Jafar Panahi condannato: niente film per vent'anni

Stretta di Teheran sul regista. Sei anni di carcere e l'interdizione ventennale a lasciare il paese, scrivere sceneggiature, girare film e rilasciare interviste.

Scandalosa sentenza per il regista iraniano Jafar Panahi. Il cineasta è stato condannato a sei anni di prigione e il tribunale lo ha interdetto a realizzare film o lasciare il Paese almeno per i prossimi vent'anni. Ad annunciare la terribile notizia è stato l'avvocato del regista simbolo del dissenso contro il governo del presidente Mahmoud Ahmadinejad, il quale ha aggiunto che presenterà ricorso in appello contro la sentenza. Panahi, vincitore del Leone d'Oro a Venezia nel 2000 con Il cerchio, film corale sulla storia di otto donne incarcerate nell'Iran contemporaneo, era stato arrestato lo scorso marzo a Teheran insieme alla moglie e alla figlia mentre si trovava nel suo appartamento. Insieme a lui erano state prelevate altre quindici persone, tra i quali alcuni altri registi e attori. Successivamente uomini in borghese appartenenti al regime avevano perquisito la casa per cinque ore portando via diverso materiale, tra cui il computer di Panahi. Il regista - impegnato nella preparazione di un documentario sulle proteste antigovernative post elettorali scoppiate in Iran dopo la contestata rielezione a presidente di Ahmadinejad avvenuta nel giugno 2009 - era stato rilasciato su cauzione dopo due mesi. Per la sua liberazione si erano battuti, con appelli, proteste e iniziative, centinaia di artisti in tutto il mondo, fra i quali Steven Spielberg, Martin Scorsese, Ang Lee, Oliver Stone, Tim Burton e il collega iraniano Abbas Kiarostami.

Gli organizzatori della passata edizione del Festival di Cannes avevano invitato Panahi a far parte della giuria ufficiale trasformando la sua assenza in protesta simboleggiata da una sedia vuota. Anche il direttore di Berlino Dieter Kosslick, solo pochi giorni fa, aveva invitato Panahi a far parte della giuria internazionale della prossima edizione augurandosi che le autorità fornissero all'artista il consenso per lasciare il paese. Già prima della sentenza Panahi, bollato come intellettuale scomodo e accusato di voler attentare alla sicurezza dello stato, aveva commentato la sua condizione con queste parole: "Quando a un regista viene negata la possbilità di fare film è come se la sua mente fosse già in prigione. Anche se è libero e non rinchiuso in una piccola cella, si ritrova perso a vagare in una cella più ampia".