Susanne Bier presenta Dopo il matrimonio

La regista ha partecipato ad una conferenza stampa a Roma per la presentazione del suo film, già passato alla Festa di Roma.

Dopo il passaggio alla prima edizione di Cinema - Festa di Roma, arriva a Natale nelle nostre sale Dopo il matrimonio, il film candidato ufficiale della Danimarca agli Oscar 2007. Diretto da Susanne Bier, regista di Non desiderare la donna d'altri, e sceneggiato da Anders Thomas Jensen (Le mele di Adamo), Dopo il matrimonio intreccia dramma sociale e dramma familiare per indagare il difficile rapporto tra genitori e figli, le grandi scelte che si è costretti a fare nella vita e la discrepanza tra Nord ed Est del mondo. A parlarci del film è la regista Susanne Bier, reduce da una trasferta hollywoodiana dove ha appena terminato le riprese del suo primo film americano, Things we lost in the fire, con Halle Berry e Benicio del Toro.

Com'è nata l'idea del film?

Susanne Bier: Noi scandinavi ci siamo sempre considerati cittadini di un mondo a parte, isolato rispetto a tutto il resto. Dopo l'11 settembre tante cose sono cambiate e quest'idea d'isolamento è venuta a cadere. La vicenda dell'India nel film serve per sottolineare questa connessione tra mondi apparentemente diversi. L'India è un paese molto attraente, con tanti problemi, ma per me c'era la voglia di far vedere che non è solo bianco o nero e che non c'è un posto privilegiato dove vivere. Bisogna rispettare il fatto che i bambini appartengono ad un certo posto e dobbiamo fare in modo che vivano dove sono nati, senza decidere noi cosa sia meglio per loro.

Il personaggio del magnate incarna lo spirito del capitalismo più positivo. Lei pensa che in fondo i ricchi siano davvero buoni?

Non penso che quel personaggio sia un simbolo del capitalismo, e per me è stato solo un modo per parlare di questo mondo. Avevo e ho pregiudizi verso i ricchi e quindi era una bella sfida affrontare questo argomento. Non tutte le persone ricche sono interessate solo al denaro. So che è un punto molto delicato e spero che il pubblico non si ponga nell'ottica di considerare i ricchi cattivi e interessati solo ai propri profitti, perché ci sono anche persone che sanno andare al di là del vil denaro.

Nel film ci sono uomini che prendono decisioni forti e donne che le subiscono, ma alla fine sono soprattutto i personaggi maschili a mostrare grande fragilità. Il suo film si può considerare come una riflessione sulla lotta tra i sessi?

Non credo che i miei film siano caratterizzati da questa lotta tra i sessi. In tutti i miei film, invece, ci sono i temi familiari. Penso che anche se volessi fare un film senza temi familiari non ci riuscirei. Nel mondo moderno, così disgregato e frammentato, la famiglia è sempre più importante. Bisogna però reinventare l'idea di famiglia secondo i canoni moderni, quindi accettare anche una famiglia allargata.

Attraverso la regia lei cerca di veicolare un'idea di sincerità che è molto simile a quella del movimento Dogma. Si è ispirata a esso girando?

In passato ho fatto un film Dogma, Open Hearts. E' stato un movimento molto importante perché ha avuto una certa influenza sui registi danesi e trovo abbia degli aspetti molto positivi, come quello di concentrarsi totalmente sulla storia, sui personaggi e sui loro sentimenti. Il mio però non si può considerare un film Dogma perché ci sono i costumi, le scenografie, ecc. Se c'è un elemento Dogma nel mio film è sicuramente la macchina da presa a spalla, ma anche questo era già stato fatto prima da altri autori. Amo particolarmente questa tecnica di ripresa perché gli attori riescono ad essere più realistici e sinceri.

Com'è il suo lavoro con gli attori sul set?

Tutto quello che voglio dai miei attori è che siano onesti, coraggiosi e che mantengano il senso dell'umorismo. La mattina prima di cominciare le riprese provavamo con gli attori per un'ora e mezza senza troupe. La parola d'ordine era l'onestà, a cominciare dalle cose più piccole, da quei piccoli dettagli che fanno la differenza e fanno sembrare tutto più realistico.

Lei ha appena finito di girare un film a Hollywood per la Dreamworks. Che ci dice di questa esperienza?

Il film è quasi finito ed è in fase di montaggio. Ho cercato di fare il possibile per conservare il mio metodo di lavoro, quello che utilizzavo prima in Danimarca. Certo, è tutto diverso dal punto di vista pratico, dalle roulotte ai parrucchieri personali, tutte cose a cui non ero abituata prima, ma quando si è trattato di girare alla fine è stata la stessa cosa. Anche in questo caso ciò che volevo era l'onestà e la sincerità degli attori. La cosa più sorprendente è che mi hanno lasciato fare il film a modo mio e questo ha smentito i pregiudizi che avevo verso l'industria hollywoodiana.