Recensione Salvo (2013)

Compatto, solido, senza sbavature, il film di Piazza e Grassadonia è un'opera in cui gli stilemi del noir vengono trasformati in qualcosa di diverso; tutta la pesantezza e la rigidezza di un genere dal codice d'acciaio si sublimano in una storia essenziale, profondamente umana, commovente.

Il cuore trema

Abbiamo rischiato di non vedere in sala un film come Salvo. E' una pratica piuttosto diffusa in Italia quella di 'silenziare' i talenti, metterli in disparte, lasciarli decantare in attesa della giusta congiunzione astrale; peccato che un simile atteggiamento finisca per affossare il lavoro di registi promettenti. Sarebbe successo anche a Fabio Grassadonia e Antonio Piazza se non avessero trovato dei produttori lungimiranti, un team che ha supportato il progetto del duo per ben cinque anni, fino all'approdo al Festival di Cannes, che lo scorso maggio si è chiuso in gloria con ben due riconoscimenti vinti, il Prix Rèvèlation e il Gran premio della sezione Semaine de la critique. Possibile che i cugini d'Oltralpe siano stati più perspicaci degli addetti ai lavori nostrani? La risposta è sì e dobbiamo essergliene grati, perché un'opera come questa non può che far bene ad un panorama cinematografico italiano sempre più asfittico a livello mainstream, ma quanto mai vivace nelle agguerrite 'retroguardie'.


La trama di Salvo si può raccontare in poche righe. Un killer di mafia deve eliminare l'uomo che ha tradito il suo capo. Compie l'omicidio con freddezza e determinazione, ma quando nella casa scopre la presenza di Rita, sorella della vittima, una ragazza cieca, qualcosa nel suo mondo si incrina. In seguito allo shock la giovane donna recupera la vista. Salvo decide di non ucciderla e la rinchiude in una fabbrica abbandonata, certo che quel gesto lo metterà in pericolo, ma intimamente convinto che sia l'unica cosa da fare. Compatto, solido, senza sbavature, il film di Piazza e Grassadonia è una pellicola in cui gli stilemi del noir vengono trasformati in qualcosa di diverso; tutta la pesantezza e la rigidezza di un genere dal codice d'acciaio si sublimano in una storia (d'amore? Amicizia?) essenziale, profondamente umana, commovente.

La vicenda si svolge in una Palermo quasi irriconoscibile, l'humus è quello che ha caratterizzato altri lavori sulla mafia, ma c'è una grande originalità nello sguardo e nello stile di questi esordienti che rifiutano l'esasperazione grottesca, al pari di uno sterile e didascalico realismo, realizzando una messa in scena di grande impatto emotivo, pulita e non ricattatoria. Il dramma della mancata visione di Rita si traduce in primi piani ravvicinati e dalla durata molto lunga e in una fotografia (curata da Daniele Ciprì) dai toni talvolta lividi. Privo di colonna sonora, il film vive dei rumori e dei silenzi che circondano i personaggi e riesce a nobilitare persino un pezzo pop dei Modà, Arriverà, unico elemento vitale per Rita che lo ascolta in continuazione e cuore rivelatore del grande cambiamento che Salvo sta vivendo.

Il merito dei due registi è insomma quello di aver lasciato spazio a immagini incisive e di aver permesso che il cinema fluisse senza ostacoli di sorta, lasciando le parole (superflue) a pochi personaggi, l'orrido boss o la stravagante coppia che copre la latitanza di Salvo, tanto impaurita, quanto affascinata dalla presenza del sicario in una delle loro stanze senza condizionatore. L'estrema naturalezza del risultato è in realtà il frutto di uno scrupolosissimo e sofisticato lavoro di regia; il piano sequenza iniziale che vede Rita terrorizzata dalla presenza del 'nemico' in casa riesce a mostrare la fragilità della donna, quel senso di isolamento che traspare da ogni sospiro e che avvolge anche noi spettatori. Poco altro sappiamo di lei e della sua vita. Di certo è la donna che riesce a dare concretezza alla figura di Salvo il cui volto ci viene sempre nascosto, se si eccettua per il particolare degli occhi glaciali, e che riusciamo a vedere solo quando Rita entra in campo e ritrova la vista.

Dettagli preziosi, come il momento in cui la donna tocca il volto di Salvo nonostante riesca a vederlo (deve però vederlo in altra maniera e in quel momento ne è finalmente capace) o quando l'uomo dopo mesi di solitudine intransigente condivide il pasto, un'umile scatoletta di tonno, con il bislacco 'padrone' di casa (Luigi Lo Cascio). Bastano pochi tratti quindi per raffigurare il magma interiore di Salvo e Rita, due persone sole che imparano a conoscersi poco per volta, che cercano una via d'uscita ad una situazione violenta e desolante attraverso un rapporto nato su basi improbabili. Impossibile immaginare un lieto fine per loro, ma i registi è questo che fanno, arrivando ad un epilogo che è più di una speranza, almeno per la ragazza che riesce davvero ad andare oltre, ad evadere nel senso più profondo del termine. Bravissimi i due protagonisti, Saleh Bakri e Sara Serraiocco, a rendere credibile la storia di Salvo e Rita; la storia del killer e della donna che per un solo momento gli ha regalato il mare.

Movieplayer.it

4.0/5