Top of the Lake: la natura e la mente secondo Jane Campion

Jane Campion, Holly Hunter e Peter Mullan hanno presentato a Berlino la miniserie in sei puntate che, immergendosi nella realtà di una piccola comunità a direzione matriarcale, riflette sul potere della coscienza e sulla forza spirituale del territorio.

E' un dato di fatto che, negli ultimi anni, la qualità dell'intrattenimento domestico, tanto in termini di serialità che di film per la televisione, abbia compiuto un notevole balzo in avanti. In TVsi sperimenta di più, in primis perché si è maggiormente slegati da quelle logiche di marketing che, al contrario, tirano le fila del mercato cinematografico. Anche il Festival di Berlino rivolge la sua attenzione alle proposte del piccolo schermo, presentando la miniserie in sei puntate Top of the Lake, diretta da Jane Campion e Garth Davis. Ambientata nello spettacolare e straniante paesaggio della Nuova Zelanda, la vicenda prende l'avvio con il ritrovamento del cadavere di una ragazzina, annegata in un lago. Alla scoperta che la dodicenne era incinta di cinque mesi al momento della morte, una combattiva agente di polizia comincerà a investigare all'interno della comunità in cui la giovane vittima viveva, retta da una guru interpretata da Holly Hunter ma la cui fisicità ricorda da vicino quella della stessa Campion. Il senso della famiglia, della relazione con il paesaggio e la terra, il potere della mente sono solo alcuni dei temi affrontati nel corso della serie, di cui abbiamo discusso con la regista, lo sceneggiatore Gerard Lee, il cast e i produttori.

Jane, cosa ti ha spinta a buttarti in questo progetto?
Jane Campion: Un pomeriggio ero seduta nel mio salotto, e mi sono resa conto che in televisione cominciavano a comparire tante cose nuove, specialmente grazie alla HBO, o alla BBC2, che osavano anche guardare a materiali e argomenti diversi dai soliti. Io ho sempre amato il romanzo più di ogni altra cosa, ho sempre vissuto in un mondo di storie, e qui ho voluto realizzare una storia di sei ore: fatta come un film, in virtù delle esperienze che avevo già avuto, certo, ma anche forte di nuovi stimoli. Per tutti noi che vi abbiamo lavorato è stata una splendida possibilità, e spero sarà lo stesso per il pubblico.

Gerard, come è stata la vostra collaborazione nella scrittura?
Gerard Lee: Avevamo già lavorato insieme, e la nostra è sempre stata una collaborazione molto fortunata. Io e Jane siamo amici dai tempi della scuola, e adesso che ormai i nostri figli sono grandi possiamo finalmente rilassarci e fare ciò che ci piace, ovvero creare storie in grado di travalicare uno specifico genere.

La location della serie è spettacolare e poetica. Come l'avete scelta?
Jane Campion: Il set si trovava in Nuova Zelanda, e abbiamo scelto questa location perché il nostro interesse primario era quello di avere un luogo incontaminato, puro, lontano dalla società ordinaria: un luogo più comprensivo nei confronti di una differente umanità.
Gerard Lee: Volevamo un luogo che sapesse accogliere persone diverse dall'ordinario, che avesse una comunanza con i personaggi che volevamo descrivere.
Jane Campion: Il paesaggio doveva essere veramente poetico, mettere la vita in una prospettiva diversa da quella nota.
Gerard Lee: Per noi era importante mettere a confronto i nostri personaggi con il sublime, rendere il senso del loro essere totalmente persi.

Peter, la tua recitazione è molto intimistica. Come è stata la tua esperienza sul set?
Peter Mullan: Io ho amato il lavoro di Jane dal primo momento in cui ne sono venuto a contatto, e sul set questa impressione è proseguita. Lei lascia sempre che tu aggiunga qualcosa di tuo al personaggio, che tu segua le emozioni, il senso del momento. Ha diretto in maniera molto libera, per nulla restrittiva, senza pensare continuamente al momento in cui tagliare una scena o a essere fedele a ogni dettaglio della sceneggiatura: non eravamo ancorati al testo, ma eravamo liberi di esplorare, di seguire il flusso della recitazione. E Jane stava a guardare questo processo, diversamente da molti registi che ti stanno continuamente addosso, e per i quali sei praticamente una marionetta: qui eravamo liberi di immaginare, di esistere.

Molti dicono che l'industria cinematografica sia in crisi, e che le storie migliori si vedano in televisione ormai. Tu sei d'accordo?
Jane Campion: Si, sono assolutamente d'accordo, la televisione è un media di grande interesse.
Ian Cunning: La nostra prima preoccupazione è sempre stata quella di trovare la migliore forma per dare vita alla storia, e questa storia era perfetta per essere raccontata con uno stile cinematografico come quello che abbiamo adottato. E' vero che ultimamente è diventato molto difficile far entrare la gente al cinema, a meno che non si tratti di produzioni grandiose.

Come è stato lavorare a stretto contatto con Garth Davis, che ti ha affiancato alla regia?
Jane Campion: Sono stata molto fortunata ad avere Garth con me: spesso non ci siamo semplicemente alternati, ma abbiamo lavorato insieme alle scene più importanti, ci siamo coperti le spalle a vicenda. Mi ha dato una grande tranquillità e una grande sicurezza sapere di poter contare su di lui. E' comunque vero che le differenze nelle nostre regie si vedono: credo che sia evidente a tutti, per esempio, che il primo episodio è stato diretto da me.

Holly, come è stato ritornare in Nuova Zelanda?
Holly Hunter: E' stato fantastico, anche perché inizialmente abbiamo lavorato nel Nord, mentre poi ci siamo spostati a Sud, e questo mi ha dato la possibilità di fare esperienza di luoghi per me nuovi, di vedere l'altro lato, quello che non conoscevo, del Paese. Nel Nord il bush era dietro l'angolo, tanto da farti sentire quasi intrappolato, mentre il Sud è caratterizzato da spazi più ampi, da una scala molto più elevata, assolutamente sproporzionata alla piccolezza dell'essere umano: è stato uno splendido cambio di prospettiva, un meraviglioso paesaggio liberatorio.

Peter, ti hanno mai fatto notare la tua somiglianza con Jeff Bridges? A parte gli scherzi, quali sono state le sfide maggiori nell'interpretare il tuo personaggio?
Peter Mullan: No, in effetti no... Purtroppo non ho dei capelli belli quanto i suoi! Il paragone mi lusinga, perché Jeff è un grande, e ha il fascino del cattivo ragazzo, ma non credo di somigliargli poi molto! Per quanto riguarda il mio personaggio, dopo il primo episodio vedrete che subirà un'importante evoluzione, e dimostrerà che sotto la superficie si nasconde ben più di quanto non si potesse sospettare all'inizio: è questo il suo aspetto più interessante.

Philippa, descrivici la tua esperienza come produttrice.
Philippa Campbell: E' stato un grande privilegio per me lavorare con Jane e tutto il resto del cast. E devo ringraziarla per quello che ha fatto anche per la Nuova Zelanda: trovo che abbia descritto la nostra comunità, la nostra cultura con una profondità e una sensibilità incredibili, che lasceranno senz'altro un segno molto forte.