Recensione Matrimoni e altri disastri (2009)

Pericolosi triangoli d'amore, scandalosi innamoramenti transgenerazionali, famiglia allargata, critiche alla borghesia e alla generazione televisiva sono le tematiche della commedia romantica di Nina Di Majo. Protagonisti la brava Margherita Buy e un sorprendente Fabio Volo.

Una single a nozze

Autopromossa "commedia sofisticata", Matrimoni e altri disastri segna il ritorno della giovane regista Nina Di Majo al cinema e persegue l'ambizione di configurarsi come una commedia italiana alta, che si snoda dall'ossessione femminile delle nozze, è incorniciata tra i malinconici e romantici ponti fiorentini e si ritrova inzuppata da profetici e cataclismatici acquazzoni a ciel poco sereno.

Le nozze, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare scorrendo l'eccezionale elenco del cast artistico, non sono quelle della protagonista Nanà ma quelle di un personaggio secondario, sua sorella Beatrice. Eppure sono l'occasione per la nostra antieroina zolaniana - perché siamo di fronte al calco precisamente inverso della scandalosa adulatrice di uomini letteraria - di compiere un viaggio d'iniziazione sulla soglia degli "anta". Quel decadimento che accompagnò la fine dei giorni della protagonista del romanzo segna invece l'inizio della nostra conoscenza della Nanà cinematografica: è una donna "poco tonica", che vive da sola con un micio e con un regista svedese poltrone, è infatuata di un noto scrittore, si commuove con i versi di poesie come "A Silvia" e porta avanti una piccola libreria con un'amica piuttosto che godersi il patrimonio della ricca famiglia. La routine rasserenata e rassegnata di Nanà viene improvvisamente alterata quando sua sorella le chiede di aiutare il fidanzato Alessandro, un arrivista ignorantello dall'orientamento politico "verde", nei preparativi del matrimonio in sua assenza. Il difficile rapporto tra i futuri cognati, apparentemente opposti per mentalità e way of life, innesca una serie di cambiamenti nella vita di Nanà, che presto si ritrova a confrontarsi con una singletudine più stretta di quanto immaginasse e ad affrontare terribili segreti di famiglia che piombano inaspettati nella sua precarietà sentimentale.

Se con i suoi sradicamenti e i suoi sconvolgimenti affettivi la storia di Nanà ricorda quella della protagonista di Agata e la tempesta, i cui vezzi surreali sono però sostituiti dai tic nevrotici e dalle frenesie che sembrano caratterizzare la maggioranza dei ruoli interpretati dalla brava Margherita Buy, non si potrà dire la stessa cosa del canovaccio: malgrado trovate da commedia alta come i temporali metaforici e le prese di coscienza allo specchio, la sceneggiatura di Francesco Bruni e Antonio Leotti non riesce a emergere da certi suoi insiti handicap come i personaggi stereotipati e le situazioni prevedibili. Le intenzioni finiscono presto per essere tradite dalla leggerezza dietro cui si gonfiano tematiche in fondo ritrite: dagli equivocabili triangoli d'amore e scandalosi innamoramenti transgenerazionali alla famiglia allargata, riassunta dalla trasgressiva battuta al finto vetriolo "L'amore non è una cosa esclusiva", alle embrionali critiche alla borghesia e alla "generazione televisiva", che risultano ruffiane con un cumulativo citazionismo politically correct da manuale che scomoda perfino la Tosca. L'episodio centrale della donna e dell'uomo che giocano a cane e gatto e finiscono per superare le barriere sociologiche, economiche e intellettuali, proprio come succedeva nel memorabile Accadde una notte, viene svilito dalle battute poco brillanti e dai rivoli da salotto, o da cocktail, col risultato che evapora completamente l'ispirazione al genere britannico cui fa il verso il solo titolo.

A minare il già fragile equilibrio dell'opera è anche la fissità di una visione prettamente femminile nella messa in scena e, considerata l'esperienza registica della Di Majo al fianco di Mario Martone, ci si aspetterebbe di trovare la scansione ritmica tipica dell'autore napoletano, ma gli eventi si succedono con un ritmo debole, con insistenze eccessive su alcuni episodi e un reiterato e ordinario schema circolare da melò. Sottraendo alle immagini la vivacità fotografica che richiama opere come Il seme della discordia di Pappi Corsicato, la regia si costruisce con una linearità inappuntabile e una certa scaltrezza dietro la macchina da presa, ma sono altri gli elementi tecnici che non potranno passare inosservati e inascoltati allo spettatore: il montaggio brioso del bravo Giogiò Franchini e la gradevolissima colonna sonora di Carlo Crivelli, compositore inseparabile di Marco Bellocchio.

Azzeccata la scelta delle attrici che tengono compagnia alla Buy: Luciana Littizzetto, sempre più a suo agio al cinema, nei panni di un'amica zitella dei giorni nostri, svampita e infelice, e Francesca Inaudi nel ruolo di Beatrice, una giovane donna spigolosa ma pragmatica. Entrambe riescono ad attribuire ai loro personaggi sfumature irriverenti evitando di appiattirsi in sagome preconfezionate. Sostiene benissimo le corde del personaggio più ambiguo del film Fabio Volo, che attira il favore del grande pubblico mantenendosi, come nella vita, sempre a margine della ordinarietà e si assicura i consensi con un'interpretazione convincente e intensa. Sua la battuta di maggior effetto: "Il quattrino non dorme mai" mentre intensifica l'accento settentrionale e la sua mimica ci riporta alla mente il donnaiolo di Jerry Calà.