Desperate Housewives: cala il sipario sugli intrighi di Wisteria Lane

In attesa dell'addio a 'Desperate Housewives' su FoxLife il 6 giugno ricordiamo e celebriamo la fine di un'era in cui la tv ci ha insegnato ad affilare i coltelli e a fare attenzione al vicinato.

In una tv popolata da serial killer poliziotti (Dexter), cheerleader miracolose (Heroes), spie nerd (Chuck) o galeotti volontari (Prison Break) un gruppo di casalinghe dei quartieri alti sembra il racconto ordinario di una qualsiasi provincia americana. Eppure il creatore Marc Cherry, che ci regala anche un cameo nella series finale di Desperate Housewives - i segreti di wisteria lane (in onda su FoxLife con doppio episodio il 6 giugno), ha saputo trasformare la "noiosa normalità" in un giallo al cardiopalma.

Gli episodi conclusivi delle casalinghe, incentrati sul "mistero" della stagione (ossia l'uccisione del patrigno di Gabrielle) hanno condensato alibi fittizi, tentativi di occultamento prove e deposizioni fuorvianti aumentando la suspence e portando lo spettatore a credere che per la prima volta tutto sarebbe andato perduto. Niente di più sbagliato,ovviamente, perché prima o poi anche il serial più anticonvenzionale e trasgressivo arriva sul binario del buonismo. Si azzerano le differenze emotive tra vittime e carnefice e tutti vivono felici e contenti. Non si parla più di azioni cattive, ma solo di buone intenzioni, in questo caso specifico la "legittima difesa" di Carlos con complicità della moglie e delle amiche in occultamento di cadavere. Chi ha seguito la serie dall'inizio poteva tranquillamente prevedere, quindi, che anche nelle ultime puntate le mogliettine di Fairview avrebbero evitato ogni conseguenza del loro agire con sorrisi diplomatici e inganni a profusione. I marchi di fabbrica della serie non si smentiscono.
Gli abitanti di Wisteria Lane, infatti, fin dal principio avrebbero fatto impallidire l'agente Sydney Bristow di Alias con alcuni loro segreti e avrebbero gareggiato con molti drama in materia di sciagure: non si sono fatti neppure mancare lo schianto di un aereo sugli steccati bianchi del vicinato. Con buona pace di Lost.
Le casalinghe hanno allungato la propria permanenza sul piccolo schermo senza risparmiare colpi bassi, mezzucci e stratagemmi da sceneggiatori di soap, con corsi e ricorsi storici quasi ciclici, compresa l'ormai proverbiale immaturità di Tom Scavo (Doug Savant). A corto di idee e davanti a vicoli ciechi narrativi si sono concesse un bel salto temporale degno di Beautiful con le protagoniste a ruoli invertiti dove l'ex modella Gabriella Solis (Eva Longoria) diventa grassa e sciatta e l'angelo del focolare Lynette Scavo (Felicity Huffman) sfodera gli artigli da manager di un tempo. Alcune trovate, ammettiamolo pure, sono state talmente surreali da risultare geniali, come l'arrivo a Fairview di Katherine (Dana Delany), la prima scelta di Marc Cherry per il ruolo di Bree (Marcia Cross). Vedere fianco a fianco, munite di muffin e sorrisi d'ordinanza, queste due rosse maniache del controllo è stato uno dei piaceri maggiori di questi otto anni di messa in onda.
La convivenza sul set dell'ego delle protagoniste ha scatenato cataclismi ben peggiori delle catastrofi abbattute su Fairview, dai litigi durante il famigerato servizio fotografico in costume per Vanity Fair alle interviste rigorosamente singole e separate durante gli incontri con la stampa estera.
Preparare la valigia per lasciare Wisteria Lane vuol dire rinunciare ad uno dei guilty pleasure più popolari e amati degli ultimi tempi. Nel corso degli anni, infatti, la serie ha perso lo smalto di ribellione e anticonformismo che ha ribaltato lo scenario della tranquilla vita di provincia a favore di una storia più convenzionale e retorica, che, come nella migliore tradizione, riserva nel finale matrimoni, funerali e nascite. Da Brothers & Sisters a Dawson's Creek, solo per citare due esempi dell'ultimo decennio, gli sceneggiatori hanno deciso che utilizzare occasioni speciali per l'estremo saluto fosse la scelta più appropriata.
Perché citare un finale di teen drama? Semplice: Desperate Housewives saluta il pubblico proprio come farebbe un telefilm per adolescenti che inizia a scricchiolare nel passaggio dal liceo al college. Qui, però, non siamo di fronte a neo-maggiorenni pronti a cambiare città e abitudini per aprire un nuovo capitolo della propria vita. Sembra, quindi, quantomeno grottesco che le casalinghe di mezza età decidano di dare una svolta all'esistenza con scelte radicali e improvvise. Quando lo scopo di un copione è l'happy ending a tutti i costi, allora è giunta davvero l'ora di chiuderla qui prima di fare danni maggiori.
Far leva sulle emozioni e sui ricordi degli spettatori legati alle amiche/nemiche Susan (Teri Hatcher, ex Lois Lane della tv), Lynette, Bree e Gabrielle lenisce quella sindrome di abbandono che colpisce il pubblico persino davanti ad un prodotto ormai totalmente prevedibile e privo di fascino. Neppure la presenza di molti fantasmi del passato mitiga l'assenza di una certa biondina (Nicollette Sheridan, alle prese con una causa milionaria nei confronti della produzione).
E così la prevedibilità prende il sopravvento su quello che, invece, otto anni fa sembrava un coraggioso esperimento capace di scardinare i canoni della normalità. Come sempre, l'idea nasce dall'esperienza e Marc Cherry ha sempre ammesso di aver guardato alla madre per ricreare le atmosfere tutte pizzi e merletti (o muffin e cheesecake, fate voi) di un quartiere che poi di esclusivo aveva solo i crimini.
Abbiamo bussato alla porta dei nuovi vicini di Wisteria Lane con la curiosità e il sospetto che sempre spinto l'animo umano verso l'ignoto. L'opportunità di guardare la tv come se fossimo davanti ad uno specchio ha trasformato queste casalinghe, ormai non più disperate, in vere e proprie star, capaci di affascinare più delle indagini della scientifica di CSI o delle diagnosi bizzarre di Dr.House.
Nelle meschinità dei personaggi abbiamo ritrovato alcuni nostri peccatucci e, alla fine, ci siamo assolti, perché nell'universo machiavellico di Marc Cherry il fine giustifica i mezzi. Quasi sempre.