Recensione Vorrei vederti ballare (2011)

Nonostante sia evidente la dimestichezza di Deorsola con la macchina da presa e il tentativo di tutto il cast di trovare la giusta intensità interpretativa, la pellicola risente di un effetto retrò che, invece di riportare con un pizzico di divertita nostalgia ai classici del genere, sembra contaminare il presente con le forme di un melodramma italiano probabilmente troppo datate

Psicoanalisi di una commedia sentimentale

Martino deve aver preso proprio sul serio il detto secondo cui in guerra e in amore tutto è lecito, visto che per conoscere Ilaria ha deciso di ignorare qualsiasi regola. I due ragazzi, nonostante siano uniti solamente da finestre parallele che permettono ai loro mondi di incrociarsi quasi casualmente, si trovano a vivere delle realtà molto simili. Posti al centro di famiglie disfunzionali, sono oppressi da genitori sbilanciati che, alla solitudine delle proprie vite, reagiscono con un controllo ossessivo sul futuro dei figli. Per questo motivo Martino, nonostante la sua passione naturale per tartarughe e carapaci, deve abbandonare tutto per seguire i sogni di gloria di un padre che pretende di trasformarlo nell'erede del suo studio di psicoanalisi. Peccato, però, che l'introspezione e la psichiatria non sembra risvegliare alcun entusiasmo nel ragazzo, almeno fino a quando non scopre che Ilaria, l'oggetto del suo amore segreto, è in terapia per problemi alimentari. Una rivelazione che lo spinge a mostrare un inaspettato ardore per la materia e a progettare un piano per conquistare la fiducia della ragazza. Con un nuovo taglio di capelli e uno studio privato a disposizione per tutta la mattina ecco che Martino compie l'incanto, trasformandosi in un giovane psicologo prodigio capace di sostituirsi al padre e diventare il nuovo medico di Ilaria.


Riuscirà, però, questo inganno a far nascere tra i due l'amore e ad aiutarli a liberarsi dal peso di famiglie ricattatorie? La risposta è sicuramente positiva, anche se prima di raggiungere il lieto fine è d'obbligo passare attraverso un contrasto dalle sfumature un po' troppo melodrammatiche. Ecco, dunque, che in tempo di crisi economica, la stessa capace di dimezzare le possibilità produttive ed di spegnere gli entusiasmi del pubblico, un certo cinema sembra aver cercato la strada della differenziazione per avere almeno una possibilità di sopravvivenza. Un'attitudine che nell'ultimo anno ha caratterizzato soprattutto le scelte narrative e stilistiche delle opere prime, tutte, più o meno chiaramente, direzionate verso film di genere. Così, dopo il ritorno al poliziottesco, alla tematica dell'emigrazione e al nuovo mistery, è la volta anche della commedia sentimentale con cui Nicola Deorsola, aiuto regista di Matteo Garrone, scegli di uscire fuori dall'ombra e firmare il suo primo lungometraggio. A scrivere la sceneggiatura è l'amico Giuseppe Fulcheri che prendendo come modello la struttura tipica del romance, decide di personalizzarla aggiungendo delle note leggere intervallate da un sentimentalismo weepy all'italiana. Il tutto produce un risultato insolito, soprattutto per il nostro panorama che, a differenza di quello francese e anglosassone, non ha molta dimestichezza con il linguaggio in questione.

Ed è proprio per questo motivo che Vorrei vederti ballare vive di momenti alterni, non riuscendo a modulare nel migliore dei modi ironia e drammaticità, attualità e tradizione. Così, nonostante sia evidente la dimestichezza di Deorsola con la macchina da presa e il tentativo di tutto il cast di trovare la giusta intensità interpretativa, la pellicola risente di un effetto retrò che, invece di riportare con un pizzico di divertita nostalgia ai classici del genere, sembra contaminare il presente con le forme di un melodramma italiano probabilmente troppo datate. Tralasciando Giulio Forges Davanzati e Chiara Chiti, i cui personaggi sono stati perfettamente tratteggiati per vivere la modernità della loro storia, a produrre un viaggio nel tempo scomposto sono le figure di contorno che mai collaborano per creare un insieme armonico. Così, dopo essere stati trasportati nella leggerezza felliniana grazie alla follia di Giusy, cassiera prosperosa di un cinema d'essai con la passione per Il viale del tramonto, ci si ritrova di nuovo immersi nella contemporaneità grazie alla durezza e all'egoismo delle famiglie. Una breve illusione, però, visto che l'immancabile dramma finale, con tanto di letto d'ospedale e genitori finalmente redenti, trasporta lo spettatore a gran velocità verso un sentimentalismo quasi da sceneggiata in cui la rappacificazione stimola una commozione che, possiamo scommetterci, non produrrà un grande effetto sul pubblico.

Movieplayer.it

2.0/5