Cannes 63, si chiude il sipario su un'edizione in sordina

Tra forfait, immancabili polemiche, tematiche scottanti o scontate, e un palmares discutibile, si è conclusa la 63esima edizione del Festival di Cannes.

Si è conclusa nella serata di ieri la 63. edizione del Festival di Cannes, accompagnata da sgraditi presagi - come la tempesta che, pochi giorni prima della partenza della kermesse, ha devastato il litorale, ma che in realtà non ha affatto inficiato l'organizzazione sempre ineccepibile del festival rivierasco - e da una certa prevenzione anche da parte degli addetti ai lavori, sicuri da settimane di trovarsi davanti a una edizione "in tono minore" rispetto a quelle degli ultimi anni della rassegna cinematografica più importante del mondo.
E bisogna ammettere che dal punto di vista cinematografico, soprattutto per quanto riguarda il concorso internazionale, si è trattato in effetti di un'annata piuttosto debole, non tanto per la presenza di opere scadenti - la media è tranquillamente sopra la sufficienza - ma per l'assenza dell'exploit sorprendente, del film che mettesse d'accordo tutti facendo gridare al capolavoro: quello che sono stati, negli ultimi tempi, 4 Mesi, 3 Settimane e 2 Giorni, Valzer con Bashir o Il profeta, per fare qualche titolo. Se Another Year di Mike Leigh, fino a 24 ore or sono, sembrava per lo meno non avere convinti detrattori, abbiamo scoperto con una certa delusione che c'erano eccome, e si nascondevano in giuria. Un film che poteva competere praticamente in tutti i reparti, dalla regia alle interpretazioni, avrebbe vinto un premio se fosse piaciuto almeno un po'. E invece la giuria presieduta da Tim Burton lo ha lasciato a mani vuote. Nel complesso, le scelte di questa giuria lasciano un po' perplessi, non tanto per la mancanza di meriti delle pellicole celebrate, quanto perché dal palmares emerge il ritratto di una giuria divisa, che, come sottolineato da Juliette Binoche durante la cerimonia conclusiva, ha faticato a mettersi d'accordo impiegando, per deliberare, un tempo sensibilmente maggiore del consueto. D'altronde, i risultati parlano chiaro: hanno avuto peso le origini, i gusti personali e le volontà dei singoli giurati. I due francesi Emmanuel Carrere e Alexandre Desplat hanno garantito una forte presenza transalpina con il Grand Prix per Des hommes et des dieux e la palma per la regia finita a sorpresa a Mathieu Amalric per Tournée, oltre al premio per la Binoche, splendida e bravissima sì in Copia conforme, ma al terzo posto nella maggior parte delle liste di preferenze, alle spalle dell'irresistibile Lesley Manville del (poco apprezzato, come detto, dai giurati) film di Mike Leigh e della straordinaria Yoon Hee-Jeong, protagonista di Poetry, celebrato invece dalla giuria di Burton nello script di Lee Chang-dong.

Il premio al miglior attore si è risolto con un ex aequo che, almeno a giudicare dalla sua espressione durante la cerimonia, non sembra soddisfare Tim Burton - che però si rivale con la Palma d'oro, una scelta che è chiaramente farina del suo sacco: erano giorni che si rincorrevano le voci che volevano il regista di Big Fish completamente infatuato dell'immaginifico film thailandese Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives. Ciò non toglie che l'ex aequo sembra un compromesso per accontentare i due giurati italiani, considerato che questo era l'unico premio cui la compagine nostrana sembrava poter ambire: dall'altra parte, tuttavia, hanno pesato sia la grandezza della performance di Javier Bardem, forse la più applaudita del festival, e la presenza in giuria di Benicio Del Toro, amico di Alejandro González Iñárritu. Tutto ciò senza nulla togliere al comunque bravissimo Elio Germano, che, se non esattamente alla pari con lo spagnolo, era un eccellente runner-up, e che si fa "perdonare" con una dedica agli italiani che è anche una coraggiosa dichiarazione antigovernativa oscurata dal TG1.

E proposito di polemiche, come ogni anno a Cannes non sono mancate. Tra i temi più scottanti e chiacchierati, oltre alla presunta debolezza del programma, c'è stata sicuramente la vicenda del regista iraniano Jafar Panahi, che non ha potuto prendere il suo posto in giuria perché imprigionato in carcere in patria, dove, da ormai dieci giorni, rifiuta il cibo per protesta. La notizia di questo sciopero della fame aveva commosso fino alle lacrime Juliette Binoche durante la sua conferenza con il compatriota di Panahi Abbas Kiarostami qualche giorno fa, e l'attrice francese non è stata la sola a voler ribadire il suo sostegno ieri sera, augurandosi di incontrarlo a Cannes il prossimo anno.
Molto discusso è stato il passaggio al festival di Nikita Mikhalkov - accompagnato dalle polemiche che infuriano da settimane in Russia attorno al suo Burnt By The Sun 2: Exodus, seguito del pluripremiato Sole ingannatore, che in patria è uscito lo scorso 9 maggio e ha fornito il destro per attaccare Mikhalkov, accusato di fare il bello e il cattivo tempo nel cinema russo grazie al suo peso politico - e soprattutto quello di Rachid Bouchareb e del suo Hors-la-loi, incentrato sulla guerra per l'indipendenza dell'Algeria e fortemente inviso alla destra transalpina, che ha organizzato una manifestazione di protesta e causato un notevole inasprimento delle misure di sicurezza nei dintorni del Palais du Cinema. Bouchereb, di fronte alle critiche sulle scelte narrative per molti lontane dai fatti reali, si è difeso dicendo di non aver cercato la precisione storica ma uno spunto di riflessione su un conflitto che ha causato enormi sofferenze al popolo algerino.
Dal punto di vista cinematografico, il tema della guerra è stato uno dei più presenti all'interno della selezione competitiva: oltre a Hors-la-loi, c'è A Screaming Man, il film del Ciad insignito del Prix du Jury, l'unico americano in gara, Fair Game, e ancora il film di Ken Loach, Route Irish. Un tema come mai in primo piano, ma anche un tema sempre (purtroppo) attuale; cosa che non si può dire del discorso anacronistico sulle "nuove" tecnologie portato avanti da pellicole quali Chatroom, R U There e L'autre monde; viene da domandarsi non solo perché tanti cineasti siano tornati a pescare in un filone ormai esaurito, ma anche a cosa sia dovuto l'interesse dei selezionatori che queste opere le hanno volute in cartellone.

Per quanto riguarda le altre sezioni, come sempre Un certain regard si dimostra interessante al pari, se non di più, del concorso internazionale, grazie soprattutto a un manipolo di pellicole tra cui le due rumene, il bellissimo Tuesday, After Christmas (a modo di vedere di chi scrive, forse uno dei film più meritevoli dell'intera rassegna) e l'affascinante sebbene imperfetto Aurora. La selezione Fuori concorso mancava forse del glamour vantato negli ultimi anni, ma non a discapito della qualità: l'atteso Wall Street: il denaro non dorme mai ha rassicurato tutti coloro che temevano un'operazione commerciale e fine a sé stessa, il film di Woody Allen si è dimostrato in linea con la recente produzione del regista newyorkese, mentre le divertenti pellicole di Gregg Araki e Stephen Frears hanno meritatamente catturato le attenzioni degli addetti ai lavori.
Un discorso a parte è il caso di fare per Robin Hood, che, dopo la parentesi piacevolissima di Up lo scorso anno, torna a marcare la tendenza degli organizzatori del festival rivierasco ad aprire con grandi nomi e star di richiamo senza che il film accolto con tanto onore soddisfi poi appieno critica e pubblico. E parlando del film di Scott, paradossalmente, ci torna in mente la scottante faccenda delle tante assenze, in primis quella del romantico eroe in calzamaglia, completamente latitante nell'opera a lui intitolata. Ma a dare forfait sono stati anche lo stesso Ridley Scott, il doppio premio Oscar Sean Penn e anche un personaggio molto caro al pubblico francese, il maestro Jean-Luc Godard, che era riuscito a riempire la sala per la première del suo (non certo commercialmente appetibile) Film Socialisme, per poi rinunciare all'ultimo momento. D'altronde sin dai suoi primi passi questa 63. edizione del Festival di Cannes aveva deluso per qualche cospicua assenza, come ad esempio quella dell'ultima fatica di Terrence Malick e del suo seguito di star; la nostra speranza che i vari Pitt, Jolie e Clooney per quest'anno si concedano a Venezia è anche lo spauracchio degli organizzatori rivieraschi che si vedono in qualche modo surclassati dai rivali più agguerriti. L'appuntamento è al Lido per la gara di ritorno.