Recensione Libera uscita (2011)

L'ultimo lavoro dei fratelli Farrelly si situa nel filone ormai consolidato della ricomposizione del legame coniugale, con elementi che riecheggiano le recenti commedie incentrate sull'immaturità del maschio americano, ma senza rinunciare ovviamente al consueto repertorio di comicità corporale e sboccata.

Tutti pazzi per il matrimonio

Occorre sgomberare il campo dal luogo comune che definisce il cinema dei fratelli Farrelly come "politicamente scorretto": un'espressione così abusata da divenire ormai quasi priva di significato. L'equivoco è generato dal fatto che la comicità di Peter e Bobby Farrelly attinge in prevalenza alla sfera sessuale e corporale, fondandosi par la maggior parte su gag scatologiche e su battute che (soprattutto in passato) non risparmiavano nessuna categoria etnica e sociale. In realtà, se si eccettua la demenzialità totale del loro esordio Scemo e più scemo, i due "ragazzi terribili" (altra espressione diventata uno stereotipo) hanno quasi sempre lavorato dentro il solco della più classica commedia romantica americana, senza mai intaccarne per davvero i valori tradizionalisti di fondo, ma limitandosi piuttosto a verniciare e ad ammodernare un filone consolidato con uno stile comico solo superficialmente trasgressivo e provocatorio.

Non deve dunque destare stupore l'evoluzione del cinema dei Farrelly che, più o meno da Amore a prima svista, ha incominciato a rivelare gli assunti moralisti su cui si fonda, fino a rendere esplicito negli ultimi film il modello di riferimento che ne sta alla base, ovvero la commedia classica hollywoodiana incentrata sul matrimonio. Titoli come il precedente Lo spaccacuori e quest'ultimo Libera uscita non sono altro che una variante aggiornata della "re-marriage comedy" degli anni Quaranta, in cui una coppia deve testare la solidità della propria relazione attraverso una serie di prove, prima di potere convolare a nozze, oppure con lo scopo di rinsaldare la precedente convivenza coniugale.

In particolare il plot di Libera uscita si fonda su uno schema piuttosto consolidato: per effetto di circostanze eccezionali i personaggi si trovano a sperimentare una "licenza" dagli obblighi matrimoniali che, ben lungi da mettere in crisi il modello monogamico della coppia, contribuisce anzi a rafforzarlo, configurandosi come un'eccezione funzionale a ristabilire i confini di ciò che è considerato "giusto" e "normale". È un po' lo stesso schema del fortunato franchise Una notte da Leoni, dove le follie, gli eccessi e le sregolatezze dei protagonisti non assumono mai il valore della liberazione anarchica, ma piuttosto quella di una limitata valvola di sfogo cui segue un placido ritorno alla routine.

In effetti, Libera uscita si inserisce perfettamente nel recente filone della commedia americana, prevalentemente a orientamento maschile (e a volte anche un po' maschilista), di cui massimo esponente è Judd Apatow, che riflette sulla cronica incapacità dell'uomo di maturare e di assumersi delle responsabilità. Per certi versi i protagonisti dell'ultimo film dei Farrelly, Rick (Owen Wilson) e Fred (Jason Sudeikis), pur essendo dei quarantenni sposati (di cui il primo con figli), sembrano rimasti bloccati allo stadio adolescenziale e puberale del vecchio duo di Scemo e più scemo (sarà forse per questo che gran parte delle gag insistono sull'onanismo?). La sceneggiatura, però, attraverso l'esperienza dell'hall pass, descrive un percorso di maturazione da entrambi i lati della coppia, quello maschile e quello delle rispettive mogli Maggie (Jenna Fischer) e Grace (Christina Applegate), distribuendo in maniera piuttosto equa i meriti e le colpe di ciascun lato della medaglia matrimoniale.

Naturalmente i registi non rinunciano allo stile comico corporeo che è sempre stato il loro marchio di fabbrica: si passa da sequenze incentrate sulla masturbazione a membri virili esposti in bella vista, senza rinunciare com'è ovvio a flatulenze e defecazioni. Si tratta però di espedienti che, succedutisi in oltre dieci anni di filmografia, hanno perso il potenziale eversivo e deflagrante degli esordi (per intenderci quello dello sperma usato come gel per capelli da Cameron Diaz in Tutti pazzi per Mary) per divenire ormai piuttosto prevedibili e scontati.
A lasciare parzialmente delusi non è tanto il moralismo di fondo dell'operazione (che, come già detto, è perfettamente coerente con il loro percorso registico), quanto il fatto che ormai i Farrelly sembrano essersi assestati su un tono medio e senza guizzi, e che, incapaci di innovare la loro formula, siano giunti come a una fase di stallo della loro carriera.

Il risultato complessivo è un po' insapore, nonostante alcune gag ben congegnate (da apprezzare quella dopo i titoli di coda) e le buone prove dei due protagonisti: la sicurezza Owen Wilson (questa volta in versione più controllata e misurata del solito) e la piacevole sorpresa Jason Sudeikis (volto noto del Saturday Night Live). I registi però danno il loro meglio, come consuetudine, nel tratteggiare i personaggi secondari: la sgangherata banda di amici dei protagonisti, lo squilibrato barista geloso impersonato da Derek Waters e soprattutto lo sciupafemmine professionista Coakley, incarnato da un gigantesco Richard Jenkins.