Per Sorrentino essere a Cannes è sempre una grande bellezza

Il nostro incontro stampa con il regista de Il Divo che fa ritorno sulla Croisette con il compagno di avventure cinematografiche Toni Servillo e i romani Carlo Verdone e Sabrina Ferilli.

Dopo grande attesa a Cannes è la volta de La grande bellezza, ultimo lavoro di Paolo Sorrentino che ha l'onore di essere anche l'unico film italiano in concorso. Presentato alla stampa internazionale, il film sembra essere stato accolto con favore dalla critica, anche se non sono mancate alcune voci fuori dal coro come quella dei Cahiers du Cinema. Per alcuni bella e triste, melanconica e riuscita, la pellicola ricostruisce la vita vacua dei salotti romani popolati da un'umanità inconsapevole della sua stessa piccolezza. Così, con dubbia amarezza, il regista de Il divo, racconta l'involuzione di una classe intellettuale che, arrivata nella capitale con l'illusione di carpire proprio la grande bellezza, si trova ad essere fagocitato e omologato da una Roma cafona, ricca e opulenta ma sempre fotografata con il cuore. A svelare i segreti di questo film tanto atteso è lo stesso Sorrentino, arrivato sulla Croisette in compagnia dell'inseparabile Toni Servillo e del cast romano formato da Sabrina Ferilli e Carlo Verdone.

Signor Sorrentino, il personaggio di Servillo porta con sè tutta la cultura napoletana.Quanto pesa questo elemento anche soprattutto nella ricostruzione di un ambiente esclusivamente romano?
Paolo Sorrentino: È evidente che nel film si fa riferimento ad una ironia partenopea che non riesco a scorgere altrove. Il personaggio di Gambardella è legato ad un tipo di napoletano che sia io che Toni conosciamo bene e amiamo molto. Si tratta di figure in via di estinzione per evidenti motivi anagrafici che hanno saputo mischiare la passione per il profondo e il superficiale senza nessun accento di snobismo.

Un altro elemento narrativo fondamentale è la voglia di rivalsa del provinciale a confronto con le opportunità offerte dalla grande città...
Paolo Sorrentino: Assolutamente. Si tratta di un disincanto sentimentale che in una città fagocitante come Roma trova nel cinismo una forma di difesa. Perché, alla fine, tutti i cinici nascondono un lato sentimentale molto sviluppato che li rende allo stesso tempo vulnerabili ed eccezionali.

Possiamo definire questo film anche una storia sul tempo e sui rimpianti, il cui scopo è di far percepire pienamente l'importanza di godersi appieno la bellezza della vita?
Paolo Sorrentino: Ho voluto dare pieno spazio allo svolgimento reale del tempo. Ne avevo bisogno perché il film si concentra sulla biografia del personaggio di Toni, sulle domande che tutti noi ci rivolgiamo viaggiando nella zona di dubbi presente in ognuno uomo.

Nella costruzione di un certo ambiente pseudo intellettuale quanto c'è della sua estraneità al chiacchiericcio mondano?
Paolo Sorrentino: Onestamente non lo so. Il fatto è che, vivendo in una grande città, è veramente molto difficile sottrarsi alle sollecitazioni di alcuni rituali di gruppo. Alla fine tutti, volenti o nolenti, ci sottoponiamo a determinate aspettative e regole sociali. Come il chiacchiericcio e la sensazione di serate deludenti.

Nonostante i molti personaggi che popolano La grande bellezza, però, quello principale sembra essere Roma. Quale sentimento ha espresso nei confronti della città?
Paolo Sorrentino: io sono costantemente stupito e meravigliato dalla città e dalla gente. La mia intenzione era di gettare uno sguardo su un'ampia rappresentazione dell'umanità con occhio benevolo e affettuoso. Capisco che molti si siano sentiti chiamati in causa e che possano reagire con una certa violenza. Altri ancora, però, con onestà intellettuale hanno ammesso di non essere certo estranei a quel contesto. Ed uno di loro sono io.

Lei tocca vari ambienti tra cui quello culturale e dello spettacolo, ma lascia fuori quello della politica. Da cosa nasce questa scelta?
Paolo Sorrentino: Credo che di politica se ne parli anche troppo, mentre il film era un'occasione per accendere le luci su personaggi meno conosciuti. Ultimamente c'è una specie di imperativo dettato dalla politica e non mi sembrava necessario farlo entrare anche qui.

Il film sembra essere particolarmente legato alla nostra attuale condizione sociale e culturale. Crede che se avesse realizzato questa storia dieci anni fa sarebbe stata completamente diversa?
Paolo Sorrentino: No, non credo. Penso sarebbe stato tutto uguale visto che, oltre la forma, ci si interroga sui sentimenti e le dinamiche degli esseri umani che non appartengono ad un tempo preciso. Mi piaceva, poi, raccontare il percorso di un uomo che cerca delle opportunità all'interno di un paese capace di lasciar andare le proprie ormai molti anni fa.

La stampa straniera ha reagito con molto calore e apprezzamento al suo film. Cosa pensa li abbia conquistati?
Paolo Sorrentino: Secondo un certo luogo comune si dice che i giornalisti stranieri non aspettino sempre con ansia un film italiano contro il proprio paese. In realtà, io credo che siano in attesa di belle storie e quando ne trovano una ne parlano bene. Se rifletto sui film che hanno ottenuto il favore del pubblico e della stampa straniera, non rintraccio un filo d'unione. Mediterraneo e Gomorra, ad esempio sono molto diversi tra loro, ma entrambi hanno raccolto degli ottimi riscontri.

Carlo Verdone e Sabrina Ferilli, voi siete la rappresentanza romana di un cast numerosissimo. Cos'è stato per voi La grande bellezza?
Carlo Verdone: Voglio precisare che Paolo non ha assolutamente fatto La dolce vita. Piuttosto ha composto un mosaico ristretto di un ambiente preciso e, attraverso questo, è risalito agli umori del momento, alla solitudine e al misticismo. In questo senso il suo è un film metafisico. La ricostruzione dell'ambiente, come dell'umanità che la popola, è puramente metaforica. Importante, però, è catturare la scenografia di una città che all'alba riprende tutta la sua maestosità imperiale, mentre sul palcoscenico si muovono delle maschere erranti che vivono sbandate e senza essere capaci di andare da nessuna parte. E in tutto questo che cosa è la grande bellezza? Sicuramente la nostalgia della giovinezza quando era naturale sperare in una vita che fosse migliore e alleata.

Sabrina Ferilli: Si tratta di un film difficile perché lascia aperte molte possibilità interpretative e, per essere apprezzato, credo abbia bisogno di spettatori maturi. Per quanto mi riguarda La grande bellezza è un inno alla vita ai suoi dolori. Sovverte molti luoghi comuni, tanto che i più disgraziati sono quelli destinati alla vulnerabilità ma anche ad essere vincenti. E tutto questo accade sotto il Cupolone. Perché Roma è il mondo ed essendo stata il centro di molti avvenimenti, si identifica come una città cinica, con il pelo sullo stomaco. Io ne sono completamente affascinata e persa.

Come avete lavorato sulla costruzione dei personaggi? Quanto siete stati guidati da Sorrentino nella loro comprensione?
Sabrina Ferilli: Per quanto riguarda la mia esperienza, Paolo ha evidenziato solo alcune caratteristiche sulla sceneggiatura, in cui era racchiusa tutta l'essenza del mio personaggio. In poche parole doveva essere una maggiorata in stile anni Sessanta, molto solare ma che portava dentro di sè l'incomprensione della sua vita ed un segreto. Il fatto è che con Paolo arrivi a quello che vuole perché ti dice esattamente tutto ciò che non desidera. Poi è talmente aperto e possibilista che ha dato a noi la possibilità di aggiungere del colore.

Carlo Verdone: non credo di aver incontrato grandi difficoltà. Vedeva la prova e quasi sempre era nei toni giusti, tranne il primo giorno. Per il resto ho trovato un set all'opposto del mio. Io, vestendo spesso il doppio ruolo di attore e regista, mi trovo ad intrattenere la troupe con imitazioni e vocette. In questo modo gli attori si divertono e lavorano con maggior tranquillità. Sul set di Paolo, invece, regnava un silenzio assoluto. Ha un modo di girare così rigoroso da mettere n ansia anche i suoi assistenti. Tanto per sdrammatizzare, un paio di volte ho fatto dei miei "numeri". Pensate, sono riuscito a farlo ridere, ma quanta fatica. Per il resto mi sono adattato al suo clima. Lui è un vero regista, un pò come quelli di una volta. Molto disciplinato e gentile, ma capisci subito quando si infastidisce per qualche cosa.

Signor Servillo, dopo il successo del Il divo raccolto proprio qui a Cannes, è tornato sulla Croisette nuovamente accanto a Sorrentino. Come descriverebbe la maschera dello scrittore Jep Gambardella?
Toni Servillo: Non credo che in questo film ci siano delle maschere. Paolo non lavora mai su delle immagini preordinate. In realtà ha descritto mondi dove si officiano delle ritualità legate all'arte, alla politica e allo spettacolo. Questi comportamenti sono la manifestazione vivente di come stiamo al mondo e della situazione che ci troviamo a vivere. In breve, sono dei personaggi concreti che determinano degli ambienti specifici attraversati dal Jep, come se fosse una specie di guida.

Roma è il personaggio cui tutti si riferiscono. In che modo si confronta con questo luogo?
Toni Servillo: Roma è la città eterna in senso temporale. Vedete, la bellezza è un elemento destinato a scomparire quando la si guarda troppo a lungo, mentre questa città sorge fiera giorno dopo giorno tra le rovine e i suoi fantasmi. Si tratta di un luogo che ha permesso a Sorrentino di fare accostamenti arditi e di produrre un cinema libero. Un tipo di prodotto che non ho idea per quanto tempo riusciremo ancora a realizzare.