Piero Chiambretti parla del ricovero: "In ospedale nessun trattamento di favore"

Piero Chiambretti con una lettera a La Repubblica ha ringraziato il personale medico che gli è stato vicino durante la degenza in Ospedale.

Piero Chiambretti ci tiene a far sapere che durante la sua degenza all'Ospedale Mauriziano di Torino non ha subito nessun trattamento di favore. Il conduttore televisivo lo scrive in una lettera al quotidiano La Repubblica in cui racconta la sua esperienza e ringrazia i dottori e gli infermieri che lo hanno accudito in quei lunghi giorni.

Piero Chiambretti è stato uno dei primi personaggi del mondo dello spettacolo a cui è stato diagnosticato il Coronavirus, le sue condizioni e quelle della madre avevano destato subito preoccupazione, ma la signora Felicita morì cinque giorni dopo essere stata ricoverata. Il conduttore torinese oggi ha scritto al quotidiano la Repubblica una lettera in cui rivive quei giorni: "Il 16 marzo sono stato ricoverato d'urgenza all'Ospedale Mauriziano di Torino per tre focolai di polmonite a causa del Covid-19. Un giorno che non potrò mai dimenticare - si legge nella lettera - Il pronto soccorso, i suoi rumori, la confusione di medici e malati, le barelle, le mascherine, sensazioni di qualcosa che avevo visto alla televisione, ma che dal vivo erano un'altra cosa: più definite, più realistiche e tangibili, che allontanavano il rumore fastidioso delle parole della tv, così vuote e lontane. Passare dall'interessarsi degli sviluppi del virus, ad esserne colpito, cambia la prospettiva in modo netto".

Dopo il primo impatto con il Pronto Soccorso Piero fa la conoscenza con i suoi "angeli" dottori ed infermieri che si sono presi cura di lui: "Lo smarrimento iniziale di tutti era l'incertezza. Gli occhi di quelli che arrivavano ad ogni ora, come in un ospedale militare da campo, erano spalancati, terrorizzati, in cerca di qualche segnale di conforto. E da subito quel segnale arrivò da un gruppo di infermieri e medici che, bardati al punto di non riconoscerli e scambiarli, si fecero partecipi del nostro dramma. La cosa che subito mi colpì di questi angeli fu l'età: tutti giovanissimi con una energia che trasmettevano ogni volta che li chiamavi, sempre sorridenti e rassicuranti, anche laddove le condizioni di salute non erano buone. Non avevano ricette per una pronta guarigione, non avevano la pillola magica che fa tornare tutti a casa, ma la loro efficienza mischiata alla grande umanità erano una medicina molto più forte delle medicine sperimentali che somministravano. Sempre presenti, il giorno come la notte, sempre vestiti dalla testa ai piedi con le maschere protettive che lasciavano evidenti segni in faccia".

La lettera a La Repubblica continua sottolineando il rapporto meraviglioso che si era stabilito tra pazienti ed operatori sanitari: "Il personale medico aveva una caratteristica condivisa: la passione per il proprio lavoro. Si percepiva dai dettagli. Uno sguardo, una carezza, una stretta alla mano quando il morale scendeva come i valori sul monitor. Col passare dei giorni questi esempi di una Italia meravigliosa sono diventati familiari: ci chiamavamo per nome e la sensazione che ho avvertito nitidamente è che spesso si sostituissero ai famigliari che molti non avrebbero visto mai più. Io li ricordo tutti con affetto per come ci hanno seguito, tanto che molti di loro li abbiamo sentiti ancora dopo essere stati dimessi".

Piero Chiambretti ricorda la morte di sua madre e respinge le accuse di aver ricevuto un trattamento di favore: "La mia storia è tristemente nota. In pochi giorni nello stesso reparto ho perso mia mamma, ma anche con lei il personale medico è stato perfetto, hanno tentato di tutto per salvarla, dandomi un sostegno psicologico nelle ore più difficili. Qualcuno, non so dove, ha scritto che ho avuto un trattamento di favore. Nulla di più falso. Dentro quelle stanze eravamo tutti uguali con un obiettivo comune: salvare la pelle. Pensare che ci fossero dei favoritismi è un torto che si fa a persone che oltre a lavorare in condizioni difficili hanno perso la vita per tanti di noi".

Il giorno dopo la morte della madre, avvenuta il 21 marzo, Piero inizia a migliorare, quasi come se avesse avuto un aiuto dal cielo: "La mattina successiva la morte di mia mamma, io miracolosamente ho cominciato a stare bene (grazie Felicita), tanto da essere dimesso dopo una settimana e due tamponi negativi. Era un lunedì pomeriggio, quando impreparato a lasciare l'ospedale sono tornato a casa in taxi in pigiama, considerato che portato via d'urgenza quindici giorni prima a sirene spiegate, non avevo neppure una borsa".

Piero Chiambretti è stato dimesso il 30 marzo, e dopo circa 20 giorni ha postato un selfie su Instagram: "Ricordo la soddisfazione negli occhi degli infermieri e dei medici nel consegnarmi una cartella clinica dall'happy end quasi come fosse guarito uno di loro - il saluto finale va al personale medico morto nello svolgimento del loro lavoro - Oggi che sono a casa e leggo che 160 tra medici, infermieri e personale sanitario, hanno perso la vita per salvare quelle altrui che in molti casi neanche conoscevano, mi si stringe il cuore e penso come il nostro Paese ha in queste persone degli esempi da cui imparare tanto".