Recensione L'ipnotista (2012)

Lasse Hallstrom dimostra di avere il controllo della situazione dosando con attenzione le informazioni fornite allo spettatore per evitare di svelare troppo presto la soluzione dell'enigma.

Stoccolma dark: viaggio nella mente del killer

Ritorno a casa per Lasse Hallstrom. Il regista svedese, accolto a braccia aperte da Hollywood, abbandona momentaneamente le commedie romantiche alla Nicholas Sparks per adattare un altro genere di romanzo. Stavolta si tratta di un thriller scandinavo: L'ipnotista di Lars Kepler, pseudonimo dietro cui si nasconde una coppia di autori svedesi. Diciamo subito che il genere poliziesco giova ad Hallstrom aiutandolo ad asciugare il suo stile fino a eliminare quasi del tutto quei vezzi che spesso rendono il suo cinema troppo edulcorato e a tratti naif. Per raccontare l'indagine che vede coinvolti l'ispettore dell'anticrimine di Stoccolma Joona Linna (Tobias Zilliacus) e il medico ipnotista (Mikael Persbrandt, l'intenso protagonista di In un mondo migliore), l'autore di Chocolat e La mia vita a quattro zampe adotta un tono asciutto, secco, rapido, che valorizzi la suspence amplificando i momenti drammatici. Non manca qualche pausa narrativa di troppo, ma stavolta il regista risce a gestire piuttosto bene il ritmo dell'indagine spingendo lo spettatore a seguire con attenzione la vicenda per cogliere ogni dettaglio necessario a scoprire l'identità del killer.


Chi ha sterminato la famiglia di Josef a coltellate lasciando in vita solo il ragazzino, in coma per le ferite riportate, e una sorella maggiore che da tempo vive per conto suo? L'interesse de L'ipnotista corre su un doppio binario. Da un lato seguiamo quella che è una classica indagine criminale, portata avanti da un ispettore single work alcoholic intento a passare più tempo in auto che nella propria abitazione. Niente di nuovo sotto il sole. A fianco di questa situazione classica, però, un ampia fetta di pellicola è dedicata a esplorare la situazione familiare dell'ipnotista Erik, il suo peso fondamentale nell'indagine, la sua relazione traballante con la moglie Simone (Lena Olin) e l'affetto per il figlio malato costruendo una struttura più complessa del previsto. Queste due vicende parallele andranno progressivamente a intrecciarsi fino a confluire in un unico climax finale.

Lasse Hallstrom dimostra di avere il controllo della situazione dosando con attenzione le informazioni fornite allo spettatore per evitare di svelare troppo presto la soluzione dell'enigma. Il regista adotta uno stile visivo che ricorda molto da vicino quello della trilogia svedese Millennium (la versione con Noomi Rapace). La fotografia brumosa sfrutta le suggestioni di un Stoccolma notturna e coperta di neve, dei paesaggi candidi e del cielo plumbeo per ambientarvi una vicenda nerissima. In questo quadro cupo il regista non disdegna di inserire scene violente e dettagli sanguinolenti, quasi pulp, per lui inediti. A smorzare l'effetto di questi picchi, che in paio di occasioni fanno letteralmente sobbalzare dalla poltrona, ci pensano purtroppo alcune trovate poco in linea con il tono complessivo (una per tutte, la visione ipnotica di Lena Olin in un campo di grano che sembra presa in prestito da Tideland di Terry Gilliam) e un finale non troppo plausibile. Questi cali di tensione, per fortuna, sono troppo sporadici per intaccare il ritmo complessivo di un film che in patria ha convinto pienamente tanto da risultare il candidato che rappresenterà la Svezia ai prossimi Oscar, ma che non si eleva dal rango di prodotto d'intrattenimento di media qualità. Per gli amanti del thriller, però, il divertimento è garantito. Per il momento tanto ci basta.

Movieplayer.it

3.0/5