Recensione Il peggior Natale della mia vita (2012)

Chi ha amato il film precedente non faticherà a riconoscere qui lo stesso tratto benevolo nella descrizione dei personaggi, la mancanza di situazioni triviali, la naturale simpatia del protagonista.

Last Christmas

Cosa c'è di più bello che trascorrere il Natale in un castello dalle torri innevate, circondati dal calore della famiglia e degli amici più cari? Non fate mai una domanda del genere a Paolo, perché potrebbe rispondere, "Tutto". Non è lo spirito natalizio a difettargli, anzi sarebbe ben disposto a lasciarsi travolgere dal fatale mix di pace e fratellanza; ma quando si tratta di lui bisogna fare i conti con la solita, terribile, inesauribile sequela di catastrofi che sa scatenare. Ed ecco che la più classica delle vacanze invernali, trascorsa con la moglie Margherita, in attesa del loro primo figlio, e i suoceri nel castello dell'amico di famiglia, Alberto Caccia, diventa l'ennesima sfida alla fortuna. Il signor Caccia, scampato da poco alla morte e per questo inguaribile ottimista, accoglie tutti a braccia aperte. Questo ovviamente non lo mette al riparo dalla furia 'omicida' di Paolo che rende immangiabile il tacchino della vigilia, uccide la cocorita Carmen, fa credere erroneamente che il padrone di casa sia morto (con la complicità non richiesta di due impresari funebri), rovina il parto in acqua della moglie, provoca una commozione cerebrale alla primogenita di Alberto, Benedetta, anch'ella incinta, e sfonda un pregiatissimo pavimento medievale.


Dopo il grande successo di pubblico di La peggior settimana della mia vita, campione d'incassi del 2011, grazie alla commistione tra umorismo leggero e ottima confezione, Alessandro Genovesi era atteso al varco. Gli si chiedeva solo un pizzico di verità in più per superare l'esame di maturità e dimostrare che il suo esordio cinematografico non fosse una rondine solitaria, ma l'annuncio di una radiosa primavera. Quella pellicola, infatti, era sì una commedia graziosa e godibile, ma un po' distante dallo spettatore, che si trovava ad assistere ad una piacevole e simpatica farsa, senza un reale coinvolgimento, ma con un distacco che se da un lato poteva essere il risultato di una scrittura senza sbavature, dall'altro era indice di un eccessivo controllo sulla sceneggiatura, quasi contassero solo gli incastri cronometrici delle gag. Chi ha amato il film precedente non faticherà a riconoscere in Il peggiore Natale della mia vita lo stesso tratto benevolo nella descrizione dei personaggi, la mancanza di situazioni triviali (perfino quando il povero Paolo scambia la pentola con il tacchino per un water), la naturale simpatia del protagonista.

Eppure, un piccolo passo indietro c'è stato. Non che manchino le situazioni comiche, ma il punto è che non sono state inserite in maniera armonica nella storia, risultando sporadiche; un'assenza questa che priva la pellicola di equilibrio e soprattutto di ritmo. Complice qualche pausa di troppo e un paio di interpretazioni non proprio all'altezza, si fatica ad entrare nel film. I pastrocchi di Fabio De Luigi (autore della sceneggiatura assieme al regista) sono buffi, ma quando la palla passa alle amiche/nemiche Cristiana Capotondi e Laura Chiatti, il racconto rallenta il passo e si perde interesse. Quello che funziona allora non è la storia in sé, ma le piccole e grandi digressioni da essa; il quadro con i due delle pompe funebri, i bravissimi Alessandro Besentini e Francesco Villa (Ale e Franz), pregevoli nell'animare, a dispetto del loro aspetto cadaverico, una situazione all'apparenza insignificante o i siparietti creati dal personaggio di Dino Abbrescia, Pino il cameriere, una figura misteriosa che ricorda tanto l'Igor di Frankenstein Junior nella sua capacità di comparire dal nulla.

La predominanza dell'aspetto fiabesco della vicenda impone di ridurre gli elementi politicamente scorretti (quanto sarebbero stati efficaci in un contesto come quello natalizio), creando un ibrido che sbanda nella parte finale, quella che anticipa la nascita della pargoletta, una parentesi musical-natalizia che serve solo a mettere in luce la simpatia di Andrea Mingardi e il talento di Rachele Amenta, stella di Io canto. Se De Luigi è come sempre perfetto nel ruolo dell'imbranato, l'inesorabile iattura che si abbatte su tutto e tutti, affiatati sono anche Diego Abatantuono, Antonio Catania (impagabile) e Anna Bonaiuto, anche troppo misurata nel ruolo che fu di Monica Guerritore. Peccato per il risultato complessivo di un'opera che avrebbe potuto riservare nuove sorprese se gli autori non si fossero lasciati sopraffare dal bisogno di essere riconoscibili a tutti i costi, sacrificando a dispetto delle apparenze un po' di sana follia. Che a Natale non guasta.

Movieplayer.it

2.0/5