Recensione Dimmi che destino avrò (2012)

La regia di Marcias risulta piuttosto anonima, priva di uno sguardo capace di andare in profondità sia nel rapporto speciale che si instaura tra i due protagonisti sia nelle delicate tematiche sociali che la storia si propone di affrontare.

L'Italia sono anch'io

Ambientato e girato interamente tra le spiagge e il campo nomadi di una Cagliari invernale, il nuovo film di Peter Marcias racconta la storia di Alina e Giampaolo, una ragazza di origini rom che da anni vive a Parigi per lavoro che torna nel suo villaggio natale per passare un po' di tempo con la sua famiglia e un commissario di polizia di mezza età, vedovo e padre di un ragazzo adolescente, cui viene affidata un'indagine che coinvolge la sparizione di una ragazza nel campo rom nella periferia della città. Durante le indagini i due stringono un legame amichevole ma quando scatta l'emergenza nazionale per il monitoraggio, il censimento ed eventuale espulsione dei rom senza permesso di soggiorno e documento d'identità, la rabbia di Alina si sfogherà tutta nei confronti di Giampaolo che dal canto suo è in disaccordo con i metodi istituzionali che impongono le impronte digitali anche ai bambini. Da questa nuova prospettiva la donna dovrà confrontarsi con se stessa, con le sue origini, e con le speranze per il futuro dei suoi fratelli attraverso un viaggio dell'anima che la condurrà a rivedere la sua vita, le sue aspirazioni e a riflettere sulla sua vera identità. Ma anche Giampaolo sarà costretto ad affrontare per la prima volta un mondo che non aveva mai conosciuto se non da lontano e presto al suo ruolo di commissario di polizia si sostituirà quello dell'uomo, l'allenatore-padre che con un pallone di calcio, il dialogo e la disciplina riesce a stabilire una connessione con i ragazzi del campo rom e a regalare loro il sogno di un futuro migliore.


"Prendi questa mano, zingara, e dimmi pure che destino avrò" recitava una celebre canzone di Iva Zanicchi, ma in questo film, il quinto tra documentari e lungometraggi di finzione diretto dal regista di origini sarde classe '77, è la zingara a chiedere lumi sul suo futuro, anzi gli zingari tutti. Dimmi che destino avrò è una strana commistione tra fiction e documentario, con qualche escursione nel dramma sentimentale, che affronta l'annosa problematica dell'emarginazione del popolo rom e della ricerca dell'identità in un paese come l'Italia che non concede la cittadinanza ai figli di stranieri nati sul territorio, un paese 'evoluto' che in base alla razza emette norme speciali e che decide sulla base della razza se una persona è più italiana di un'altra o è più pericolosa di un'altra o se ha più diritti di un'altra. Ma per i rom la situazione è ancora più complicata perché a caratterizzare questo popolo è la devastante sensazione dell'assenza di una patria, di un luogo da cui non essere cacciati via, un posto da chiamare casa in cui tornare quando ci si sente perduti.

Dimmi che destino avrò è in definitiva un'opera che va divisa ed analizzata in due parti. Ad una parte documentaristica molto interessante ed accurata, girata in una Cagliari non certo da cartolina all'interno e tra le baracche di un vero campo rom, fa da contraltare una parte di finzione non di certo all'altezza per quel che riguarda i dialoghi, la scrittura dei personaggi e l'interpretazione degli attori, sicuramente più adatti ad un prodotto televisivo. E' in questa seconda parte che la regia di Marcias risulta piuttosto anonima, priva di uno sguardo capace di andare in profondità sia nel rapporto speciale che si instaura tra i due protagonisti sia nelle delicate tematiche sociali che la storia si propone di affrontare. Il risultato è purtroppo un film incompleto, coraggioso e inconsueto nel panorama italiano che rimane però troppo in superficie ed incapace sia di offrire una chiave di lettura interessante sia di catturare l'attenzione e il cuore dello spettatore nonostante l'attualità dell'argomento e l'urgenza morale e sociale di trovare una soluzione che metta fine alla sofferenza di un popolo ingiustamente e immeritatamente trattato come reietto. Un vero peccato che i due attori protagonisti non riescano ad instaurare la giusta alchimia sulla scena perché sia Luli Bitri, la bellissima attrice di origine albanese che interpreta il ruolo di Alina, che il bravissimo Salvatore Cantalupo, attore di teatro napoletano apprezzato sul grande schermo nella Gomorra di Matteo Garrone, di talento ne hanno davvero da vendere.

Movieplayer.it

2.0/5