The Gentlemen, tutto il cinema di Guy Ritchie... in una serie!

La serie Netflix creata da Guy Ritichie segna il fondamentale ritorno sul piccolo schermo di un regista dalla firma riconoscibile, dimostrandosi (anche) una sorta di summa del suo stile stile cinematografico.

The Gentlemen, tutto il cinema di Guy Ritchie... in una serie!

Soltanto l'evento de Il problema dei 3 corpi è riuscito a scalzare dal primo posto in Top 10 la sorprendente The Gentlemen di Guy Ritchie (leggi la recensione), adattamento seriale targato Netflix dell'omonimo lungometraggio dell'autore britannico. E nonostante il sorpasso, a quasi un mese dal suo debutto in piattaforma, lo show con protagonisti Theo James, Kaya Scodelario e Giancarlo Esposito non accenna ad abbandonare la classifica.

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The Gentlemen: una scena

Un vero (e inaspettato) successo per un prodotto promosso con mediocrità che in realtà racchiude in una stagione da 8 e intensi episodi tutta l'essenza del cinema ritchiano, talmente autoreferenziale da fare il giro e dimostrarsi brillante ai limiti del concettuale, quasi il regista e creatore dello show volesse farlo a posta, a sintetizzare la sua grammatica stilistica in un becher mediatico differente sotto l'egida dello streaming. Dopo il film di The Gentlemen, La furia di un uomo e The Covenant, tutti approdati su Amazon Prime Video - due comprati, uno originale a seguito dell'acquisto della MGM -, fa quasi strano vedere un progetto così cool e apprezzato approdare sul competitor diretto del servizio (a cui, a quanto pare, non è nemmeno stato presentato), ma è proprio questo il bello della streaming war al suo picco attivo: un trasformismo irrefrenabile degli autori a seconda del miglior offerente e delle maggiori libertà creative, che è anche traducibile in fondi e fiducia. E in effetti, per una serie come The Gentlemen serviva soltanto apprezzare la filmografia dell'autore, specie guardando a tutti i riferimenti e le ri-elaborate ispirazioni provenienti da tutta la sua bacheca cinematografica.

Un puzzle su misura

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The Gentlemen: una scena

Quello di Guy Ritchie è da sempre un cinema innamorato della strada, delle sue maschere e delle sue numerose potenzialità. Guardando all'evoluzione della filmografia dell'autore, si può dire che il filmmaker ami raccontare la criminalità in ogni sua forma e sfaccettatura, partendo dal basso per muoversi poi in ogni possibile diramazione. I suoi protagonisti anti-convenzionali sono per la maggior parte piccoli gangster che si muovono nel tessuto metropolitano londinese, e questo già nel folgorante debutto con Lock & Stock, dove inseriva a monte gli elementi costitutivi e ormai eterizzati del suo cinema: droga, gioco d'azzardo, linguaggio sporco, accenti marcati, ma soprattutto il motore dell'inconveniente a muovere la sua macchina narrativa. E da lì, in un modo o nell'altro, non si è mai spostato, anche cambiando genere e prospettiva, giocando sempre con gli stessi stereotipi, gli stessi personaggi, le stesse intuizioni di storytelling.

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The Gentlemen: una scena

Nella serie di The Gentlemen tutto questo viene adattato in un medium differente e più longevo in termini di struttura e minutaggio, e in un certo senso emergono tutti i limiti ma anche le grandi virtù del suo modus operandi, specie osservando i tanti richiami ai titoli passati, che insieme vanno di fatto a comporre lo show quasi fosse un puzzle creato pezzo dopo pezzo sull'autore, dall'autore, per l'autore e i suoi fan. Aveva già provato a farlo nel 2000 con la trasposizione seriale di Lock & Stock - pazzi scatenati, ma aveva forse anticipato i tempi senza prima perfezionare la sua sintassi stilistica, per altro a ridosso dell'uscita di Snatch e delle sue tante e astute invenzioni. The Gentlemen sfrutta invece le caratteristiche più efficaci della firma di Ritchie, cucendole nel tessuto stesso dello show, intrecciate con ingegno nella trama, quasi a scomparire nel risultato finale. Ma ci sono, evidenti o meno che siano.

The Gentlemen: i collegamenti con il film e il finale à là Guy Ritchie

Lord, criminali e gipsy

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The Gentlemen: una scena

Pur non avendo nulla a che spartire in termini di protagonisti e di continuity con il film, di The Gentlemen la serie calca soprattutto il concept di partenza, cioè quello dell'infrastruttura di produzione e contrabbando di marijuana legata alle proprietà dei lordo britannici. Questa volta, però, la narrazione procedere dall'interno, seguendo la trasformazione di uno di questi nobili inglesi in vero e proprio criminale di alto profilo. Dentro, tanti richiami al film: la passione per il barbecue di Bobby Glass (Ray Winstone) che richiama le scene tra Hugh Grant e Charlie Hunnam; la citazione portante della giungla e dello zoo, che rimanda a quella di Michael Pearson (Matthew McConaughey) e che diventa refrain importante nell'evoluzione del protagonista; L'importanza dell'estetica, di apparire, di nascondersi. I personaggi vengono ricalibrati: lo Stanley Johnston di Giancarlo Esposito è ad esempio una rilettura del Matthew Berger di Jeremy Strong, ma al contempo un inside joke meta-seriale con il suo Gus Fring in Breaking Bad (spaccia metanfetamina coprendo l'attività con un franchise di ristoranti). Ma anche la stessa Susie Glass è una crasi tra il Raymond di Charlie Hunnam e la moglie di Michael Pearson nel film. Andando oltre The Gentlemen, si guarda indietro a personaggi più curiosi e pericolosi come il Testarossa Polford di Alan Ford e Boris Lametta di Snatch, qui rielaborati e ancora più estremizzati nei Fratelli Dixon, l'Evangelista e Tommy, al loro modo di essere folli e feroci ma anche assurdi ed esilaranti, che è poi il marchio di fabbrica di Ritchie in termini di scrittura.

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The Gentlemen: una scena

Restando a Snatch - Lo strappo, la presenza degli zingari è una direttissima citazione al Micky O'Neil di Brad Pitt e alla sua allegra famigliola gipsy, con cui condivide persino alcune scene praticamente identiche (quella nel camper al primo incontro tra Eddie e JP Ward). Il pugilato, poi, ricorre continuamente. La dipendenza come escamotage narrativo negativo, che guarda soprattutto a Rock'n'Rolla, ma anche l'aiutante imprevedibile che nella serie è incarnato perfettamente dal Freddy Horniman di Daniel Ings. Personaggi, maschere e situazioni che convivono insieme in un progetto dove anche i virtuosismi del montaggio rispettano l'ideale del cinema ritchiano, con stacchi netti dall'azione che rimandano a una narrazione secondaria. Per questo evoluto e perfezionato, ormai, lo stile dell'autore britannico è divenuto un linguaggio cinematografico vero e proprio, e il fatto che riesca ad essere declinato con tutte le sue sfumature anche in una serie streaming senza perdere efficacia e mordente, testimonia solidità e validità "dell'idioma" autoriale ritchiano, mai stanco e mai pago.