Recensione Hypnosis (2011)

Non è da disprezzare, nonostante i limiti narrativi, il tentativo degli esordienti Davide Tartarini e Simone Julian Cerri Goldstein di portare nelle sale un vero e proprio thriller sovrannaturale, italianissimo nella concezione e nelle ambientazioni così come in alcune, interessanti, soluzioni di regia.

Una seduta poco chiarificatrice

Christian Parenti è un giovane solitario, un po' nerd, che lavora come proiezionista all'interno di un multisala e non sembra avere molti amici. Di lui sappiamo che vive da solo nel suo appartamento, con l'unica compagnia dei suoi DVD, ma ignoriamo del tutto il suo passato: ma, per dirla tutta, quest'ultimo lo ignora lui stesso, visto che Christian è affetto da una particolare forma di aneurisma cerebrale che gli ha fatto dimenticare completamente i suoi primi 10 anni di vita. Il problema è che questa patologia gli porta anche visioni inquietanti, allucinazioni di quelle che tengono svegli la notte: macabre apparizioni e un sogno ricorrente, in cui si vedono una grande casa e una bambina in fuga, terrorizzata da una minaccia che possiamo solo intuire. Così, quando la sua unica amica Alice, figlia del suo psichiatra, torna dall'America con il compagno, un terapista che adotta un rivoluzionario metodo di cura basato sull'ipnosi, Christian intravede una nuova, possibile via di cura: dopo qualche titubanza, il giovane accetta di sottoporsi alla terapia del dottor Deutzberg, che prevede sedute video-documentate ma soprattutto il ritorno nella sua cittadina natale: un inquietante luogo quasi disabitato, in cui regna un atmosfera irreale e sospesa nel tempo. Lì si trova, forse, la chiave per ricostruire il passato di Christian e per comprendere l'origine dei suoi disturbi.


L'estate è infine arrivata, e come di consueto il "termometro" cinematografico per salutare l'arrivo della stagione calda sta nell'osservazione delle pellicole presenti in sala: scarti di magazzino rimasti fuori dalle uscite della stagione che conta, film d'autore magari validi ma condannati all'invisibilità da distribuzioni poco coraggiose, e infine le immancabili pellicole di genere, preferibilmente horror. In qualche caso, come quello di questo Hypnosis, parliamo di film provenienti dal nostro sempre più sommerso panorama di genere, coraggiosamente autoprodotti e autodistibuiti, nella speranza (finora vana) di smuovere qualcosa in un contesto cinematografico che sembra sempre più immobile e condannato a replicare sé stesso all'infinito. Non è quindi da disprezzare il tentativo dei registi esordienti Davide Tartarini e Simone Julian Cerri Goldstein (firmatisi col curioso pseudonimo di 12/77) di portare nelle sale un vero e proprio thriller sovrannaturale, chiaramente debitore nel tema a modelli d'oltreoceano, ma italianissimo nella concezione e nelle ambientazioni, così come in alcune, interessanti, soluzioni di regia. Ci sono infatti echi del miglior Dario Argento nel taglio di alcune inquadrature, nell'uso espressivo dei colori che ritroviamo in alcune sequenze, in una generale atmosfera onirica e malata che certo si fa apprezzare. Un altro indubbio punto a favore del film è l'ambientazione: la scelta della location per gli esterni della seconda parte, il paesino di Crespi d'Adda (vicino Bergamo) si rivela più che mai azzeccata. Uno scenario suggestivo, intriso naturalmente di senso di mistero e inquietudine, nelle strade semideserte così come nelle architetture di fine '800, immerse in una natura minacciosa e affascinante.

Il principale problema del film sta tuttavia in una sceneggiatura talmente confusa da apparire ai limiti del dilettantesco. La narrazione sembra procedere, letteralmente, a braccio, senza un'idea precisa di dove andare a parare: si accumulano indizi sul mistero che avvolge il protagonista e il suo passato, si aprono ipotesi, si fanno congetture che poi conducono letteralmente al nulla. Chi scrive non è certo tra coloro che pensano che la cripticità sia sempre un difetto, e che una sceneggiatura aperta a diverse interpretazioni non possa essere, in molti casi, un affascinante stimolo intellettuale: ma qui non siamo di fronte a un film di David Lynch, non ci viene presentato un labirinto in cui lo spettatore è chiamato a districarsi, ma piuttosto una vicenda lineare, forse psicanalitica e forse sovrannaturale, che sembra puntare decisamente verso una ricostruzione coerente. Ricostruzione che, quando arriva, fa sorgere ulteriori dubbi su ciò che si è visto e trasmette una forte impressione di trascuratezza narrativa: un'indecisione sulla strada da prendere che resta tale fino alla fine, con una conclusione che appare semplicemente priva di senso. Oltre a questo grosso limite, che per come è strutturato il film ne compromette inevitabilmente il risultato finale, vanno rilevati anche problemi più tecnici, legati certo, in gran parte, al budget ridotto e all'inesperienza: una fotografia dal taglio discontinuo, che dà spesso all'immagine un look ingiustificatamente diverso da una sequenza a quella successiva; una recitazione sovente sopra le righe e inadeguata, specie da parte del protagonista Nicola Baldoni (lo vedremo anche nel prossimo film di Argento, il più temuto che atteso Dracula 3D).
Limiti, questi, che finiscono per rendere Hypnosis qualcosa di più vicino a un - pur interessante - saggio di regia che a un film vero e proprio, o a un corto malamente dilatato e adattato alla bell'e meglio alla dimensione del lungometraggio. Probabilmente, il risultato sarebbe potuto essere diverso se i due registi fossero stati maggiormente aiutati, sia dal lato della scrittura che da quello più strettamente tecnico. Sarà, viene da dire, per la prossima volta.

Movieplayer.it

2.0/5