vinti dal Napoli. All'epoca vivevo a Portici, che è uno dei più sovrappopolati al mondo, un comune vesuviano. Ricordo un'esplosione di azzurro per tutte le strade e un'emozione molto forte. Ricordo di essere stato spettatore e anche un po' protagonisti, perché tali si sentono i tifosi delle vittorie e le sconfitte della propria squadra. Da bambino ero tifoso e ho fatto anche io parte di quel pezzo di storia irripetibile che generò questo essere umano qui a Napoli e mi è sembrata una tentazione a cui è stato impossibile resistere.

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Com'è lavorare a una serie in cui la tua visione deve convivere con quella di altri autori?

Devo confessare che lo showrunner mi ha chiesto esplicitamente di essere me stesso nel racconto di questa parte di Maradona e ho lavorato a questo progetto in totale libertà espressiva. Quindi mi sono anche molto divertito, ma devo ammettere che ignoravo tutto quello che era stato fatto prima e dopo, è come se fossi stato invitato a cantare a un matrimonio che è già cominciato e non è finito dopo la mia esibizione, ma mi hanno chiesto di fare i miei pezzi.

Si riesce a resistere all'emozione girando determinate scene?

Per me raccontare storie significa questo: generare delle emozioni e lasciarsi attraversare da loro. Ho cercato di ricreare, pescando nel mio ricordo, quelle emozioni che vennero generate all'epoca. Ho cercato di fare in modo di sprigionarle per far sì che tutti vengano attraversate da quelle emozioni. Non mi sono preoccupato di ricreare delle scene, quanto di farle accadere.

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Maradona è stato già raccontato altre volte sia in film di finzione che documentari e ogni volta c'è un punto di vista diverso su si lui. La serie che immagine di Maradona ha cercato di riprodurre?

Credo che spesso si commetta l'errore di considerare Maradona un calciatore. Questo individuo è stato la possibilità per un'intera città di vivere un sogno. La mia è una città che non crede a niente, soltanto ai miracoli, perché soltanto i miracoli per noi sono veri e la realtà ci sembra insufficiente o triste. I miracoli sono veri e sono belli. Per me è stato questo Maradona: un sogno che si è realizzato. È qualcosa che trascende lo sport, trascende i vizi, trascende i risultati, trascende anche le possibili letture politiche. Perché è qualcosa che trascende la realtà.

Hai accettato Maradona perché ha quello spirito di ribellione che ti attrae?

Probabile che sia così. È un unicum. Nn lo considero un calciatore, nemmeno uno sportivo. È più un demiurgo che ha preso dall'iperuranio delle idee e le ha fatte diventare una realtà. Ricordiamo che questa città negli anni '80 era depressa, sporca, soggiogata dalla criminalità organizzata. Non era la Napoli di oggi. Lui è arrivato e ha fatto dei miracoli e la gente ci ha creduto perché erano veri.

Sei tifoso?

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Maradona: Sogno benedetto - un momento del periodo napoletano del calciatore

No. Da bambino ero molto tifoso. Amo moltissimo lo sport, sono stato un pallanuotista, amo molto la potenza simbolica del gesto atletico. Oggi non mi considero un tifoso e forse questo piccolo distacco mi ha permesso di guardare a questo fenomeno con la giusta distanza. Anche se nel farlo sono tornato indietro ai sentimenti di bambino che sono fondamentali per raccontare quella dimensione che è totalmente irrazionale che è la relazione tra un essere umano e un idolo come era Diego. Il concetto su cui ho lavorato per raccontare Maradona a Napoli è la dimensione dionisiaca in cui si è immerso stando a Napoli.

C'è un'immagine in particolare che ricordi di Maradona a Napoli che hai cercato di riprodurre?

Ricordo mia nonna in ospedale, sola in una città in festa. Non l'ho riprodotta, ma ho ripreso tante sensazioni dell'epoca per raccontare le scene che ho ricevuto, perché non l'ho scritta, e che ho filtrato attraverso queste sensazioni.

Chi pensi che vinca in questa serie? Il Diego ragazzo o il Maradona mitizzato?

La serie accende parecchi riflettori anche sulla dimensione umana di Diego e ci sono diversi aspetti inediti della sua vita, fatti che non sono mai stati veramente raccontati o approfonditi. Si è fatto un lavoro di ricerca approfondito che ha tirato fuori non solo aspetti inediti, ma anche punti di vista diversi su aspetti noti.

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La visone di Edoardo De Angelis

Da regista, il rapporto cinema/televisione lo vedi conflittuale o possono convivere?

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Maradona: Sogno benedetto - un'immagine di scena

Il cinema continuerà a essere il faro che illumina tutta la ricerca sul linguaggio audiovisivo. Che poi sia un graffito sul muro o qualcosa di visto sullo schermo su un computer, l'essere umano non smetterà mai di desiderare di assistere a uno spettacolo, di ascoltare storie che lo riguardino. Che sono sempre le storie della sua vita con una via d'uscita, che nella vita non sappiamo se ci sarà. Guardo con estrema curiosità l'evoluzione del mezzo, ma il mio è un mestiere che non può invecchiare, perché raccontare storie è un mestiere eterno.

Quando eri piccolo a Portici pensavi già di fare il regista?

Da piccolo a Portici facevo danza classica. Poi ho fatto il cantante, l'attore, tutto con risultati disastrosi. Poi ho capito che c'era un mestiere in cui poteva chiamare quelli bravi a fare tutto questo. E quel mestiere è il cinema.

Da regista trovi interessante raccontare Napoli?

Napoli è una città che offre tantissime visuali diverse e ognuna di queste contiene dentro di sé un mondo. Sono più abituato ad esplorare le periferie della città, ma questa storia richiedeva di immergersi nel ventre della città. Un ventre che si è modificato radicalmente, soprattutto negli ultimi anni. Eppure le sue viscere a me sembrano immutate. Se vai in profondità, nelle fogne, non cambiano tanto. Ma è lì che vedi veramente qual è il distillato dell'umanità. Napoli è una delle poche città che può essere autarchica, produce e consuma i suoi stessi miti.

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C'è un aspetto di Napoli che non hai ancora raccontato e sul quale ti piacerebbe concentrarti?

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Milioni! Avevo promesso al mio produttore che saremmo andati via da Castel Volturno, ma non so se riusciremo a mantenere questa promessa. È una calamita troppo forte per me, perché in questa terra c'è una compresenza degli elementi della natura che si esprimono con una potenza così deflagrante che è difficile andarsene. E poi se penso di andarmene mi dico per andare dove? E perché? Non sono attratto dalle storie della borghesia, quindi perché andar via? Per ora sono soggiogato dalla forza evocativa della terra che mi ha generato e che genera tutte le mie storie.