Ken Loach: dalla parte degli angeli, e degli operai

A Roma per presentare il suo ultimo film, in uscita il prossimo 13 dicembre, il regista inglese ha parlato a 360° di cinema, politica ed economia ed è tornato sulle polemiche dei giorni scorsi relative al rifiuto del Gran Premio Torino: "E' stata una questione di principio", ha detto.

Da quando Ken Loach ha deciso di rifiutare il Gran Premio Torino assegnatogli da Torino Film Festival, come atto di solidarietà nei confronti dei lavoratori del Museo Nazionale del Cinema, negli ultimi giorni si sono susseguiti senza sosta i commenti e le accuse per un gesto ritenuto "narcisistico e megalomane" dalla direzione artistica della rassegna cinematografica, ma che andava considerato in linea con la personalità e la coerenza del cineasta. A giudicare dalla reazione dei presenti all'arrivo in sala del regista britannico, atterrato a Roma per promuovere il suo ultimo film, La parte degli angeli, la stima nei suoi confronti non è mai venuta meno, anzi se possibile è ulteriormente cresciuta. In uscita nelle nostre sale dal prossimo 13 dicembre, grazie a Bim, il lavoro di Loach, vincitore del premio della Giuria allo scorso Festival di Cannes, è una spassosa commedia che racconta in chiave umoristica e leggera le peripezie che si è disposti ad affrontare pur di vivere in maniera dignitosa. Il protagonista si chiama Robbie, ha evitato la galera per un soffio e ora che è padre di un bambino decide di rigare dritto; anche grazie all'aiuto di Harry, supervisore del gruppo di ragazzi difficili che, come Robbie, affrontano il servizio civile sostitutivo. Il resto lo fa il buon vecchio whisky scozzese che l'allegra combriccola di ragazzacci in kilt vorrebbe rubare per ottenere i soldi da investire in una nuova attività commerciale (legale). Atteso domani a Torino dove incontrerà gli operai della Rear, la cooperativa accusata di aver licenziato alcuni dipendenti del Museo del Cinema, in seguito a proteste sulla riduzione dei salari, Ken Loach ha voluto mettere subito le cose in chiaro. "E' stata una questione di principio".

Signor Loach, domani incontrerà una rappresentanza di lavoratori della Rear, cosa può dire per chiudere in maniera definitiva le polemiche relative al premio? Ken Loach: Dico anzitutto che il problema è stato sollevato già in estate, come testimonia questa email che mi è stata mandata il 10 agosto dalla direzione del Museo del cinema (legge la mail). Siamo consapevoli della situazione e sappiamo delle sue preoccupazioni, faremo tutto ciò che è in nostro potere per trovare una soluzione ragionevole per i lavoratori. Per quello che mi riguarda, il datore di lavoro ha la responsabilità principale quando ci sono licenziamenti iniqui, quando gli stipendi sono bassi e vengono ulteriormente tagliati del 10%. Evidentemente per loro non è la stessa cosa, non vogliono essere ritenuti responsabili per terzi, rifiutandosi di intervenire nella disputa tra cooperativa esterna e azienda. Così facendo, però, ognuno può far finta di niente. Ci sono lavoratori che puliscono i nostri uffici, ma la cosa non ci riguarda. Noi non siamo d'accordo con questo pensiero, perché il motivo per cui il lavoro viene esternalizzato è tagliare i costi, contro gli interessi dei lavoratori stessi. Mi dispiace che si sia sentita l'esigenza di insultare il gesto, mi hanno addirittura definito megalomane. Beh, non lo sono. Infatti, sarei stato felice di andare lo stesso a Torino a presentare il film, ma hanno ritirato l'invito. Peccato. Comunque, la questione principale non è la mia partecipazione al festival, ma il fatto che ci siano persone che perdono il lavoro, che hanno un salario da fame, che hanno difficoltà e non hanno rappresentanza sindacale.

Chiarissimo. Parliamo adesso di questo suo ultimo film. Come mai lei e Paul Laverty avete scelto di lavorare su una commedia, avevate bisogno di leggerezza?
Beh, il film precedente, L'altra verità, era davvero molto duro e abbiamo pensato che fosse il caso di sorridere un po'. Volevamo raccontare una storia su un gruppo di ragazzi che non hanno lavoro e futuro in maniera diversa e cioè facendoli vedere nel complesso. Sono divertenti, hanno ironia, energia, idee e volevamo una vicenda in cui potevamo ridere con loro. E' stato Paul a introdurre l'elemento del whisky, un tema che ha molte contraddizioni. E' la bevanda nazionale scozzese, ma i giovani non lo bevono perché costa parecchio e si ubriacano con qualcosa di più economico. Inoltre, la degustazione del whisky è un'arte raffinata e viene descritta con un linguaggio molto pretenzioso. Ci piaceva l'idea di vedere dei ragazzi di Glasgow a confronto con questi fini conoscitori. Il modo migliore per coinvolgere il pubblico nella tragedia di Robbie e gli altri era farlo affezionare ai personaggi. Se ci fossimo limitati a presentarli come vittime, ci sarebbe stato un certo dispiacere nel pubblico, ma non un reale avvicinamento. La commedia non è un extra, lo zucchero sulla pillola, ma è parte dell'umanità che vogliamo condividere. Qualche volta le storie finiscono bene, altre non è possibile che succeda.

La parte degli angeli è un inno alla solidarietà...
Certo, è un aspetto importante, ma non è sempre sufficiente. A volte hai bisogno di organizzazione. Sapete qual è il motto dei sindacati americani? Agitare Educare Organizzare, quindi, sì, abbiamo bisogno d'amore e solidarietà, ma anche di agitare, educare e organizzare.

Quanto è stato difficile trovare gli attori giusti?
Dopo la scrittura della sceneggiatura è in assoluto il problema più grosso. Il nostro protagonista, Paul Brannigan l'ha incontrato Paul Laverty che me lo ha segnalato. Ci siamo visti una decina di volte in tutto e sempre ha mostrato qualcosa di interessante. Non ha mai nascosto di aver avuto un'infanzia difficile, era un senza tetto già a 13 anni, è stato in prigione, ma ha avuto la capacità di trasformare tutto. Gary Maitland, che interpreta Albert, ha lavorato con me altre volte ed è un netturbino. Noi trattiamo professionisti e non nella stessa maniera e se c'è una sorpresa la riprendiamo. E' importante che un attore sappia sorprenderti, devi poterti affidare al loro istinto. Capita a volte che un attore colga qualcosa di nuovo, di diverso. Paul ha dovuto riscrivere la sceneggiatura di Bread and Roses per questo motivo.

Lei è considerato uno dei pochi registi attenti al sociale, che idea si è fatto dell'attuale panorama?
Ci sono molti registi interessati all'argomento, ma è lo spirito dell'epoca ad essere completamente diverso. Oggi tutto dipende dal mercato e i registi devono essere anche imprenditori, quindi molti di loro trasformano le loro idee adattandole al mercato, ma questo non vuol dire che non siano impegnati.

Non è decisamente un periodo ricco di prospettive, questo...
Noi dobbiamo trovare un motore che contrasti questa idea del mercato come unica via possibile. Non so da voi, ma in Inghilterra abbiamo la triste prospettiva di essere guidati dal centrosinistra. Per me non può esistere una cosa del genere. Puoi essere a favore del mercato e della deregulation e allora sei a destra, oppure essere favorevole ad un'economia pianificata e alla proprietà comune e allora sei a sinistra. Bisognerebbe dire a certi politici che quando uno sta al centro della strada di solito viene investito.

E' convinto che il capitalismo sia in crisi?
Della crisi del capitalismo si parlava già quando ero giovane. Dicevamo, la rivoluzione è domani, in realtà è oggi. Questo è il momento giusto, proprio perché stanno privando la società di tutti i principali diritti civili. Togliamo il sostegno ai disabili, non permettiamo ai giovani di comprare casa, gli ospedali sono sovraffollati, gli standard sono sempre più bassi e le multinazionali gestiscono il Servizio Sanitario. In poche parole, non possediamo nulla. Abbiamo bisogno di un nuovo motore, un nuovo modello economico è urgente. Il nostro centrosinistra sostiene che procederà con l'austerità lentamente. Quando ti strozzano, però, non fa differenza se lo fanno lentamente.

Qual è stato, se c'è stato, il momento più difficile della sua carriera?
Sicuramente gli anni '80, quelli del governo Thatcher. C'erano oltre tre milioni di disoccupati, le fabbriche chiudevano e i sindacati proclamavano scioperi che non avrebbero portato a nulla. Vivevamo una situazione così estrema che non sapevo come raccontarla. Ero in mezzo alla tempesta e non potevo non essere politico in quel frangente così diressi alcuni documentari. Uno fu rifiutato e quattro sono stati banditi completamente. Mi ero fatto la reputazione di regista incapace, ma questo è niente rispetto alla mia esperienza teatrale. Scrissi una pièce in cui si parlava della fine della Seconda Guerra Mondiale e in cui criticavo aspramente il sionismo. Doveva andare in scena in uno dei teatri più importanti di Londra, il cui direttore pensò bene di mostrare il testo ad uno dei capi della principale organizzazione sionista inglese. Potete immaginare quello che successe. Ero diventato anche razzista e antisemita e il più progressista dei teatri londinesi ci bandì. Fortunatamente ho ricominciato.

Ha mai pensato di lavorare fuori dall'Inghilterra, magari esaminando la situazione italiana?
Non credo che ne sarei capace, non potrei capire le sottigliezze di certi rapporti, le sfumature. Devi essere parte di una cultura per esprimerla bene. Se venissimo in Italia io e Paul potremmo ascoltare le vostre storie, ma non sapremmo proprio dove mettere le mani. Ci vorrebbero un regista e uno sceneggiatore italiani e ne avete molti.

Secondo lei il web può dare una mano a distribuire quei film che non trovano spazio nel mercato per così dire ufficiale?
Non sono la persona adatta a rispondere, innanzitutto perché abbiamo avuto ottime distribuzioni, e non finirò mai di ringraziare la BIM e poi perché non ho grande dimestichezza con la tecnologia, tuttavia so che la rete dà grandi possibilità. Esistono però delle limitazioni. E' bello sentire il pubblico che risponde in sala e poi per i giovani andare al cinema significa uscire di casa ed è un bene. Ma tutto quello che ti aiuta a condividere immagini nuove è una cosa brillante e da tenere in considerazione.

In conclusione, lei ama il whisky?
Sì, mi piace molto, mi piace la sua fragranza, ma non ditelo agli scozzesi: preferisco un bicchiere di vino.