Recensione Into Darkness - Star Trek (2013)

Into Darkness conferma la capacità di Abrams di reimmaginare e reinterpretare un universo, accostandovisi con rispetto ma adattandolo ai gusti correnti. Con un villain d'eccezione, che dà vita e motivazioni nuove a uno dei personaggi classici della saga.

Spazio, nuova frontiera. Ma non l'ultima.

Tra gli ultimi blockbuster di questa stagione cinematografica, che si avvia all'immancabile pausa estiva, questo Into Darkness - Star Trek era probabilmente il più atteso. Inevitabile l'hype, inevitabile la logica del confronto vecchio/nuovo (già sperimentata col reboot del 2009), inevitabili le suggestioni legati al nome del regista, l'enfant prodige (e un po' anche terrible) del nuovo cinema hollywoodiano J.J. Abrams. D'altronde, i personaggi creati da Gene Roddenberry, e l'universo in cui si muovono, resistono al tempo e alle mode, alle modificazioni dei gusti e degli stessi modi della fruizione cinematografica (e televisiva). Il fandom, quello vero, non tradisce: ma in questo caso, a complicare la situazione, c'è il fatto che Abrams abbia appena accettato di ridar vita anche alla saga "rivale" per eccellenza, quella di Guerre stellari. Due universi contrapposti, due prodotti epocali capaci di resistere nel tempo, e di protrarre il loro fascino nel corso dei decenni, in mano a una sola persona: solo un personaggio dall'anima genuinamente nerd, dallo sguardo meravigliosamente infantile, e dalla capacità onnivora di assimilazione e rielaborazione, poteva accettare senza ansie un compito del genere. Se la nuova trilogia patrocinata da George Lucas ci farà dormire sonni agitati almeno per i prossimi due anni, per l'altro grande franchise riportato in vita da Abrams possiamo già pronunciarci: l'universo di Star Trek, ripensato e rimodellato dal creatore di Lost, ha un fascino nuovo e assoluto. I fans, almeno quelli senza paraocchi e spirito polemico gratuito, non possono che riconoscerlo.


La narrazione, qui, segue di qualche tempo la costituzione dell'equipaggio dell'Enterprise, e la sua prima avventura vista nel capitolo precedente: Kirk, Spock e compagni sono in missione su un pianeta ostile, quando il capitano, per salvare la vita del compagno, prende una delle sue istintive decisioni, violando il protocollo e mettendo a rischio l'intero equipaggio. Nonostante il successo dell'operazione, al ritorno sulla Terra la trasgressione viene punita con la retrocessione di grado di Kirk, e lo spostamento di Spock su un'altra nave; ma, nel bel mezzo di una riunione di crisi, la sede della Flotta Stellare viene fatta oggetto di un mortale attacco terroristico. Il responsabile dell'attentato è John Harrison, un ex militare della flotta già ricercato per aver compiuto un'analoga azione nel centro di Londra, con l'uccisione di molti civili. Le conseguenze dell'attentato spingono i militari a restituire a Kirk il comando della sua nave, affidandogli il compito di catturare Harrison sul pianeta Kronos, senza farsi riconoscere dai Klingon che lo popolano. Insieme a Spock, il capitano si imbarcherà così in una missione difficile, in cui il senso del dovere si confonderà con la sete di vendetta, ma soprattutto la realtà si rivelerà più complessa delle apparenze.

Ricostruito, nell'episodio precedente, il setting della saga, e rimesso in moto il suo universo col gioco dei viaggi temporali, la narrazione di Into Darkness deve farsi, per forza di cose, più lineare. La stessa apparizione di Leonard Nimoy, così funzionale allo sviluppo della vicenda nel primo episodio, diviene qui una semplice concessione ai fan, un cameo comunque gradito ma non indispensabile per l'economia narrativa del film. Nonostante la linearità, comunque (e nonostante una certa "giocosità" nelle sequenze d'azione - si veda la prima - che avvicina il film al mood dell'amata/odiata saga rivale di Lucas) lo script affronta al meglio una storia che fa, ancora una volta, dei conflitti psicologici e delle dinamiche interpersonali un suo punto di forza. Il contrasto tra i caratteri opposti di Kirk e Spock (a cui danno di nuovo il volto, ottimamente, Chris Pine e Zachary Quinto) è qui, forse, ancor più marcato che nel reboot; così come più approfondita è la doppia natura, umana e vulcaniana, del secondo, con l'incapacità malgrado tutto di tenere a freno la sua componente emotiva. Ma la vera sorpresa, e la novità, di questo episodio, sta nel villain interpretato da Benedict Cumberbatch: il suo volto enigmatico e inquietante, e la sua notevole presenza scenica, danno letteralmente nuova vita a uno dei personaggi storici della saga. La sceneggiatura (che vede Damon Lindelof affiancarsi ai Roberto Orci ed Alex Kurtzman già autori del primo film) riesce a delineare un personaggio complesso, pericoloso ma perfettamente umano nelle motivazioni: il paragone col Roy Batty di Blade Runner, già avanzato da più parti, non è affatto peregrino.

La manichea divisione tra bene e male, così, sfuma in una complessità che accomuna tutti i personaggi, tra un villain più umano, e più simile agli eroi, di quanto sarebbe stato lecito attendersi, militari dal volto ambiguo e dai piani nascosti, e protagonisti preda di sentimenti e pulsioni (prima tra tutte, la vendetta) certamente poco edificanti. L'oscurità del titolo sembra risiedere così nell'anima dei personaggi (tutti) più che in un'estetica che si mantiene invece, sostanzialmente, fedele a quella che anima la saga da ormai quasi mezzo secolo. Abrams ripropone il look dei protagonisti, solo lievemente aggiornato ai tempi, già visto nel film precedente, e preme di più sul pedale dell'azione, senza tuttavia puntare mai alla saturazione visiva: molto riuscita, in questo senso, si rivela la scelta dell'IMAX come standard di ripresa, associato a un 3D che, pur frutto di una conversione, riesce ad aggiungere profondità e senso di meraviglia a molte scene. In questo senso, i quattro anni passati dalla prima incursione del regista sull'Enterprise si fanno sentire tutti: la forza trasmessa dalle immagini, e la loro capacità di rapire l'occhio, raggiungono qui livelli impensabili all'epoca del primo episodio. Pur al netto dell'uso della stereoscopia, Into Darkness rappresenta un'esperienza visiva potente e ammaliante: ma la sua fattura narrativa, e la capacità del regista di adattare un soggetto classico al gusto dei tempi, restano ancora una volta le sue carte vincenti. Il conto alla rovescia, per la reinterpretazione dell'universo di Lucas, è già iniziato.

Movieplayer.it

4.0/5