La mafia non è più quella di una volta, la recensione: odissea nell’omertà neomelodica

La recensione di La mafia non è più quella di una volta: grottesco, tragicomico e cinico, il nuovo film di Franco Maresco fotografa il tema dell'omertà con disincanto.

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La mafia non è più quella di una volta: Ciccio Mira e il suo produttore

Non ci sono più le conferenze stampa di una volta. Apriamo questa recensione di La mafia non è più quella di una volta con la fredda cronaca: sì, perché Franco Maresco ha disertato la presentazione ufficiale del suo film in concorso a Venezia 76, non presentandosi al Lido. Al festival non era mai successo prima. Un fatto che ci racconta tanto del regista palermitano, del suo carattere scostante e imprevedibile, della sua voce sempre fuori dal coro. Da sempre autore scettico nei confronti della realtà politica e sociale che lo circonda, Maresco conferma tutto il suo dissenso con questa nuova stramba creatura cinematografica tagliente e insolita.

Questa volta nel suo mirino c'è finita l'omertà sicula, raccontata attraverso due modi opposti di vivere la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Grottesco, tragicomico e cinico, La mafia non è più quella di una volta, titolo che ricorda molto l'ironico esordio alla regia del sempre palermitano Pif (La mafia uccide solo d'estate), è una gradita mosca bianca all'interno di questa Mostra del Cinema di Venezia 2019. Perché nonostante in molti fossero sorpresi di vedere Maresco in concorso (anche questa è una prima volta), la sua irridente tragicommedia mostra spalle robuste attraverso un racconto popolare pieno di disincanto.

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La mafia non è più quella di una volta: una scena del film

Cinque anni dopo Belluscone - Una storia siciliana, Franco Maresco torna a soffermarsi sui paradossi della sua terra, questa volta alle prese con un'imperdonabile mancanza di memoria storica e ingenti dosi di ingratitudine. Il tutto senza mai calcare la mano anche quando punta il dito contro i colpevoli. Il tutto messo in scena con una leggerezza divertente, a tratti esilarante, trovata scavando tra personaggi assurdi, teneri, miserabili, e per questo quasi difficili da condannare.

La trama: la terra degli eroi dimenticati

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La mafia non è più quella di una volta: una foto di Letizia Battaglia

La fotografa e il talent scout neomelodico. Lei immortala la realtà, lui guarda dall'altra parte, fa finta di dimenticare, ti distrae con una canzone. Lei è indignata, lui fa spallucce. Letizia Battaglia e Ciccio Mira sono poli opposti che non si attraggono mai. Ed è attraverso i loro occhi che Maresco decide di raccontare il 25esimo anniversario delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. Battaglia, cognome che ben si addice a un'attivista combattiva come lei, si aggira spaesata e incredula in mezzo a manifestazioni che dovrebbero esprimere rispetto e cordoglio, e invece assomigliano ad allegre sagre di paese. Maresco riesce a carpire la profonda delusione negli occhi di Battaglia mentre prende atto della partecipazione vuota e sterile dei palermitani. Per quanto sia evidente l'artificio documentaristico (evidenziato da Battaglia stessa), La mafia non è più quella di una volta mostra una Palermo riluttante alla celebrazione di Falcone e Borsellino, come se fossero ormai dimenticati in un passato da non rimestare, meno importanti dei loro problemi quotidiani. Senza calcare la mano sull'amarezza della cosa, Maresco mantiene sempre intatto un tono curioso, ironico, leggero. Ed è qui, ovvero nella leggerezza che sfocia nella superficialità, che arriviamo a quell'assurdo personaggio di nome Ciccio Mira.

La memoria è una chitarra scordata

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La mafia non è più quella di una volta: Ciccio Mira e il suo pupillo Cristian Miscel

Già protagonista di Belluscone, l'imprenditore palermitano è l'emblema tragicomico del film. Organizzatore di improbabili eventi canori, Ciccio Mira prova ad abbracciare la commemorazione anti-mafia organizzando un concerto dedicato ai due grandi magistrati. E mai tentativo fu più goffo e surreale. Senza avere mai il coraggio di condannare la mafia, Mira imbastisce un teatro di omertà fatto di canzonette neomelodiche con testi al limite del buon senso e del buon gusto, si nasconde dietro la sua presunta ignoranza usata come corazza, si traveste da imprenditore che sogna in grande ma è destinato alla pochezza.

Così Maresco mette Ciccio al centro del mirino, lo dipinge sempre in bianco e nero come se vivesse chiuso in un altro tempo, eppure è grazie a lui e alla sua paradossale compagnia di produttori e cantanti se La mafia non è più quella di una volta riesce a diventare spesso esilarante. Attraverso equivoci, stravaganze e personaggi eccentrici (ovvero cantanti neomelodici che sembrano usciti dalla peggiore puntata de La Corrida), Maresco mette in scena un panorama umano talmente assurdo che è difficile ritenere autentico. Dopo tante grasse risate, nello spettatore può nascere un senso di colpa nei confronti di queste persone vittime di ignoranza e vanagloria, ma è un rischio calcolato da un regista che sa come maneggiare la satira. Lo conferma un geniale epilogo che va alle radici dell'omertà, come se fosse un male atavico. Perché basta guardarsi attorno, non solo tra le strade di Palermo, per capire che l'omertà è dura a morire. Lei sì che è sempre quella di una volta.

Conclusioni

Leggendo questa recensione di La mafia non è più quella di una volta, è facile intuire il nostro entusiasmo per il nuovo film di Franco Maresco. Attraverso una ricostruzione tragicomica, che gioca sul filo tra reale e assurdo, questo pseudo documentario grottesco affronta il tema dell'omertà raccontandoci due modi opposti di ricordare le mitiche figure di Falcone e Borsellino. L'opera di Maresco andrebbe subito eletta come grande lezione di satira.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
2.7/5

Perché ci piace

  • Il tono sempre leggero col quale Maresco condanna l'ingratitudine collettiva.
  • La scelta di soffermarsi su due figure agli antipodi come Ciccio Mira e Letizia Battaglia.
  • Molte sequenze sono davvero esilaranti, per quanto profondamente tragicomiche.

Cosa non va

  • Qualcuno potrà sentirsi in colpa mentre ride delle disgrazie e dell'ignoranza altrui.