Recensione ATM - Trappola mortale (2011)

E' l'inconsapevolezza uno dei pilastri su cui il regista esordiente David Brooks e lo sceneggiatore Chris Sparling hanno scelto di costruire la tensione narrativa della pellicola.

Terrore al Bancomat

Parafrasando le parole di Emily, sfortunata protagonista di ATM - Trappola mortale, dobbiamo constatare che sì, è vero: siamo brave persone, e per questo siamo convinti che nulla di male ci possa accadere. Lavoriamo onestamente, paghiamo le tasse, non abbiamo mai fatto del male a nessuno, accondiscendiamo persino a partecipare a un'odiosa cena aziendale perché non esserci sarebbe scortese, e a quella stessa cena incontriamo qualcuno che ci piace, con il quale pensiamo di avere il diritto a una possibilità, e magari anche a un futuro. Eppure, non è così semplice: anche in un mondo pieno di telecamere, sistemi di sorveglianza, sicurezza sbandierata in ogni dove e in nome della quale si giustificano guerre e massacri, c'è sempre qualcosa di cui non si è tenuto conto e dalla quale non si sa come difendersi.


Emily, David e Corey lo scopriranno a proprie spese durante una sosta al Bancomat, necessaria perché Corey, impostosi come terzo incomodo tra i due timidissimi colleghi che fortunosamente erano riusciti, dopo mille incertezze, a ritagliarsi un momento di privacy, potesse acquistare uno spuntino notturno. Peccato che, una volta prelevato il denaro, i tre si accorgano della presenza di un individuo solitario, imbacuccato in un giaccone pesante, che li fissa aldilà del vetro. E se qualcuno vuole farsi coraggio, pensando a lui come a un innocuo barbone, c'è chi è più circospetto: e a ragione, perché poco dopo l'uomo ucciderà a sangue freddo, sotto i loro occhi, un incolpevole passante, reo soltanto di aver portato il proprio cane a fare una corsa. Impossibilitati a tornare alla macchina, perché irragionevolmente parcheggiata troppo lontana, senza cellulari e in balia del freddo della notte canadese, i tre si trovano quindi alla totale mercé del misterioso aguzzino. Oltre alla paura per la propria vita, a peggiorare la situazione di David, Emily e Corey c'è anche la frustrazione del non sapere perché proprio loro, proprio in quel momento, siano vittime di un gioco così crudele, e del non capire, di conseguenza, come poterne uscire, sempre che un modo ci sia.

E' quindi l'inconsapevolezza uno dei pilastri su cui il regista esordiente David Brooks e lo sceneggiatore Chris Sparling hanno scelto di costruire la tensione narrativa della pellicola. E, sotto certi aspetti, l'espediente funziona: l'ignoranza ci rende vulnerabili, e il castigo per una colpa che non sappiamo quale sia, o che magari non abbiamo nemmeno commesso, fa molta più paura di una punizione logica e meritata. Ma è anche grazie all'ambientazione claustrofobica, sulla quale Sparling torna dopo l'esperienza di Buried - Sepolto, che la tortura a cui i tre protagonisti sono sottoposti ci appare così inquietante. Purtroppo questi interessanti punti di partenza non sono sufficienti a fare di ATM un film riuscito fino in fondo, e questo soprattutto per una certa superficialità nella caratterizzazione dei personaggi e nella loro evoluzione psicologica. Se, da una parte, è plausibile che i tre non brillino per prontezza né per senso pratico, e anzi il loro essere sprovveduti e inermi di fronte all'imprevisto non fa che contribuire al realismo della pellicola, dall'altra ogni tentativo di dare loro un certo spessore cade nel vuoto. La paura, il pericolo, la necessità di trovare una via di fuga non sembrano produrre nel gruppo cambiamenti significativi: con l'eccezione di qualche timido accenno, destinato a scemare presto nel nulla, i rapporti tra i tre rimangono freddi, come se gli autori non avessero voluto decidere se risolvere la forzata convivenza nell'aggressività o se lasciare prevalere lo spirito di collaborazione.

Nonostante una prova registica e di montaggio più che accettabile, in grado di mantenere un buon ritmo narrativo e di trasmettere il giusto grado di inquietudine, ATM non convince altrettanto sull'aspetto umano: protagonisti anche altrettanto ordinari, ma perlomeno più dinamici dal punto di vista emotivo, avrebbero assicurato quell'empatia che è indispensabile perché un horror si riveli coinvolgente e, quindi, riuscito.

Movieplayer.it

2.0/5