Recensione Il cavaliere oscuro - Il ritorno (2012)

Il cavaliere oscuro - Il ritorno chiude magistralmente il cerchio di quella che ha ormai assunto, definitivamente, i caratteri di una trilogia; con un senso dell'epica lucido e potente che non esclude, nell'ultima parte, una decisa e consapevole virata sul versante del melò.

L'apocalisse di Gotham

L'oscurità sembra aver inghiottito definitivamente Batman, così come il suo alter ego umano Bruce Wayne. Un'oscurità da cui non pare esserci ritorno per i due (ex?) simboli di Gotham: scomparso nella notte il primo, passato da eroe a criminale, immolatosi con un'accusa terribile per tenere in vita una menzogna; ridotto a eremita il secondo, rinchiuso nella sua residenza senza vedere anima viva, forse pazzo o sfigurato, secondo quanto si dice di lui in città. Nel frattempo, Gotham sembra aver risolto i suoi problemi, con l'indice di criminalità ridotto al minimo grazie alla legge anticrimine voluta dal defunto procuratore Harvey Dent. Eppure, quella di Bruce Wayne è una città che vive sulla menzogna: una menzogna che ha rovesciato bene e male, che ha eletto un criminale a eroe cittadino e ha demolito ingiustamente l'icona del suo vigilante. Una menzogna che tuttavia non può proteggere Gotham a lungo: non quando un nuovo, pericoloso criminale sta per fare il suo ingresso in città, uno spietato assassino dal volto nascosto, indecifrabile come i suoi obiettivi e spaventoso come la sua voce metallica. E non quando una nuova, oscura figura arriva a turbare i sonni degli abitanti: una ladra dalla figura felina, che riesce a scuotere dal suo torpore persino lo stesso Wayne. Il vigilante mascherato di Gotham sembra obbligato a tornare per riprendersi il suo ruolo; ma, forse, il "vecchio" Batman non può molto contro un essere enigmatico come Bane, che presto si scopre a lui legato da un oscuro passato.


Otto anni nella fabula cinematografica, quattro nella realtà: tanto separa il celebrato Il cavaliere oscuro, ultima apparizione dell'Uomo Pipistrello col volto di Christian Bale, nella versione insieme dark e realistica di Christopher Nolan, da questo suo attesissimo ritorno. Un periodo in cui Nolan, dopo qualche esitazione iniziale, ha avuto il tempo di riprendere in mano, ripensare e ridefinire con attenzione la "sua" creatura, preparandosi a salutarla (almeno stando a ciò che il regista ha sempre affermato) in un terzo episodio che si annunciava complesso e problematico. C'era la necessità di chiudere un cerchio, quello personale e artistico che ha legato, per sette anni e tre film, le sorti del personaggio creato da Bob Kane al regista di Memento; ma anche l'esigenza produttiva e commerciale di lasciare la trama aperta, di non mettere la parola fine su una saga ancora vitale e dalle potenzialità di sfruttamento enormi, e di non togliere al pubblico questa particolare declinazione del personaggio costruita da Nolan, ormai identificata con l'Uomo Pipistrello tout court. Così, Il cavaliere oscuro - Il ritorno aveva il non facile compito di chiudere alcune porte per lasciarne aperte (o meglio spalancarne) altre, di non far collidere il senso della conclusione di un percorso artistico con l'apertura di nuovi, possibili itinerari. Guardando il film, imponente quanto e più dei suoi predecessori, ricco e complesso sia a livello narrativo che nell'impianto visivo, si ha l'impressione che a Nolan l'impresa sia riuscita: il film, nella sua strabordante potenza visiva, dà la forte sensazione di un'opera in qualche modo "definitiva", dopo la quale il personaggio e il suo universo, se pure dovessero tornare, inevitabilmente non sarebbero più gli stessi.

Va detta, anzi premessa, una cosa: come già i suoi due predecessori, Il cavaliere oscuro - Il ritorno non è un film perfetto, e la sua costruzione narrativa non è esente da imperfezioni e sbavature. Specie nelle sue prove più mature, Nolan, più che dei film, costruisce dei mondi: opere dal respiro ampio e inevitabilmente epico, che avrebbero bisogno di dimensioni di durata ancora più estese (qui, il ciak finale arriva comunque a 165 minuti) per esprimere compiutamente la visione, intrisa di un'autorialità pensata "in grande", del loro regista. Troppo, probabilmente, per dei blockbuster che devono fare i conti col mercato e con le regole della serialità, forse troppo anche per il cinema moderno nel suo insieme, con una ricerca dell'equilibrio tra poetica personale e intrattenimento (chimera sempre ricercata da molti cineasti) che qui rasenta l'utopia. Tuttavia, è anche questa componente di squilibrio, questo nodo di istanze irrisolte alla sua base, a fare il fascino di un film come questo: che accelera e rallenta, si dilunga nella descrizione di snodi e personaggi per poi sorvolare dove al contrario dovrebbe fermarsi, che ha un andamento sincopato nella sua partitura ma poi restituisce, nel suo insieme, un impatto che pochi sono attualmente in grado di offrire. Così, la prima parte del film si prende tutto il suo tempo per narrare il ritorno di un eroe (e di un uomo) che sembra ormai avviato al crepuscolo, menomato nell'anima e persino nel fisico, quasi un reduce che si rivela tragicamente inadeguato alla sfida, e alla minaccia, che gli si presentano di fronte; per poi sintetizzare in modo forse eccessivo, e un po' frettoloso, la sua caduta e la sua dolorosa risalita, preparando il campo a un'ultima ora caratterizzata da una progressione narrativa irresistibile.

Se la cifra noir e improntata al crudo realismo, che aveva caratterizzato in particolare il film precedente, viene nella sostanza rispettata, è qui la sua declinazione a cambiare in modo decisivo: al dramma e alle lacerazioni del protagonista si affiancano ora quelli collettivi di un'intera città, caduta preda delle mire di un criminale che si presenta insieme come liberatore e spietato dittatore. La Gotham trasformata in carcere a cielo aperto, alla mercè del crudele Bane, si colora di suggestioni post apocalittiche che rimandano echi del Carpenter di 1997: Fuga da New York; il sottotesto politico presente per tutta la pellicola mette in evidenza il labile confine tra populismo e autoritarismo, tra spinte nichiliste e (auto)distruttive e voglia di affidarsi a improvvisati capi carismatici. E vale la pena, decisamente, di soffermarsi su un villain come quello interpretato da Tom Hardy, un personaggio complesso e dalle motivazioni solo apparentemente analoghe a quelle che animavano i suoi predecessori: quello di Bane è un personaggio che viene svelato gradualmente dalla sceneggiatura, che muta più volte agli occhi dello spettatore, e che rivela alla fine una complessità e uno spessore che non possono lasciare indifferenti. Un villain a tutto tondo, diversissimo dall'indimenticato Joker di Heath Ledger ma quasi altrettanto memorabile, sia nella scrittura che nella resa (non facile) offerta dal suo interprete. Ad Hardy, lo script affianca le efficaci new entry femminili di Anne Hathaway e Marion Cotillard, oltre a un altro personaggio complesso, dalla presenza inevitabilmente "pesante", nella storia e nelle sue possibili implicazioni future, come il giovane poliziotto interpretato da Joseph Gordon-Levitt.

Più in generale, Il cavaliere oscuro - Il ritorno riesce a chiudere magistralmente il cerchio di quella che ha ormai assunto (definitivamente, e a prescindere dai futuri sviluppi del franchise) i caratteri di una trilogia; con un senso dell'epica lucido e potente che non esclude, nell'ultima parte, una decisa e consapevole virata sul versante del melò; e un climax narrativo, sapientemente costruito nell'ultima ora, che farebbe invidia a qualunque prodotto appartenente allo stesso filone. Nolan, a prescindere da ciò che possano pensare i suoi detrattori, si conferma autore a tutto tondo, e le pur presenti imperfezioni delle sue pellicole non fanno che confermarne l'ambizione, tanto più grande quanto più inevitabilmente costretta a scontrarsi con i limiti imposti dal mezzo. Il Cavaliere Oscuro, e la sua Gotham, vengono salutati con la più degna delle conclusioni. Che qualcuno ne raccolga o no il testimone, sarà difficile pensare questa pellicola in termini diversi.

Movieplayer.it

4.0/5