Roma 2013: Il festival si mette in viaggio con Tir

Già apprezzato per il suo Rumore bianco, il regista Alberto Fasullo torna dietro la macchina da presa per raccontare umanità in movimento e trasformazione. Ecco il resoconto dell'incontro stampa al festival capitolino.

La Tucker Film, dopo il successo riscosso al Festival di Venezia da Zoran, il mio nipote scemo di Matteo Oleotto, prova a bissare il risultato con TIR, diretto da Alberto Fasulo (Rumore bianco) e presentato in Concorso all'ottava edizione del Festival Internazionale del film di Roma. In questo caso ci troviamo di fronte ad un road movie che, muovendosi tra est ed ovest lungo il così detto "corridoio 5", racconta la vicenda dell'ex professore Branko. Trasformatosi in camionista per una ditta italiana nella speranza di un guadagno migliore, l'uomo trascorre venticinque giorni al mese lungo la strada che, nei piani dell'Unione Europea, unirà Lisbona con Kiev. A raccontarci questa avventura è il regista Fasulo e il suo protagonista Branko Zavrsan.

Fasulo, lei ha uno stile più vicino al documentario che non alla narrazione di fiction. In questo caso non si è sentito un po' limitato a lavorare su di una sceneggiatura ben precisa? Alberto Fasulo: Assolutamente no. Inoltre, aver incontrato un interprete come Branko, capace di dedicarsi al film al 100% non ha fatto altro che stimolare la mia attenzione. Certo, all'inizio avevo un po' di ansia. Poi mi sono reso conto di quanto fosse potenziale muovermi nel territorio della docu finzione. Il tutto, però, rimane fortemente legato alla realtà visto che l'i tero progetto nasce da una ricerca realizzata nel corso di quattro anni.

Branko, lei viene da una interpretazione nel film No Man's Land. Quanto è stato impegnativo partecipare a questo progetto insolito per cui ha dovuto prendere anche la patente da camionista? Branko Zavrsan: Prendere la patente ha fatto solo parte di un percorso necessario. Indubbiamente questo lavoro ha richiesto più impegno rispetto ad altri altri o, forse, solo un approccio diverso. Però un attore si mette sempre a disposizione di ogni lavoro cui è chiamato. Questa volta si trattava di mostrare un altro tipo di vita, probabilmente da questo punto di vista possiamo dire che si tratta di un'esperienza speciale, diversa.

Quanto tempo hanno richiesto le riprese? Alberto Fasulo: Io sono l'unico a filmare perché ho bisogno di creare un rapporto stretto e unico con quello che racconto. In questo senso, l'emozione diventa più importante di qualsiasi messinscena. Anche l'utilizzo di molti campi lunghi era per dare spazio alla storia e, forse, meno allo stile. Quello lo lasciamo per altri generi e racconti. Anche con Branko abbiamo fatto un lavoro profondo sulla realtà che doveva coincidere con le domande che ci eravamo posti fino a quel momento. Ossia, su quale crisi era importante evidenziare tra quella economica ed etica?

Il fatto di essere l'unico a girare risponde a una sua necessita artistica o alla mancanza di fondi per una troupe? Alberto Fasulo: La fisicità e il fatto di stare dentro la cabina da solo è stato importante. Non devo discutere o spiegare a qualcuno la mia visione. È già difficile far luce su di me, figurarsi sugli altri. Quello che cerco è la giusta relazione con le cose che sto raccontando.