Mia balla da sola

Con la conferma della vitalità del suo talento e della sua sensibilità rappresentata da questo secondo lungometraggio, la poliedrica cineasta del Kent riesce a non farsi fagocitare dagli illustri precedenti e a proporre una personale idea di cinema che fa confidare in una carriera autorevole e interessante.

Mia ha quindici anni, una madre assente ed egoista e un sogno che tiene per sé, e che persegue nella solitudine e nello squallore di un misero sobborgo inglese. La sua rabbia l'ha isolata dalle sue coetanee e ha fatto di lei una cretura che nessuno è in grado di gestire, una ragazza piena di energia, di carattere e di una bramosia di calore che finisce per lo più per metterla nei guai. Ma qualcosa sembra cambiare quando nella vita di Mia approda Connor, il nuovo boyfriend della madre, un uomo gentile e piacevole che le fa conoscere California Dreamin' e le riporta il sorriso. Prima di costarle l'ennesima, lacerante delusione, quella che la indurrà a imboccare una strada senza ritorno.

Andrea Arnold, già premio Oscar per il corto Wasp del 2003 e vincitrice del Jury Prize a Cannes con il suo primo lungometraggio, torna al festival transalpino con un film che odora di sudore, birra sfiatata e amarezza. La partecipe soggettiva attraverso la quale la regista ci racconta il mondo di Mia è sempre realistica ed efficace, anche grazie alla bravura e alla grazia nervosa dell'esordiente Katie Jarvis - ottimamente spalleggiata dal talento di Michael Fassbender e dalla fisicità di Kierston Wareing.
Nonostante nel suo complesso lo sviluppo narrativo del film segua un paradigma canonico, Fish Tank ha il pregio di esplorare territori inusitati - e anche terrificanti - in un paio di sequenze, e di non essere mai del tutto prevedibile, rispecchiando in tal modo i moti dell'animo di una ragazzina spaesata e spesso fuori controllo.

Lo sboccato, a tratti quasi indecifrabile street talk e il ritratto di una provincia industriale britannica dilapidata e insidiosa ci inducono a collocare la Arnold in un filone ben delineato all'interno della cinematografia di Sua Maestà, quello che ci ha dato i capolavori di Ken Loach e Mike Leigh. Con la conferma della vitalità del suo talento e della sua sensibilità rappresentata da questo secondo lungometraggio, la poliedrica cineasta del Kent riesce a non farsi fagocitare dagli illustri precedenti e a proporre una personale idea di cinema che fa confidare in una carriera autorevole e interessante.