Srdjan Dragojevic presenta The Parade al Medfilm 2012

Il suo film, trascinante, divertente e intelligente, racconta le tribolazioni dell'organizzazione del primo Gay Pride belgradese. Abbiamo parlato di The Parade e della carriera del regista serbo nell'ambito del festival capitolino.

Vecchie e nuove ferite, poca ma preziosa speranza, e uno humour allo stesso tempo amaro e irresistibile: The Parade di Srdjan Dragojevic è uno dei film più interessanti e originali del concorso del 18simo Medfilm Festival, kermesse ridimensionata a causa della mancanza di sovvenzioni, ma comunque ambiziosa. Abbiamo incontrato a Roma il regista belgradese, che ci ha raccontato qualcosa della sua già lunga carriera, e delle variegate esperienze che l'anno costellata, dagli esordi letterari, ai bombardamenti di Belgrado fino al soggiorno statunitense a spese della Miramax, dalle accuse di fascismo nei confronti dei suoi primi lungometraggi fino all'avventura di The Parade, che Dragojevic e i suoi bravissimi interpreti stanno facendo conoscere in tutta Europa.

Nel suo film, molti personaggi superano enormi differenze, nazionali, personali, etc., finendo per diventare amici. Allo stesso tempo però la più pacifica delle minoranze, la comunità gay, è vittima di un odio feroce e inesausto. Lei crede che alcune persone siano semplicemente impervie alla comprensione e alla solidarietà, o è il branco che rende le persone violente?

Srdjan Dragojevic: Purtroppo sì, c'è una percentuale di persone, gli autentici sociopatici, che nessun messaggio di tolleranza e solidarietà può raggiungere. Ma non è certo a loro che mi rivolgo con il mio film, ci sono tante persone che ancora sono soggiogate dagli stereotipi dell'omofobia e del nazionalismo, ed è a loro che spero di arrivare con The Parade.

Il figlio di uno dei protagonisti, che è un naziskin, ha un ripensamento alla fine del film, per quello che è uno dei messaggi di speranza di The Parade.

Sì e questo in un certo senso è un elemento aubiografico. Mio figlio, quando iniziai a lavorare al film, era al liceo, e quando seppe il soggetto del mio nuovo lavoro non la prese bene. Era disturbato dalla tematica gay, temeva che si riflettesse sui rapporti con i suoi coetanei. Ma a causa delle difficoltà di finanziamento, sono passati anni e oggi è uno studente universitario, ed è stato orgoglioso di suo padre dopo aver visto il film.

Lei è attivo anche in politica. Qual è secondo lei lo strumento migliore per il cambiamento sociale, il cinema, e le arti in generale, o la politica?

Sono un membro del partito socialista serbo, perché sono di sinistra, ma il mio coinvolgimento è legato più che altro alla sfera culturale. Credo che nel mio paese ci sia un grande bisogno di lavoro in questo ambito, e credo, o almeno credevo che fosse possibile fare qualcosa attraverso gli strumenti della politica. Il mio impegno è sempre stato limitato a questo. Stiamo affrontando il fatto che nell'ultimo paio di decenni una classe dirigente di burocrati ha preso tutte le decisioni per noi, decisioni quasi sempre sbagliate. Sono vent'anni che gli artisti in Serbia soffrono di questa politiche culturali sciagurate. Nessuno però è entrato in politica per cercare di migliorarle: questo che mi ha spinto a farlo. Purtroppo il mio partito, al momento, non è al potere, e il governo di destra non ha nessuna posizione riguardo alla cultura, quindi per adesso il mio impegno è in una fase di iato.

D'altra parte, sono convinto che il cinema possa influenzare le persone. Ho iniziato a lavorare in questo campo ormai venticinque anni fa; prima avevo pubblicato tre libri di poesia, uno dei quali ha vinto uno dei premi più importanti in Jugoslavia. Ma attraverso la poesia non sarei riuscito a raggiungere un pubblico ampio, e così ho deciso di dedicarmi al cinema, e di realizzare film impegnati diretti a un pubblico più ampio possibile. The Parade è forse il meno politico di tutti, anche se si parla dei diritti LGBT nella regione, e anche del problema di cosa significa essere jugoslavi, o meglio, ex jugoslavi, e il mio scopo era quello di indurre alcune persone a rivedere i propri pregiudizi.

Nel film si percepisce una certa severità nei confronti di Belgrado e della Serbia, e soprattutto verso le generazioni più giovani...

Io non sono quello che si può dire un patriota, tuttavia questo è un periodo molto difficile in Serbia. La disoccupazione è alle stelle, la vita è più dura che mai. In una situazione di disagio simile,è facile prendersela con i più deboli, pur di prendersela con qualcuno. In particolare, la violenza e l'odio omofobico si manifestano nei ragazzi, negli adolescenti, che sono spesso alle prese con pulsioni omoerotiche che non sanno gestire e che li spaventano. Di qui la difficoltà ad accettare chi invece le manifesta apertamente...

I protagonisti di The Parade, Nikola Kojo e Milos Samolov, hanno una fantastica intesa e una notevole energia comica. Come li ha scelti?

Conosco Nikola da tantissimo tempo, praticamente dall'Accademia, ha interpretato il mio primo film, e poi abbiamo lavorato spesso insieme. Conoscevo bene anche Goran Jevtic, mentre non avevo ancora lavorato con Milos, che però conoscevo per il suo lavoro in teatro, e mi piaceva molto. Seguo tutti gli interpreti della regione, e questa è stata un'occasione per unire attori di provenienza diversa, in un film pan-jugoslavo anche per quello oltre che come co-produzione.

Lei ha trascorso un paio d'anni a Hollywood, senza però realizzare film. Che cosa ha portato con sé di questa esperienza?

Mi è stato offerto un contratto per girare tre film con la Miramax. Era il periodo dei bombardamenti a Belgrado, e, francamente, ci vidi più una ragione per garantire la sicurezza della mia famiglia che un'opportunità di carriera. Sebbene ci siano stati diversi progetti in ballo, nessuno si è concretizzato, anche se in un caso ci siamo andati veramente vicini. Diciamo che ripenso a quel periodo come a una lunga vacanza - facevo un bagno in piscina tutte le mattine, guardavo i colibrì nel mio giardino... Dopo due anni, però, avevo un'opzione per il terzo ma dissi che avrei accettato solo se lo studio avesse deciso di riprendere in considerazione un mio progetto ambientato immediatamente dopo l'Olocausto. Quando mi dissero di no, facemmo i bagagli. Ma i miei figli hanno imparato l'inglese, e ho portato con me un paio di belle sceneggiature, a cui spero di mettere mano prima o poi.

Parada è forse il film in cui l'elemento comico è più presente nella sua filmografia. Dove è diretto il suo cinema? Sta diventando più ottimista e filantropo?

A dire la verità non credo nella misantropia, non mi ritrovo in cineasti come, per fare un esempio, Lars Von Trier. D'altra parte soffro di depressione, e credo anche anche questo si rifletta nei miei film, per quanto siano principalmente commedie.

Qual è il progetto dei suoi sogni?

Il film sull'Olocausto che ho cercato di realizzare con la Miramax: si tratta della storia di tre ragazzi ebrei, sopravvissuti allo sterminio, che concepiscono un piano per rubare i soldi e oggetti di valore appartenuti agli ebrei uccisi nei campi, custoditi dai soldati americani. Sono sofferenti, arrabbiati con il mondo, e credono che quella ricchezza spetti a loro. Chiaramente questa non sarebbe una commedia, ma comunque un film di genere, uno heist movie molto particolare. Non credo di voler fare niente di ambizioso o ad alto budget, credo che questo film non costerebbe più di tre milioni di dollari... Per adesso, in ogni caso, siamo a un passo dall'iniziare a lavorare su un adattamento di un romanzo di Julian Barnes, The Porcupine.