Renzo Martinelli racconta il suo '11 Settembre 1683'

Il regista racconta come è nata l'idea di questo affresco storico sullo scontro tra cristiani e musulmani, delle vicissitudini produttive che ci sono volute per realizzarlo e di quali siano i riferimenti con l'attualità contemporanea.

"Io penso che questo film di Renzo Martinelli sia un film estremamente importante. Penso che Renzo sia uno dei cineasti più importanti non solo in Italia ma di tutta Europa. I suoi film dicono sempre qualcosa di significativo, parlano della gloria dell'umanità e della possibilità di ogni singolo uomo di fare la sua parte per renderla migliore. Renzo parla del potere del bene che riesce ad elevarsi al di sopra del male e a sconfiggerlo, che è esattamente quello che il mio personaggio rappresenta". A parlare è F. Murray Abraham, in un video messaggio che precede la conferenza stampa dopo l'anteprima dell'ultimo film di Renzo Martinelli 11 Settembre 1683, in uscita nelle sale l'11 Aprile con circa cento copie. Il personaggio da lui interpretato e a cui si riferisce è Marco d'Aviano , frate cappuccino difensore della cristianità protagonista della battaglia di Vienna del 1683, il grande sacerdote cristiano che la storia ricorda come salvatore dell'Europa dall'assalto delle truppe musulmane. La data dell'epilogo della battaglia in cui la Lega Santa respinse l'esercito del Gran Visir a un passo dal dilagare e sottomettere l'Europa, avvenuta appunto l'undici settembre, rievoca inevitabilmente un altro episodio che ha cambiato la storia: stesso conflitto tra mondi e fedi cristiana e musulmana, trecento anni prima, la stessa data dell'11 settembre 2001. Sicuramente una coincidenza, ma per molti studiosi e saggisti come Michael Novak o Bernard Lewis, potrebbe non esserlo affatto. Di questo e altro ancora abbiamo parlato durante il nostro incontro con Renzo Martinelli, accompagnato da Enrico Lo Verso e Federica Martinelli, protagonisti del film.

Ci parli delle difficoltà produttive che comporta un film di questa portata.
Renzo Martinelli: Il film ha avuto un costo industriale di quasi dieci milioni di euro. Inizialmente l'idea era quella di coinvolgere nella coproduzione le quattro nazioni protagoniste delle vicende del film, quindi Italia, Polonia, Austria e Turchia: anche se ci siamo arrivati molto vicino, alla fine gli ultimi due paesi si sono defilati, quindi è diventata una coproduzione italo-polacca. Un film del genere è ovviamente complesso sia dal punto di vista finanziario per quanto riguarda la raccolta dei fondi per realizzarlo, sia dal punto di vista post-produttivo: nel film ci sono 1400 inquadrature digitali, non c'è una sola inquadratura che non sia stata trattata. Quindi una fase di montaggio lunga e complessa anche per ridurre il minutaggio sotto le due ore, che per un film così articolato con tanti personaggi e sottostorie non è affatto semplice. Tra l'altro questi tempi molto lunghi, ci hanno obbligato di comune accordo con Rai Cinema a passare successivamente la distribuzione a Microcinema, che ha lavorato a tempo pieno e con grande passione su questo progetto.

Cosa l'ha spinta a voler raccontare questa storia?
Questo film nasce da un'inquietudine collettiva che l'attacco alle Torri Gemelle ci ha lasciato e che ha costretto noi occidentali a prendere coscienza della questione e della cultura islamica, che fino ad allora non ci aveva mai toccato da vicino e così profondamente. L'idea è nata dodici anni fa: ricordo che eravamo in Friuli per l'anteprima del film Vajont. Avevamo organizzato una cosa insolita, all'aperto con una spettacolare platea proprio sulla pancia della diga. Il giorno precedente pioveva a dirotto, un vero nubifragio, avremmo dovuto annullare tutto se non avesse smesso. Qualcuno della troupe locale mi disse: "Non si preoccupi, dottor Martinelli, abbiamo pregato Marco d'Aviano, domani spiove...". E fu così. Non avevo idea di chi fosse Marco d'Aviano e mi documentai: il difensore della cristianità nella battaglia di Vienna, un taumaturgo che raccoglieva nelle piazze folle di venti, trentamila fedeli, come una rockstar... Ma soprattutto fu la data dell'epilogo fondamentale della battaglia ad accendere la mia curiosità: un altro 11 settembre, trecento anni fa...

Enrico Lo verso, intanto è un piacere ritrovarti sullo schermo: come hai lavorato al personaggio di Karà Mustafà? Enrico Lo Verso: Inizialmente nel film avrei dovuto invece interpretare Abu'l, ed era un personaggio che mi piaceva tantissimo, perché era sfaccettato, costruito su più livelli, e rappresentava soprattutto un anello di congiunzione tra le due culture. Ero perplesso all'idea di passare ad interpretare Karà Mustafà, l'antagonista, il guerriero cattivo, pensavo fosse un personaggio decisamente più scolpito e ad una lettura superficiale di sceneggiatura sembrava tagliato con l'accetta. In realtà siamo riusciti a creare anche per lui molte più sfumature per fare emergere il personaggio in modo diverso e su diversi livelli: non solo il condottiero ma anche il marito e padre di famiglia, con le sue debolezze e le sue paure rispetto all'investitura che riceve e alla missione che lo aspetta.

E tu Federica, parlaci del tuo personaggio e di come hai lavorato al ruolo. Federica Martinelli: Lena è uno degli anelli di congiunzione che unisce le due culture, ma è un anello che è fatto esclusivamente di amore, amore puro per un uomo che professa una religione diversa dalla sua. Oltretutto Lena è una sordomuta è quindi essendo lei stessa in qualche modo una diversa, riesce attraverso l'amore ad andare oltre qualsiasi altra diversità compresa quella religiosa. Per un attore è una bellissima sfida poiché ti consente di lavorare su corde molto diverse dal solito. Ho preparato il ruolo assistita da una logopedista e frequentando per mesi un scuola per sordomuti.

Quanti e quali documenti avete potuto consultare a livello storico su queste vicende? Quanto siete riusciti ad essere fedeli e quanto alla fine c'è di romanzato? Renzo Martinelli: Siamo partiti anzitutto da un romanzo, Il Taumaturgo e l'Imperatore, di Carlo Sgorlon, grandissimo scrittore friuliano. Da lì abbiamo allargato, insieme al mio co-sceneggiatore Valerio Massimo Manfredi, a tutta una serie di ricerche di documenti storici, dai diari di Padre Cosma, il frate che accompagnava Marco d'Aviano per i suoi pellegrinaggi a piedi attraverso l'Europa, fino a tutti gli altri saggi e libri scritti sull'argomento, sia da parte occidentale che musulmana. Alla fine tutto questo materiale deve necessariamente diventare un film e trasformato drammaturgicamente in una storia. Molte delle licenze che mi sono preso, come l'incontro notturno tra i due protagonisti, servono comunque a restituire il senso profonde del film, ovvero l'insensatezza della guerra di religione

Quali sono i riferimenti all'attualità, oltre alla coincidenza delle date?
Ci siamo resi conto che l'Europa del 1683 aveva della analogie con l'Europa di oggi: nel 1863 alla fine della guerra dei trent'anni avevamo un Europa debole, stanca e rassegnata. Soprattutto un'Europa che aveva smarrito le proprie radici cristiane. Questa presa di coscienza ci ha aiutato a far si che il film assumesse una sua attualizzazione molto forte. C'è un bellissimo proverbio arabo che dice "Gli uomini somigliano più ai loro tempi che ai loro padri". L'umanità di allora era pronta allo scontro, a difendere con le armi la propria cultura e i propri valori. Sono passati trecento anni, io ritengo che oggi si debba passare dallo "scontro", piuttosto al "confronto" fra le culture e le religioni. Che vuole dire comunque ribadire con forza i propri valori e la propria identità. Spero che il nuovo Papa sappia ridare orgoglio ad una comunità cristiana che ha progressivamente troppo smarrito la propria identità: rispetto reciproco con le altre fedi, ma nel rispetto e nella consapevolezza ognuno dei propri valori. Il film vuole far riflettere sulla matrice cristiana delle origini dell'Europa e sulla pericolosità che una cultura come la nostra smarrisca la propria identità.

Difficile girare oggi in Italia quello che potremmo definire sicuramente un "epic-movie"?
Enormemente. Difficoltà finanziare anzitutto. Poi un film del genere va interamente disegnato, quindi uno storyboard infinito. La progettazione, inquadratura per inquadratura, tutti i contributi da girare nei mesi successivi per completare ogni singola scena, anche cose banali come le vedute di Vienna dalle finestre per esempio, visto che gli interni sono stati girati al Palazzo Reale di Torino. Poi l'utilizzo della crowd replication per le scene di massa: in questo film abbiamo utilizzato tutte le tecniche digitali disponibili sul mercato.

Il film oltre che al cinema verrà proposto anche in televisione nella versione lunga?
L'idea di partenza era di fare un film per il cinema. Successivamente abbiamo dilatato il tutto per farne una versione che poi vedrete in televisione. C'è tanto materiale girato che verrà inserito nella versione lunga per la televisione di duecento minuti in uno sceneggiato di due puntate che vedremo su Rai1 tra circa due anni.

Su quale progetto sta lavorando in questo momento?
Da tre anni stiamo lavorando a un film su Ustica. Un film che fornisce una nuova ipotesi totalmente documentata su quello che è veramente successo secondo noi. Riteniamo di avere individuato la vera dinamica di come sono andate le cose attraverso lo studio di documenti che evidenziano prove inconfutabili. Ustica è un insieme di verità inconfessabili che sono sempre state davanti ai nostri occhi, e che hanno portato a disseminare negli anni tutte le false verità che conosciamo.