C'era una volta in America: la Director's Cut approda in sala

La nuova versione del capolavoro di Sergio Leone, restaurata e con l'aggiunta di 26 minuti di girato, è stata presentata dalla figlia del regista Raffaella e dal responsabile del circuito The Space Giuseppe Corrado.

Se la parola "evento" può ancora avere un senso, riferita ad un'uscita cinematografica, crediamo che questa possa essere spesa senz'altro, e a pieno titolo, per questa riedizione cinematografica di C'era una volta in America. Il capolavoro di Sergio Leone, summa del suo cinema e suo testamento artistico, vera e propria ossessione per realizzare la quale il regista sarebbe rimasto lontano dal set per oltre dieci anni, trova nel grande schermo, e nella sala cinematografica, il suo luogo naturale di fruizione: al di là delle aggiunte di questa Director's Cut, meritevoli più in un'ottica di recupero filologico che in una puramente estetica, poter vedere il film di Leone in questa veste, e nel contesto della sala, è un'esperienza che nessuno dovrebbe mancare. A distanza di quasi un trentennio, un'opera come questa continua ad emanare una forza filmica pura, cristallina, che ne fa il racconto epico per eccellenza: forse, possiamo azzardare, la parola definitiva sull'epica narrativa trasposta su grande schermo, per dimensioni e forza del racconto, per lucidità e portata dello sguardo. Si può discutere, e le opinioni possono legittimamente essere discordanti, se questo sia o meno il miglior film di Sergio Leone; ma, almeno a nostro avviso, non possono esserci dubbi sul fatto che sia il più importante, quello in cui il regista romano ha investito di più, in cui ha racchiuso tutti i suoi temi, le peculiarità del suo approccio al cinema e al racconto per immagini. Un'opera in cui Leone finalmente incontra, abbraccia e fa suo quel sogno americano che il suo cinema aveva sempre occhieggiato, dilatandolo in quarant'anni di storia e in uno struggente racconto di amicizia e morte, svelandone impietosamente il lato oscuro ma restituendone al contempo l'immortale fascinazione. Per la dimensione e il carattere in qualche modo "assoluto" dato dal regista alla sua pellicola, il restauro e la visione in sala restituiscono davvero ad essa (e per una volta non è un modo di dire) nuova vita.

La presentazione alla stampa di questa Director's Cut, che reintegra 26 minuti di materiali aggiuntivi secondo l'originario progetto del regista, è stata introdotta dalle parole della figlia di quest'ultimo, Raffaella Leone: "Questo per noi era un sogno: per quanto mio padre avesse amato la versione originale, questi tagli gli erano costati moltissimo. L'idea di rimontare il film aleggiava già da tempo nella nostra famiglia. Personalmente, resto legata alla versione con cui sono cresciuta, che è quella che ho imparato ad amare: ma questo montaggio aggiunge al film una nuova completezza e dà dei chiarimenti sulla trama, toglie dei dubbi. L'uscita in America del film tagliato e distrutto (sul mercato USA il film uscì in una versione ulteriormente accorciata, che ammontava in tutto a 2 ore e 19 minuti, ndr), solo per riuscire, come diceva mio padre, 'a vendere i popcorn', gli era costata un grandissimo dispiacere. Questo, per me e mio fratello, è un modo di rendere omaggio a lui e al suo lavoro, nella forma più giusta, per fare in modo che ciò che ha fatto rimanga." A una domanda diretta, la figlia del regista specifica che il doppiaggio di questa versione è quello originale del 1984: "All'epoca dell'uscita del DVD, ci fu una grande polemica sul fatto che il film fosse stato ridoppiato. In realtà, il motivo era che tra la versione americana e quella italiana c'era una differenza di pochi secondi, e quindi c'erano dei problemi di sincronizzazione. In seguito, ci siamo resi conto che la differenza era dovuta solo a due piccole scene che erano state accorciate dal visto censura, quindi ora siamo stati in grado di recuperare il doppiaggio originale".

La parola è passata poi a Giuseppe Corrado, presidente della catena The Space Cinema, le cui sale ospiteranno, a partire da giovedì 18 ottobre e per tutto il week-end, questa nuova versione del film: "Questa iniziativa si inserisce nell'ambito di ciò che per noi dev'essere il ruolo della sala: quello di un luogo di intrattenimento dove poter proporre anche 'spettacoli'. Nella fattispecie, C'era una volta in America è un grandissimo spettacolo, per contenuti e durata, che va oltre il film propriamente detto. Già vedere un'opera di un certo livello in sala è un valore diverso da quello della visione in televisione: certe situazioni scenografiche, ambientali e fotografiche possono essere rese solo dal cinema e dal grande schermo. Per chi ama il cinema, questo film è un riferimento fondamentale: visto che l'iniziativa in cui questa distribuzione si inquadra si chiama 'The Space Extra', abbiamo pensato che un film come questo, ovvero un classico portato a nuova vita, potesse essere davvero il prodotto 'extra'."

Passando ad analizzare, nel dettaglio, questo nuovo montaggio (curato dalla Cineteca di Bologna, e co-finanziato da Gucci e dalla The Film Foundation di Martin Scorsese) va premessa una cosa: come abbiamo già accennato, le sequenze reintegrate non costituiscono un elemento narrativamente essenziale per lo sviluppo della storia, e il valore di tale reintegrazione è filologico (e, come spiegato dalla figlia del regista, di omaggio o addirittura "risarcimento" per ciò che l'opera ha subito in passato) più che prettamente artistico. La stessa, vistosa differenza nella resa dell'immagine tra il materiale restaurato e quello recuperato (e inevitabilmente deteriorato), oltre al necessario uso dell'inglese con i sottotitoli, aiutano in questo senso a contestualizzare e a inquadrare nella giusta ottica l'operazione.
Così, di peso narrativamente relativo appare la prima sequenza reintegrata (ambientata nel 1968) in cui vediamo un dialogo tra il Noodles di Robert De Niro e la direttrice del cimitero interpretata da Louise Fletcher: sequenza che, comunque, ha almeno il merito di restituire visibilità a quest'ultima e al suo personaggio, che era stato espunto dal montaggio originale del film. Più d'impatto (almeno emotivo) è la successiva reintegrazione, stavolta relativa al 1933 e mostrante un Noodles che non riemerge dall'acqua dopo il "tuffo" in mare con la sua auto, con la conseguente ansia dei compagni; mentre un peso decisamente maggiore hanno i due recuperi successivi, in cui si vedono rispettivamente il produttore Arnon Milchan nei panni dell'autista, mentre dialoga con Noodles sulla malavita ebraica (ideale "prologo" al disprezzo poi mostrato dal personaggio per lo stesso Noodles, dopo lo stupro ai danni della compagna Deborah) e la scena di sesso (mancato) con la prostituta Eve (che ha il volto di Darlanne Fluegel), che mostra un Noodles scosso e alla deriva dopo l'abbandono della stessa Deborah. Quest'ultima, interpretata da Elizabeth McGovern, è protagonista della quinta sequenza reintegrata, in cui la vediamo recitare il ruolo della Cleopatra shakespeariana nel 1968, poco prima del suo nuovo incontro, trent'anni dopo, col personaggio di Noodles. La sequenza recuperata che si rivela narrativamente più importante è tuttavia la sesta (e ultima): in questa vediamo infatti il personaggio di James Woods (quel Max ora trasformatosi in senatore Bailey) che ha un colloquio col sindacalista interpretato da Treat Williams, attraverso il quale riusciamo a comprendere meglio la disperata situazione dell'ex gangster, messo alle strette da un ricatto e per questo deciso a chiedere aiuto all'amico di un tempo, per mettere fine alla sua vita.