Il duro del Road House: chi vince tra Patrick Swayze e Jake Gyllenhaal?

Con l'uscita su Amazon Prime Video del remake firmato da Doug Liman, scopriamo insieme analogie e differenze tra il film degli anni '80 e questa nuova versione sbarcata nel mercato streaming.

Il duro del Road House: chi vince tra Patrick Swayze e Jake Gyllenhaal?

Ci sono film che rimangono nell'immaginario comune anche senza meriti particolari, ma soltanto per quell'essenza da cult movie che si portano appresso. Una consuetudine della quale possono bearsi molti titoli usciti nel decennio più iconico che si può, ovvero quegli anni Ottanta che non sono mai passati del tutto di moda e anzi negli ultimi lustri hanno pesantemente influenzato le produzioni moderne.

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Road House: Patrick Swayze in una scena

Chiamatela nostalgia, chiamatela mancanza di idee, poco importa: gli eighties sono tornati per rimanere, con tutti i pro e i contro del caso. Allo stesso modo la pratica dei remake, quella davvero senza età e punti di riferimento, ha mietuto una nuova vittima con l'ampiamente discusso Road House, rifacimento sbarcato su Amazon Prime Video de Il duro del Road House (1989), che vedeva il compianto Patrick Swayze come assoluto mattatore.

Uomini tutti d'un pezzo

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Road House: Jake Gyllenhaal più duro che mai in una scena

Se nell'originale il protagonista era uno dei buttafuori più famosi dell'intera nazione americana - o almeno così era fatto intendere - nella versione 2024 Jake Gyllenhaal è un ex campione UFC reduce da un evento traumatico nel proprio passato. Una differenza sostanziale già nella genesi del personaggio, con le stesse scelte prese nel prosieguo che si mantengono sulle rispettive linee guida. Nel film del 1989 James Dalton viene assunto dal proprietario di un locale, il Double Deuce, teatro di continue risse tra i balordi lì frequentatori, affinché istruisca un team di giovani colleghi a gestire le situazioni più complicate. Peccato che la cosa non venga vista di buon occhio dal gangster locale, che arriverà a prendere di mira le persone a lui più care: una combo esplosiva, in puro stile del periodo.

Tempi che cambiano

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Road House: Patrick Swayze in una scena

L'Elwood di Gyllenhall è una figura disillusa, che non ha più niente da perdere e che vede l'offerta di Frankie, tenace proprietaria di un locale fuori città, di mantenere l'ordine e gestire gli avventori violenti come un'opportunità per ritrovare la pace. Pace che puntualmente viene rovinata dal solito boss di turno, il quale assume un individuo psicopatico per farlo fuori: nel mezzo love story d'ordinanza, amicizie e scazzottate in serie, tra violenza e ironia. Peccato che l'atmosfera piacevolmente caciarona che caratterizzava il prototipo venga qui sacrificata in favore di uno stile esageratamente sopra le righe, come ulteriormente sottolineato dalla caricaturale performance di Conor McGregor nelle vesti di final-boss: un personaggio fuori controllo così come il suo interprete, con il confine tra realtà e recitazione sottile come non mai.

Questione di stile

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Road House: Jake Gyllenhaal e Conor McGregor nel film

Il divertimento di questa nuova versione è depotenziato dall'anima action che risulta fasulla e improbabile, con la computer grafica che finisce per agire in maniera invasiva nelle evoluzioni coreografiche e nelle interazioni tra i combattenti, tanto da rendere il tutto finto e superfluo, mai appagante anche nei momenti potenzialmente più riusciti. Nulla a che vedere con quello stile forse più grossolano e ingenuo ma maggiormente genuino, dove Swayze e il resto del cast - da sottolineare un memorabile Sam Elliott quale partner/mentore - controfigure incluse, se le davano di santa ragione senza troppe accortezze. La medesima ironia era figlia dei tempi, mentre in Road House 2024 si respira una sorta di virata pseudo-demenziale, cominciando proprio dalle macchiettistiche caratterizzazioni dei villain, siano questi il già citato McGregor o l'imbelle boss di Billy Magnussen (niente a che vedere con il carisma del fu Ben Gazzara).

Chi non muore...

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Road House: Patrick Swayze in una scena

Inoltre ne Il duro del Road House l'ultima parte prendeva una piega inaspettatamente tragica, con un cambio di toni e umori che non risparmiava una sana carneficina nella rocambolesca resa dei conti finale. Nel nuovo film di Doug Liman - lontano dai tempi di The Bourne Identity (2002) - il sangue certo non manca ma ne risulta un'estetica patinatamente grandguignolesca, con tanto di improbabile epilogo aperto ad un sequel che ipoteticamente potrebbe fare prima o poi la sua comparsa, dato il successo di visualizzazioni su Amazon Prime Video, dove al momento in cui scriviamo si trova stabilmente al primo posto già da qualche giorno. Il confronto per chi scrive non può che concludersi inesorabilmente a favore dell'originale, il quale per quanto non fosse un film certamente perfetto aveva una sua ragion d'essere, soprattutto contestualizzato alla sua epoca d'uscita. Lo stesso non si può dire per il remake, che si trova a scimmiottarne senza troppa inventiva alcune soluzioni narrative in un meltin'pot che non trova mai la propria strada.