Recensione Ci vediamo a casa (2012)

Il film di Ponzi è un esempio di commedia che prova a privilegiare i temi sociali e le problematiche della vita moderna, trattando in questo caso il tema della ricerca di un alloggio: ma lo sguardo risulta eccessivamente convenzionale e incapace di andare oltre l'aneddotica.

Sogni casalinghi

Franco, ex detenuto appena uscito di prigione, progetta di andare a vivere con Vilma, giovane bibliotecaria comunale; ma il passato di lui e l'insufficiente stipendio di lei sembrano rappresentare, per i due, un ostacolo per ora insormontabile. I due dovranno così accettare l'ospitalità dell'amico Giulio, tranviere in pensione appena colpito da infarto, ritagliandosi quella poca intimità che la convivenza forzata permette.
Gaia e Stefano sono una coppia apparentemente ben assortita: lei, figlia di un faccendiere corrotto e inquisito, viziata e superficiale, lui ricchissimo e razzista. La convivenza, però, regalerà ai due più di una sorpresa, rivelando loro che non sempre l'affinità si misura sulla parità di status economico. Enzo e Andrea, infine, si sono conosciuti per caso e vivono una storia che pare promettente: se non fosse che la madre del primo, hippie sui generis e con un odio congenito per le forze dell'ordine, non sa che il secondo è un poliziotto. La richiesta, da parte dei superiori di Andrea, di indagare su alcuni immigrati che risiedono in un appartamento affittato (in nero) dalla madre di Enzo, complicherà ulteriormente le cose. Sullo sfondo, una Capitale che pare esprimere i vizi e le virtù di sempre, e in cui costruire un progetto di vita appare sempre più complicato.


Con cinepanettoni e derivati decisamente in calo di incassi, nel nostro paese sembra (ri)affermarsi, negli ultimi anni, un modello di commedia più garbata ma anche (teoricamente) più sfaccettata, che punta soprattutto a privilegiare i temi sociali e le problematiche della vita moderna, sullo sfondo di una crisi ormai pluriennale. La trama di una pellicola come questo Ci vediamo a casa, incentrata sul tema della ricerca di un alloggio, non deve tuttavia trarre in inganno: i modelli della commedia all'italiana, gli affreschi di vita vissuta (pur occhieggiati dall'intreccio) di registi come Dino Risi e Mario Monicelli, ma anche quelli più "popolari" di Steno, sono qui ben lontani. Pur nella sua struttura corale, il film di Maurizio Ponzi (regista esperto, e autore, nei decenni scorsi, di pellicole interessanti - il suo esordio I visionari fu anche premiato a Locarno) non va oltre il bozzetto superficiale, lo sguardo convenzionale e stereotipato, l'aneddotica da bar trasposta sullo schermo. La sceneggiatura delinea caratteri tagliati con l'accetta, coinvolti in situazioni poco credibili, in cui la risata non trova mai il suo contraltare nella riflessione (magari amara): inverosimili le vicissitudini delle tre coppie (emblematica, in questo senso, quella di Ambra Angiolini ed Edoardo Leo, alle prese con un ospite la cui invadenza appare il più delle volte immotivata), mai esplicitate le reali dinamiche dei loro rapporti.

Nasce già irrimediabilmente datato, Ci vediamo a casa, con soluzioni narrative risapute, animate da personaggi e "tipi" visti e rivisti, ed ormai svuotati di senso. L'affresco borghese che ne viene fuori è di quelli che non lasciano troppo allegri, ma più per la superficialità con cui è restituito che per la sua rispondenza alla realtà. Stupisce un po' che Giuliana De Sio abbia lodato il suo personaggio definendolo "non inscatolato", quando di ex figli dei fiori inborghesiti e incattiviti se ne sono visti già tanti, sullo schermo: l'originalità, forse, sarebbe stata semmai quella di presentare la madre di Enzo come un personaggio coerente, e romanticamente fedele ai suoi ideali, nonostante i decenni passati e le trasformazioni intervenute nella società nel frattempo. Lo stesso episodio che vede protagonisti Nicolas Vaporidis e Primo Reggiani aggiorna appena i modelli della crisi di coppia a un rapporto gay, ma glissa clamorosamente (e forse non a caso) sulle eventuali difficoltà incontrate da un omosessuale in un ambiente conservatore come quello della polizia. Sono numerosi, nelle tre storie, i personaggi e le situazioni poco funzionali o non approfondite: tra queste, il sospetto all'ombra del quale si consuma il matrimonio tra Franco e Vilma, gestito narrativamente male, così come l'inutile figura del poliziotto che minaccia il rapporto tra i due. Lo stesso finale, ambientato in chiesa, appare telefonato e poco credibile, e il messaggio che se ne ricava è più da spot pubblicitario che altro.

La durata inutilmente dilatata (quasi due ore, per un film che sarebbe rientrato comodamente nei 90 minuti canonici) appesantisce ulteriormente una pellicola che intrattiene poco, fallendo anche nelle sue, appena accennate, velleità sociologiche. Spiace che il ritorno al cinema di Ponzi sia stato segnato da un film così poco riuscito, mentre ci si domanda quale sia stato, nella sceneggiatura, l'effettivo ruolo di un Giancarlo De Cataldo che, con i temi qui trattati, sembra avere davvero poco a che fare.

Movieplayer.it

2.0/5