Recensione La città ideale (2012)

Lo Cascio dimostra di possedere notevole intuito registico e di avere ben chiari gli obiettivi da perseguire. La scelta di aderire a un genere diviene strumento per raccontare una storia profondamente personale, legata alle sue origini e alla sua percezione della vita da emigrante.

Incubi ecologico-kafkiani

Siena è la città ideale. Di fatto per raggiungere la perfezione le manca la vicinanza dell'acqua, ma anche senza mare o fiume l'architetto siciliano Michele Grassadonia l'ha eletta come residenza esercitando la sua dittatura ecologica sui colleghi d'ufficio. Michele Grassadonia, in realtà, è Luigi Lo Cascio disposto, per il suo esordio alla regia, a mettere in scena un personaggio ambiguo e pieno di idiosincrasie. L'ometto kafkiano ossessionato dalla volontà di abbattere consumi scegliendo di vivere producendo da solo la corrente, lavandosi con l'acqua piovana e muovendosi solo a piedi, precipita in un incubo legale proprio nel momento in cui si azzarda a guidare l'auto (elettrica) di un amico per andare a prendere una collega d'ufficio in una serata tempestosa. Con queste premesse sono molteplici i motivi di interesse nei confronti di una pellicola intrigante, partita come una commedia per poi trasformarsi in un thriller con venature grottesche che potrebbe essere stato diretto da un Roman Polanski inesperto e naive.


Per la sua opera prima, Luigi Lo Cascio si affida a un team di attori di grandissima esperienza teatrale come Roberto Herlitzka, Luigi Maria Burruano e Alfonso Santagata assegnando loro piccoli, ma significativi ruoli. L'immaginario di Lo Cascio è popolato da ingegnose invenzioni degne di Leonardo, pittrici russe col fisico da top model e raccapriccianti incubi da alcolisti. Il tutto condito da un sottofondo ecologista in linea coi tempi e con le buone intenzioni. Nonostante qualche ingenuità, e una durata un tantino eccessiva, Lo Cascio dimostra di possedere notevole intuito registico e di avere ben chiari gli obiettivi da perseguire. La scelta di aderire a un genere diviene strumento per raccontare una storia profondamente personale, legata alle sue origini e alla sua percezione della vita da emigrante. Man mano che la storia procede, ed emergono elementi del passato di Michele, si delinea chiaramente una dicotomia tra Siena, la città ideale, e Palermo.

A una Toscana moderna, ma distante, sospettosa, e spesso indifferente, si contrappone una rappresentazione della Sicilia arcaica, quasi gattopardesca. Il preludio al gran finale arriva, infatti, con una visita al tribunale di Palermo che ricorda in tutto e per tutto quella descritta da Kafka ne Il processo. Visita guidata da un avvocato mefistofelico che piega la burocrazia a proprio vantaggio utilizzando metodi clientelari e tenendosi in bilico tra legalità e illegalità. Lo Cascio riesce a cogliere con pochi tratti l'essenza di due culture di cui vengono mostrate più ombre che luci. D'altronde La città ideale è una pellicola cupa, tetra, un viaggio nell'abisso della mente di un protagonista ingenuo, ma anche enigmatico. L'ombra del dubbio sulla colpevolezza del protagonista aleggia per tutta la prima parte della pellicola e la recitazione straniata di Lo Cascio è talmente efficace da alimentare nello spettatore un senso di disagio crescente. Giallo metafisico, thriller morale, pellicola di denuncia nei confronti dell'autorità, il film mette sul piatto della bilancia tante, troppe questioni. Non sempre tutte trovano una risposta e la caratterizzazione intrigante, ma superficiale, di alcuni personaggi - in primis l'inquilina russa di Michele - si perde per strada, ma nonostante qualche sbavatura, Lo Cascio riesce a mantenere vivo l'interesse nei confronti di un film che si differenzia dalla produzione italiana media. Un oggetto strano che merita attenzione e riflessione.

Movieplayer.it

3.0/5