Recensione Marfa Girl (2012)

Marfa Girl è sì provocazione, sì gusto per l'eccesso e per il non filmabile, ma è anche qualcosa di più. Larry Clark affonda il coltello in una realtà complessa, contraddittoria, solo apparentemente immobilizzata in ruoli definiti e cristallizzati.

Terra di confine, terra di nessuno

A Marfa, cittadina del Texas vicino al confine col Messico, vive Adam, adolescente di origini messicane che divide le sue giornate tra la fidanzata Inez e i suoi amici, membri di un gruppo musicale. Il ragazzo, che vive con sua madre, si mette spesso nei guai con i tre poliziotti di frontiera locali; tra questi, uno ha un carattere particolarmente violento e instabile, e sembra aver sviluppato una vera e propria ossessione per la madre di Adam. Tra avventure sentimentali di vario genere e le prime esperienze sessuali, le incomprensioni con la retriva famiglia di Inez, e l'arrivo in città di un'affascinate, giovane artista che da subito catalizza l'attenzione dei ragazzi, la vita di Adam si trascina apparentemente sempre uguale a sé stessa, in una città che è poco più di una manciata di case nel bel mezzo del nulla. Un ambiente immobile e dall'anima conservatrice, le cui tensioni e contraddizioni, però, saranno presto destinate ad esplodere.

Arrivato al suo settimo lungometraggio, Larry Clark continua a puntare il suo (cine)obiettivo (erede naturale della sua macchina fotografica) sull'universo adolescenziale e sulle sue pulsioni. Il campionario delle ossessioni del regista, qui, c'è tutto, tra sesso libero e tradimenti, ribellismo (apparentemente) senza causa, uso occasionale di droghe, persino la fascinazione del sadomasochismo. Marfa Girl manca, volutamente, di una struttura narrativa coerente, di un intreccio chiaramente riconoscibile: Adam e i suoi amici sono ritratti nella loro quotidianità, e i loro dialoghi somigliano spesso alle confessioni di chi viene intervistato davanti all'occhio, e alla macchina da presa, di un documentarista. Clark ha in effetti l'anima e l'approccio di chi vuole dar conto (a suo modo) delle cose, di chi punta a ritrarre il quotidiano nei suoi aspetti più intimi, non rappresentati, magari scabrosi. Nel suo sguardo c'è tutta l'attitudine del suo lavoro da fotografo, le sue immagini fieramente "indipendenti" sfiorano l'estetizzazione al contrario, l'uso diegetico della colonna sonora completa il mood del suo universo. Una cura così accentuata del dettaglio è inusuale, per un regista da sempre considerato un provocatore.

Eppure, Marfa Girl (altra, coraggiosa scelta del concorso del Festival di Roma 2012) è sì provocazione, sì gusto per l'eccesso e per il non filmabile, ma è anche qualcosa di più. Clark, con la consueta dose di iconoclastia, affonda il coltello in una realtà complessa, contraddittoria, solo apparentemente immobilizzata in ruoli definiti e cristallizzati (giovani e adulti, poliziotti e immigrati, sante e puttane); in realtà, il suo spaccato è più complesso, le sue contraddizioni ne corrodono da dentro la stabilità, il suo sguardo è sì selettivo (e con un certo gusto per ciò che sceglie di filmare) ma soprattutto credibile. Viene spesso il dubbio, anche qui, che l'attitudine del regista alla provocazione sia fine a se stessa, studiata a tavolino: dubbio legittimo, che però si scontra con un perfetto ritratto di squallore di provincia, teatro ideale per gli eccessi che vi si consumano, e per le azioni di personaggi che appaiono credibili nelle loro piccole e grandi devianze. L'ultimo, significativo confronto (preludio a un'inevitabile resa del conti) tra il viscido poliziotto dell'immigrazione e la vacua artista, sostenitrice dell'amore libero, è momento chiave dell'intera vicenda, e chiaro elemento rivelatore dell'anima nichilista del film.

Marfa Girl, così, si rivela suscettibile di generare le stesse discussioni e prese di posizione di tutto il cinema di Clark, e non sposterà probabilmente di un millimetro le opinioni di sostenitori e dettrattori del regista. L'oggetto filmico in sé, tuttavia, a noi pare interessante e meritevole di attenzione; anche laddove Clark mette tutte le sue notevoli capacità al servizio della ricerca dell'immagine-shock, dell'effetto epidermico da exploitation, dell'attacco a luoghi comuni già abbondantemente demoliti. Sotto la reiterazione di provocazioni giunte (in parte) fuori tempo massimo, c'è un cuore nero che continua a battere. Non sarà, probabilmente, l'azione di una fattucchiera (quella che vediamo nel finale) a fermarlo o, almeno per il momento, a fargli cambiare colore e natura.

Movieplayer.it

3.0/5