Recensione Il velo dipinto (2006)

Il velo dipinto è un film ben confezionato, ma quasi mai esente da una generale sensazione di freddezza: non si avvertono sussulti di reale emozione, forse per la (non voluta) distanza che lo script pone tra i protagonisti e lo spettatore.

Un film che non va in profondità

Londra, anni '20. Walter, medico inglese timido e impacciato, conosce e sposa Kitty, giovane donna dell'alta borghesia. Il matrimonio viene celebrato soprattutto per le pressioni operate dalla famiglia della ragazza, senza che tra i due ci sia reale interesse reciproco: la coppia si trasferisce comunque a Shangai, dove l'uomo doveva recarsi da tempo per lavoro. Lì, Kitty conosce e si innamora di un'altra persona: quando il marito scopre la sua relazione, obbliga la donna a seguirlo in un remoto villaggio della Cina, dove imperversa un'epidemia di colera. Nonostante i propositi vendicativi di Walter, la terribile realtà dell'epidemia aiuterà i due a comprendersi e a perdonarsi reciprocamente, realizzando quel reale avvicinamento tra loro che fino ad allora era sempre stato solo teorico.

Tratto da un romanzo di W. Somerset Maugham, e sceneggiato da quel Ron Nyswaner che conquistò la fama con Philadelphia, Il velo dipinto ha il suo principale punto di forza nella recitazione dei due protagonisti: un notevole Edward Norton nel ruolo di Walter, dapprima timido e riservato e poi con gli occhi permeati da una gelida luce che sfiora la follia, e un'altrettanto convincente Naomi Watts, che si rivela una volta di più attrice versatile e dotata di una notevole sensibilità recitativa. La bella prova dei due riesce quasi nell'intento di donare credibilità ai rispettivi personaggi, danneggiati da una sceneggiatura che si rivela purtroppo meno curata del previsto: nel flashback che racconta l'incontro e il matrimonio dei due protagonisti, manca infatti un reale sguardo sull'intimità (o forse sulla sua mancanza) della coppia, qualcosa che renda credibili gli avvenimenti a cui assistiamo successivamente e permetta di affezionarsi realmente ai due personaggi.

Qualche lungaggine di troppo nella parte centrale (che poteva forse essere sfoltita a beneficio del già citato flashback) inficia ulteriormente la riuscita di un film che ha comunque i suoi pregi soprattutto estetici: l'avvolgente regia di John Curran (I giochi dei grandi) si sofferma sovente sugli splendidi paesaggi della Cina continentale, che stridono fortemente con la drammatica realtà della popolazione colpita dal contagio; la colonna sonora di Alexandre Desplat è riuscita e insinuante, tale da suggerire la rottura della (fittizia) armonia tra i due protagonisti ben prima che essa si verifichi. Tutto ben confezionato, insomma, ma quasi mai esente da una generale sensazione di freddezza: non si avvertono praticamente mai sussulti di reale emozione, forse proprio per la distanza (a parere di chi scrive non voluta) che lo script pone tra i protagonisti e lo spettatore.

Così, Il velo dipinto si fa ricordare soprattutto per le già citate ottime prove di Norton e della Watts (ma non va dimeticato neanche Anthony Wong nel ruolo di un militare locale: evidentemente gli attori di Hong Kong iniziano a seguire, a livello di visibilità internazionale, la strada dei colleghi giapponesi e cinesi mainlander), e per la generale buona confezione: peccato che ciò che latiti sia proprio la sostanza, l'emozione e il coinvolgimento (necessarie quando, come in questo caso, il regista non prende volutamente le distanze dal materiale narrato). Complessivamente, un'occasione mancata.

Movieplayer.it

2.0/5