Recensione Come un tuono (2012)

Per dare voce ai suoi antieroi e lasciare spazio alle loro evoluzioni, il regista affronta una costruzione narrativa azzardata, dividendo l'intera struttura del film in tre tempi diversi ma legati armoniosamente tra di loro dal sovrapporsi in dissolvenza delle diverse generazioni e dei loro affanni.

Nel nome del padre

Per Derek Cianfrance "il cinema è un luogo dove i segreti vengono svelati. Uno spazio in cui possiamo penetrare in posti intimi, nelle case e nelle camere da letto, e dove è possibile assistere ad eventi privati che somigliano a quelli della nostra vita". Non stupisce, dunque, che la sua giovane poetica sia incentrata quasi esclusivamente su racconti a stampo famigliare. Un percorso evidenziato senza ombra di dubbio dall'esordio Brother Tied, in cui si indaga nel rapporto tra fratelli, il tanto sofferto Blue Valentine, con cui si entra nelle dinamiche spesso controverse della coppia, per finire con l'ultimo e atteso Come un tuono, grazie al quale viene sviscerata la paternità e i suoi effetti collaterali. A dire il vero, però, in questo caso il regista, riesce a portare la tematica ad un livello di analisi più intenso rispetto ai suoi film precedenti, facendo riferimento a tutta la letteratura che, da Eschilo fino a Jack London, ha utilizzato e incrementato il concetto di ereditarietà delle colpe dei padri. Così, nuovamente sostenuto dalla collaborazione con Ryan Gosling, Cianfrance costruisce i personaggi di Handsome Luke, motociclista acrobatico e avventuriero dal passato discutibile, e di Avery, un ufficiale di polizia idealista pronto a scontrarsi con la corruzione del suo dipartimento. Le loro strade, però, sono destinate ad incrociarsi drammaticamente durante un intervento armato i cui effetti condizioneranno inevitabilmente il futuro dei rispettivi figli.


Cosi, per dare voce ai suoi ant eroi e lasciare spazio alle loro evoluzioni, il regista affronta una costruzione narrativa azzardata, dividendo l'intera struttura del film in tre tempi diversi ma legati armoniosamente tra loro dal sovrapporsi in dissolvenza delle diverse generazioni e dei loro affanni. Anzi, evitando la frammentarietà temporale, Cianfrance utilizza in modo assolutamente equo il volto tormentato di Gosling e quello più "pulito" di Bradley Cooper per raccontare le motivazioni di una paternità negata per volontà propria o altrui. Lo stile è quello asciutto ed essenziale con il quale il regista ha fotografato la provincia americana fin dal primo lungometraggio. In questo caso, perè, lunghe carrellate si alternano a primi piani indagatori nel tentativo di narrare la natura e l'ambiente dei protagonisti. Un gioco di sguardi, questo, in cui l'attenzione si sposta senza ansie dal particolare all'universale. Movimenti di camera che mettono in evidenza la lacrima tatuata sulla guancia di Gosling come il perfetto taglio di capelli di Cooper trasformandoli in particolari significativi, il cui compito è quello di tratteggiare non solo il background ma anche il probabile futuro di due uomini provenienti da mondi socialmente diversi e comunque uniti dall'impossibilità di adempiere il proprio ruolo.

In questo modo Cianfrance costruisce le basi per una moderna tragedia americana tutta al maschile in cui le figure femminili sono necessariamente e opportunamente tenute sullo fondo. Destinate ad osservare e a contenere gli errori dei loro uomini, le donne si trasformano in occultatrici della memoria o in sostenitrici ad oltranza di un rapporto sempre più sfuggente. Anzi, destinate ad una solitudine emotiva senza possibilità di rivalsa, non possono far altro che osservare le funamboliche imprese dei propri compagni, consapevoli del pericolo e degli effetti devastanti sull'esistenza di testimoni innocenti e inconsapevoli. Ed è in questo gruppo che il regista inserisce la figura fragile del figlio su cui si abbatte quasi inevitabilmente la colpa del genitore. Che sia rappresentata dal silenzio, dall'accusa, dall'assenza fisica o dalla simulazione di un affetto freddo e distante, il patrimonio paterno diventa un riflesso costante nel quale specchiarsi alla disperata ricerca di un'identità personale. Ma è possibile liberarsi dai condizionamenti di un passato che non ci appartiene fino in fondo nonostante se ne portino i segni nella propria genetica? Per Cianfrance la risposta è sicuramente positiva, purché si accetti di guardare dritto negli occhi la realtà senza trasformarla in un destino ineluttabile. Perché solo dopo aver attentamente ascoltato la propria storia e riconosciuto senza falsi pudori le radici da cui si proviene è possibile trasformarsi in individui liberi capaci, magari, di correre come fulmini senza cadere come tuoni.

Movieplayer.it

4.0/5