Recensione L'isola di ferro (2005)

Al suo secondo film, l'iraniano Mohammad Rasoulof adatta per il cinema una sua piece teatrale, dimostrando una notevole maturità nel raccontare con equilibrio un'originale storia "di mezzo" che non è soltanto allegoria della sua società, ma riesce a catturare il momento di passaggio dell'intera società odierna.

La vita in mezzo al mare

Presentato nella Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes del 2005, L'isola di ferro è la storia di un piccolo gruppo di persone senza casa che ha deciso di vivere su una petroliera abbandonata nel Golfo Persico, a poche miglia dalla costa, trasformandola in una vera e propria mini-città, con i suoi ritmi, le sue attività, i suoi rumori. L'intera vita della comunità viene gestita dal capitano Nemat che provvede ad aggiustare ogni "guaio" quotidiano, controlla la circolazione di denaro ed informazione, e, mentre vende parti di ferro della nave, esponendola così a rischio affondamento, cerca una sistemazione definitiva alla sua gente sulla terraferma.

Nome nuovo del cinema iraniano, Mohammad Rasoulof al suo secondo film, dopo The Twilight del 2002, adatta per il cinema una sua piece teatrale, dimostrando una notevole maturità nel raccontare con equilibrio un'originale storia "di mezzo" che non è soltanto allegoria della sua società, ma riesce a catturare il momento di passaggio dell'intera società odierna. Una società che affonda poco a poco, ma inesorabilmente, lasciandosi comandare dal tiranno di turno travestito da benefattore, raggiunta solo da notizie filtrate e in attesa che le cose cambino da sole, mentre i sentimenti vengono tenuti ben nascosti.

Una sorta di Kim Ki Duk meno etereo e più concreto, Rasoulof è molto bravo a dare credibilità ad una storia corale e stravagante che ha la forma di una metafora, ma parla il linguaggio universale della vita vera coi suoi drammi, le sue ingiustizie, i suoi riti. Il regista segue il gruppo più che i singoli; il suo sguardo resta sempre in superficie, evitando di sottolineare con enfasi le terribili storie quotidiane che pure vivono gli abitanti della nave: la ragazzina costretta a sposare un uomo vecchio e "per bene", il ragazzo innamorato di lei che tenta di scappare e per punizione viene quasi lasciato affogare. Anche i passaggi più teneri (il pesce-bimbo, simbolo di speranza, che cattura i pesci e poi li libera, il maestro che insegna ai suoi allievi la bellezza del mondo, il vecchio che passa le sue giornate a guardare il sole e ha paura di non trovarlo più una volta sceso dalla nave) sono riportati senza esagerazioni, tenendo i toni sempre pacati, lasciando parlare solo le immagini. E le immagini colorate dell'isola di ferro, seppure rosicchiate dalla ruggine, riescono ad incantare e a trasportare lo spettatore tra quelle genti, per accompagnarle nel loro viaggio sulla terra.