Gli Oscar, gli underdog e la fabbrica dei sogni

L'Academy premia i film più indipendenti e le star meno celebrate e regala alla luccicante serata degli Oscar un lieto fine da vera e propria favola.

Se c'è uno "sport" che unisce tutti gli appassionati di cinema, anche coloro che per primi si definiscono fieri di snobbare la manifestazione, è quello del toto Oscar, ovvero cercare di prevedere quelli che saranno i premiati ed ovviamente i grandi esclusi dall'Academy anno dopo anno. Come spesso succede, quando poi queste previsioni si avverano, tanta è la delusione per il mancato colpo a sorpresa, non importa quanto gli effettivi risultati potessero essere impensabili anche solo qualche mese prima. E' il caso ovviamente degli Oscar 2010, in cui un film come The Hurt Locker - arrivato nelle sale con grosse difficoltà e reso visibile ai più soltanto grazie al supporto e al plauso della critica statunitense ed internazionale - riesce a sconfiggere il ciclone Avatar, il film che ha incassato di più nella storia del cinema (solo negli States il film di Cameron ha ottenuto un incasso pari a circa 48 volte quello di The Hurt Locker) e che ne ha rivoluzionato, probabilmente per sempre, la tecnica, grazie ad un autore che alla sua ultima presenza da protagonista al Kodak Theatre aveva conquistato con Titanic 11 statuette e il titolo di "Re del mondo".

Con il senno di poi è ovviamente facilissimo intravedere in questa scelta dell'Academy una vittoria di Davide nei confronti di Golia, del piccolo film indipendente che sconfigge il blockbuster più grande che ci sia, del cinema più tradizionale ed impegnato che ancora una volta si trova preferito al fantastico e all'immaginifico; eppure, prima dei tanti premi ricevuti dalla Bigelow nelle scorse settimane presso le Guild più importanti, nessuno poteva realmente credere che l'Academy potesse fare uno "sgarbo" così grosso al suo Re, a colui che più di tutti aveva appena fornito linfa vitale all'industry grazie al suo straordinario successo e alle potenzialità delle sue più recenti tecnologie.
Ma è anche vero che, come abbiamo spesso detto, Hollywood vive e si nutre di sogni; più volte, quando, così come oggi, fatica a regalare storie originali, che possano far volare l'immaginazione e accendere le emozioni - che sappiano, magari, rinverdire i fasti di quell'American Dream da sempre protagonista dei film da Oscar (e quest'anno al cuore soltanto di una delle dieci nomination, The Blind Side) - i membri del'Academy si sono scoperti incapaci di resistere alla tentazione di avverare i sogni non di un solo, oscuro candidato, ma della più folta schiera di indipendenti che memoria ricordi.
Se l'anno scorso aveva fatto sensazione la cavalcata di The Millionaire, che, partito in sordina, scevro di glamour e divismo, aveva conquistato il favore della stragrande maggioranza dei membri dell'AMPAS, quest'anno quasi tutti i vincitori di questi 82. Academy Awards sono, sulla carta, underdog quanto il film di Danny Boyle: è il caso, naturalmente, di Kathryn Bigelow, prima donna a mettere le mani sull'Oscar per la migliore regia, che si toglie la soddisfazione di battere l'ex marito e mentore James Cameron; del Geoffrey Fletcher di Precious, primo sceneggiatore afroamericano a conquistare il riconoscimento dell'Academy, e dei due interpreti non protagonisti Christoph Waltz e Mo'nique, il primo uno sconosciuto con alle spalle una lunghissima e oscura gavetta, la seconda nota fino ad ora negli USA esclusivamente per il suo lavoro sul piccolo schermo.
Stesso discorso vale per i due attori premiati per ruoli da protagonisti: Jeff Bridges, divo sì ma fuori dagli schemi, figlio d'arte e da sempre eroe del cinema indipendente e di culto d'America, e Sandra Bullock, attrice che ha sempre avuto un enorme appeal commerciale ma mai, fino ad ora, considerata un vero talento, come dimostra l'irriverente e provocatorio Raspberry Award inflittole solo l'altro ieri per la commedia All About Steve (che la diva, con una grazia e un'autoironia che non le conoscevamo, è andata a ritirare personalmente).
In una notte in cui a salire sul palco del Kodak Theater sono stati volti diversi da quelli dei "soliti sospetti", a farne le spese sono stati personaggi del calibro di Quentin Tarantino, Morgan Freeman, Meryl Streep, e film come Avatar e soprattutto Tra le nuvole, che, in altro momento, in un'altra edizione, avrebbe potuto dominare in lungo e in largo la nottata più emozionante dell'anno cinematografico hollywoodiano. Ma alla tentazione di vedere l'American Dream divenire realtà è difficile resistere, soprattutto per i giganti della Mecca del cinema, che sui sogni, d'altronde, hanno costruito un'intera industria.