Courmayeur 2013: con Incerti arriva la Neve, ma solo sullo schermo

Il regista napoletano torna al cinema con un film completamente indipendente costruito come un on the road intimo cui due piccole umanità perse si sottopongono per dare un senso alle proprie esistenze.

La realizzazione de Il verificatore, L'uomo di vetro e Gorbaciof ha richiesto molti anni. Questa volta, però, Stefano Incerti non voleva aspettare troppo per tornare al cinema ed è per questo che, nonostante le difficoltà economiche, ha deciso di realizzare ad ogni costo il suo Neve, presentato in concorso al Courmayeur Noir in Festival. Così, con una troupe limitata a soli dodici elementi compreso il cast e la volontà di coprire qualsiasi ruolo, artistico e non, il film racconta il viaggio interiore di Donato (Roberto De Francesco), un oscuro infermiere carcerario alla ricerca del suo tesoro personale capace di accendere una debole luce di speranza all'interno della sua quotidianità. Però, quando incrocia il cammino con Norah, i suoi piani vengono in parte stravolti trovandosi a confronto con un altra umanità in fuga disperatamente alla ricerca di un segno di "salvezza". Riusciranno tutti e due a rintracciare ciò che stanno affannosamente e con poca chiarezza aspettando? Nemmeno Il regista Stefano Incerti e la protagonista Esther Elisha, arrivati a Courmayeur per presentare il film, possono svelarlo.

Il suo film è stato realizzato senza alcuna sovvenzione pubblica ed ha seguito un percorso abbastanza complesso. Ci può raccontare cosa è successo? Stefano Incerti: Ora ne sorrido ma credo sia stato un vero atto politico. Il mio film precedente, Gorbaciof, ha avuto un certo successo soprattutto all'estero e mi aspettavo, in un certo senso, che il mio curriculum accomunato con una richiesta economica molto bassa sarebbero stati apprezzati. Considerate che Neve è costato un terzo di Sacro Gra. Nel cassetto avevo dei progetti più costosi ma vista la condizione della produzione italiana li ho accantonati per una storia diversa. E questo film è arrivato da un giorno all'altro. Sapevo che se avessi fatto richiesta immediatamente in Italia mi sarei dovuto sottoporre ad una trafila incredibile, perdendo un anno di tempo. Così ho mandato il soggetto direttamente a Bruxelles ed abbiamo ottenuto l'appoggio della Comunità Europea. Nonostante questo non siamo stati comunque considerati in Italia. Anzi, il progetto è stato tra i primi ad essere esclusi. Attenzione, questa non vuol essere la polemica di chi non è stato finanziato, ma credo che il sistema con cui vengano assegnati i sostegni economici non sia del tutto trasparente. La cosa grave è che la commissione dovrebbe prevedere la presenza di eccellenze cinematografiche e non di oscuri funzionari.

Questa situazione non le ha regalato, però, una maggiore libertà?
Ho sempre difeso la mia libertà, anche scegliendo attori non particolarmente noti. Ancora ricordo quanto sia stato difficile lottare con la Rai per L'uomo di vetro. Per questo film volevo con me Roberto De Francesco e Esther Elisha. E sono assolutamente convinto della ricchezza che hanno regalato alla storia. Le condizioni in cui abbiamo lavorato non sono state delle migliori. Pochi soldi, tempi stretti, una troupe ridotta all'osso e assenza totale di comfort. Però quando c'è lo spirito giusto e le cose cominciano a mettersi a posto, il film alla fine viene fuori. Ora come ora abbiamo una distribuzione potenziale con Microcinema che proveranno a farci uscire tra febbraio e marzo.

Come è arrivato a girare nelle nevi dell'Abruzzo?
Conoscevo la regione e mi ha sempre ricordato una piccola Svizzera. Inoltre non l'ho mai vista al cinema dopo La strada di Fellini. E per finire era vicina, gestibile tanto che in un giorno abbiamo fatto anche cinque scene. La neve mi serviva per raccontare personaggi sotto pressione. Pensavo che il contesto non fosse solo un bel panorama ma un motivo in più per raccontare il freddo che avevano dentro.

Esther, questo è stato il tuo primo ruolo da protagonista ma costellato da molte difficoltà. Qual'è la tua visione del film? Esther Elisha: Pensavo di essere preparata ma non lo ero affatto, tanto che sul set ero quasi sempre arrabbiata per tutto quello che dovevamo gestire. Non avevamo roulotte, ne truccatori o costumisti. Ognuno di noi doveva vestire più ruoli, anche organizzativi. Ora appuro bene in che condizione andrò a lavorare. Questo per canalizzare in modo diverso le mie energie.
Stefano Incerti: Mente ero sul set c'era molta rabbia per come mi trattava il mio paese. Allo stesso tempo però ho capito che io voglio fare film, raccontare delle storie e non diventare il regista simbolo del cinema italiano. Desidero esplorare aree diverse, portare in evidenza anche storie che parlano di sofferenza, ma questo sembra una jattura agli occhi di un produttore. Per quanto riguarda Esther ho cercato di raccontare quello che sarebbe successo ma l'ho anche rassicurata che avremmo utilizzato la miglior qualità possibile.

Lei ha ammesso di aver dato grande spazio ai suoi interpreti, soprattutto in fase di sceneggiatura. Come gestisce il rapporto con gli attori?
Considerate che da questo punto di vista io sono cresciuto con Martone e Servillo. Con loro ho assimilato la cura con cui si gestisce e prepara l'insieme cui deve essere abbinata la stima e il rispetto da dare agli attori. Credo fermamente che la scelta di un interprete rispetto ad un altro potrebbe cambiare completamente linguaggio e atmosfera di un film. Per questo motivo con Roberto e Esther abbiamo lavorato insieme sulla prima stesura, soffermandoci sullo snodo di alcuni personaggi. Credo che quando un attore ha talento ed ha la capacità di far vivere dentro il personaggio, il registra non deve mai ripetersi troppo. Il nostro ruolo è fondamentale per la preparazione. Ossia quando devi dare tutti gli elementi che, andando oltre la sceneggiatura, li possa aiutare ad entrare nel personaggio.

Parlando di personaggi, lei sembra avere una passione per i disperati. Cosa l'appassiona di questo modello?
Non è la ricerca dell'orrido però mi appassionano storie apparentemente più insignificanti. Mi unisco ai deboli. Ho l'impressione che contengo una verità che non si può nascondere.