Cedric Kahn a Roma cerca 'une vie meilleure'

Il regista francese al Festival di Roma col suo pamphlet anticapitalista interpretato da uno straordinario Guillaume Canet.

Una vita migliore passa anche attraverso un piccolo sogno, quello di un'attività in proprio che, ottenuta con tanti sacrifici, ripaghi umiliazioni e frustrazione di tanti lavoratori dipendenti. Questo è anche il sogno di Yann (Guillaume Canet), passionale e impulsivo cuoco francese che decide di indebitarsi insieme alla fidanzata Nadia (Leïla Bekhti), cameriera libanese, per rilevare e ristrutturare un locale tra i boschi che diventerà il suo ristorante. Ma il sogno si scontrerà ben presto con la realtà dei fatti e le banche renderanno la vita impossibile ai due speranzosi innamorati. Cedric Kahn, ospite a Roma per presentare la sua pellicola nel Concorso Ufficiale, cesella un'opera dura, feroce e drammatica che non fa sconti sulla rappresentazione dei nuovi poveri e sul comportamento spregiudicato di banche e usurai vecchi e nuovi mostrando come cambiare condizione sociale sia praticamente impossibile.

La realtà che mostri nel tuo film è dura e impietosa... Cédric Kahn Abbiamo costruito un film su due persone che subiscono il dramma dell'indebitamento e devono ricostruire la propria famiglia da zero rinunciando alle proprie aspirazioni. La rovina arriverà dalle banche e dal loro speculare sui piccoli imprenditori.

Infatti nel film viene mostrato come le banche non siano nemiche solo di chi ha il posto fisso, ma anche di chi tenta la via dell'imprenditoria.
Volevo far capire che la crisi si paga a tutti i livelli. Il sistema sfrutta la fragilità della gente. I poveri sono tanti e con i prestiti si specula sui loro risparmi concedendogli mutui che spesso non riusciranno a ripagare. In un sistema come questo, per me, è praticamente impossibile cambiare classe sociale. E' il sistema capitalistico che paralizza gli individui, la banca è solo uno degli elementi del sistema.

Col tuo film volevi costruire una parabola sulla vita di oggi?
Nella prima parte il mio film denuncia la brutalità del sistema, ma un film non deve solo occuparsi di condannare. Deve anche proporre qualcosa di diverso. Volevo mostrare come i miei personaggi alla fine imparino ad adattarsi abbandonando le loro aspirazioni materiali. Proprio nella povertà scopriranno che esiste ancora una possibilità di essere felici.

Slimane, il ragazzino co-protagonista del film, è bravissimo. Come hai fatto a farlo recitare in maniera così convincente?
Avevo già lavorato con un bambino in passato, ma non mi era piaciuto il metodo usato e stavolta ho fatto il contrario. Riprendere un bambino, per me, è il gesto cinematografico assoluto così ho scelto di tornare a lavorare con un ragazzino. Quello che per un bambino è libertà, diventa un grosso vincolo per altri attori, ma stavolta ho trovato il giusto equilibrio. Ho avuto molta fortuna a trovare un ragazzino capace di mostrare naturalezza e leggerezza. Per trovarlo abbiamo visto 400 bambini, il che non è tantissimo per un ruolo così importante, ma la scelta dell'attore che deve interpretare il figlio di Nadia è stata la più difficile. Ho passato notti insonni prima di decidere.

E invece come hai deciso di affidarti a Guillaume Canet? Il suo sembra un personaggio preso dalla strada, non sembra nemmeno recitare tanto è naturale.
Questo, per un attore, è il complimento più grande. Io volevo che l'attore scomparisse dietro il personaggio. All'inizio pensavo che Guillaume fosse un po' troppo middle class, volevo un attore più rovinato dalla vita, ma alla fine ho scommesso su di lui per il suo talento. Guillaume è molto famoso in Francia e trasformarlo in qualcuno che muore di fame era molto strano, ma ha funzionato. Anche la protagonista è troppo giovane per avere un figlio di dieci anni perché ne ha solo ventisei, ma alla fine entrambi gli interpreti sono stati molto coimvincenti.

Hai accettato suggerimenti da parte degli attori durante la lavorazione?
In realtà ho fatto molte prove prima di riuscire a girare per capire le interazioni tra la famiglia. Le situazioni erano molto strutturate, ma sui dialoghi ho lasciato liberà perché volevo che i personaggi si impadronissero delle parole e fossero naturali. In genere non credo nelle prove, non mi piacciono le situazioni troppo costruite.

Ti sei mai chiesto se quello che stavi girando era un film troppo duro?
Al cinema siamo abituati a vedere tutto attraverso il filtro hollywoodiano, ma io volevo invece offrire uno sguardo reale. Il film si svolge in un contesto storico di durezza estrema. Non c'era solo la volontà di fare un pamphlet anticapitalista, ma di dare una risposta diversa alla crisi. L'elemento chiave del film è il personaggio del bambino che, col suo sguardo limpido, fa cambiare le cose agli adulti. Non c'è una magia, ma è tutto incredibilmente reale. Slimane fa capire agli adulti che i valori che rincorrono non sono fondamentali.

La svolta positiva, per il personaggio di Yann, arriva dopo che lui ha aggredito lo strozzino rubandogli il denaro necessario a partire per il Canada. Non temi, in questo modo, di far trionfare una morale ambigua?
Quando a rubare è il bambino l'adulto è combattuto perché vuole insegnare i valori necessari a vivere in una società civile e a essere onesti, ma in seguito si trova costretto a rinunciare alla sua morale. Questo, però, è solo un episodio isolato che gli servirà a ricostruire la sua vita onesta. Quando ho deciso di fare un film a sfondo sociale mi sono indirizzato verso il tema a cui ero più sensibile: la povertà. La cosa che più mi fa indignare è proprio lo sfruttamento della miseria altrui e a volte i poveri sono portati a compiere atti sbagliati a causa della disperazione, ma Yann è fondamentalmente onesto e tale resterà.