Recensione Buona giornata (2012)

Le pretese di spaccato sociale, nel film dei Vanzina, o peggio di satira di costume, sono ridotte davvero al minimo: si sorride, spesso si ride, ben consapevoli di guardare un bozzetto di realtà, una caricatura in fondo piacevole.

Una giornata (non molto) particolare

Sette personaggi, sette storie, sette città diverse nell'Italia della crisi: quella dello spread, dei mercati finanziari che ci guardano male e ci minacciano, quella del governo tecnico venuto giù direttamente dal firmamento della Bocconi a salvarci. L'Italia di sempre, dei piccoli sotterfugi, dei grandi evasori e dei politici ladri, che però ora deve tirare la cinghia, o almeno così ci dicono. Un nobile decaduto e squattrinato che ha offerto il suo lussuoso palazzo per la realizzazione di un film, una manager fissata con la macrobiotica e la meditazione orientale che perde il treno e (forse) l'identità, un politico alla prese con una richiesta di arresto che per salvarsi è costretto, letteralmente, a resuscitare i morti, un industriale che non ha mai pagato un euro di tasse e che ora è alle prese con la Finanza, un milanese emigrato in Puglia che deve vendere un improbabile sistema di controllo a distanza degli elettrodomestici, un tifoso scaramantico che arriva a farsi cornificare pur di veder vincere la sua squadra, un notaio fedifrago che si fa beccare con la giovane e bellissima escort e racconta alla moglie di aver appena ritrovato una figlia segreta. Piccole e grandi disavventure, peripezie tragicomiche, imprevisti in fondo prevedibili: tutto nel giro di un'unica giornata, 24 ore scandite, da nord a sud, sul territorio di uno stivale in cui, da sempre, tutto cambia perché nulla cambi. Gli italici vizi e virtù, insomma, ancora una volta sotto lo sguardo di una macchina da presa.


E' perfettamente inutile, nel 2012, un approccio snobistico a un cinema come quello dei fratelli Vanzina. Così come è perfettamente inutile stare a coniare neologismi (Cineuovo? Cinecolomba? La fantasia di certi critici potrebbe ulteriormente sbizzarrirsi) per descrivere la più classica delle commedie uscita a ridosso delle festività pasquali. I due figli, meno dotati, di un maestro come Steno, fanno parte ormai stabilmente, da un trentennio, del nostro panorama cinematografico, ne riflettono peculiarità e contraddizioni, e il loro cinema serve quantomeno a marcare la distanza da ciò non c'è più, da quella commedia all'italiana che abbiamo perso, a evidenziare ciò che si è rotto, in modo irreversibile, nel corso degli anni '80. Non è questione di amarcord, di rivalutazione a tutti i costi, di venire a patti con la sciatteria cinematografica: è solo necessità, imprescindibile, di contestualizzazione. Il cinema dei due fratelli, in fondo, non si è mai dichiarato per niente di diverso da quello che è: così come non lo aveva fatto quello (migliore, ma sempre popolare) del papà, né la commedia sexy degli anni '70, il poliziottesco di marca più reazionaria, e più in genere tutti quei filoni meno nobili, ma non per questo meno caratterizzanti, del nostro cinema. Non è certo colpa dei Vanzina se ora, in Italia, non si produce anche altro, e se quel poco di altro che c'è è molto discutibile; e poi, diciamocelo, i due fratelli ci stanno più simpatici da quando, in un talk show televisivo, Enrico Vanzina mise a posto con due parole il leghista Borghezio, che diceva assurdità su un'imprecisata categoria di "intellettuali" che avrebbe attaccato, in vita, un gigante come Totò (com'è noto, tra gli attori preferiti di papà Steno).

E allora, che Buona giornata sia, senza paraocchi ma anche senza la sterile compiacenza di certa critica nei confronti di tutto ciò che è "popolare". E bisogna dire che di popolare, nel collettivo film dei Vanzina, c'è molto: anche e soprattutto nella schematizzazione, a volte macchiettistica, dei personaggi, nel recuperare tipi e maschere ormai proverbiali (Christian De Sica che rifà Il conte Max per l'ennesima volta: sarà pure stantio, ma tuttora funziona) nella struttura a episodi che riduce ogni segmento a rapidi microsketch; e in un espediente che viene direttamente dal passato, ma si rivela sempre funzionale, come la voce fuori campo. Le pretese di spaccato sociale, o peggio di satira di costume, sono ridotte davvero al minimo, i fantasmi di commedia all'italiana restano appunto fantasmi: si sorride, spesso si ride, ben consapevoli di guardare un bozzetto di realtà, una caricatura in fondo piacevole. La messa in scena è quella piana e senza guizzi tipica dei film dei due fratelli, la sceneggiatura funziona meglio che in passato, riuscendo quasi sempre a dare ritmo alle piccole storie, non connesse tra loro, che vediamo sullo schermo; certo, non possiamo dare del tutto ragione a Diego Abatantuono quando parla di assenza di punti morti (forse, se ci capiterà di rivedere il film tra vent'anni, il fast forward ogni tanto lo useremo) e certi episodi ovviamente funzionano meglio di altri (proprio quello dell'ex terrunciello, invero, è tra quelli che ci convincono meno). Ma Teresa Mannino in versione manager new age fa tenerezza e simpatia, Maurizio Mattioli evasore riempie lo schermo come sempre, e Lino Banfi, in una divertita variante sul tema di Weekend con il morto, si concede una gradita vacanza da nonno Libero e affini, tornando a un umorismo più scanzonato. La manterrà, Quentin Tarantino, la promessa di fargli fare il killer sgozzadonne in un suo prossimo film? La curiosità, da parte nostra, indubbiamente c'è. Sempre, ovviamente, che il regista di Pulp Fiction non fosse ubrieco.

Movieplayer.it

3.0/5