Recensione Passannante (2010)

Al di là di una realizzazione non priva di difetti, del film di Sergio Colabona si coglie la sincerità, la genuinità degli intenti, l'importanza dell'istanza divulgativa che porta avanti: per gettare luce su un episodio dimenticato della nostra storia, che copre di vergogna alcuni dei suoi protagonisti.

Seppellire il corpo, tener viva la storia

E' stata letteralmente una missione, quella di Ulderico Pesce nei confronti del caso di Giovanni Passannante. Una missione che, insieme al cantante Andrea Satta e al giornalista Alessandro De Feo, ha portato l'attore da un capo all'altro dell'Italia, con uno spettacolo d'impegno civile e divulgativo, e con una campagna mediatica martellante, tesa a scuotere le coscienze, a gettare luce su un episodio dimenticato dalla nostra storia: un episodio che copre di vergogna i protagonisti di un determinato periodo di quella storia, una vergogna che si è trascinata fino ai giorni nostri. Passannante era un cuoco povero di un paesino della Lucania, imbevuto di ideali di democrazia, sviluppo sociale e uguaglianza. Quegli ideali che lo avevano portato, nel 1878, ad avvicinarsi al "sacro" corpo del re Umberto I e a sferrargli un colpo con un coltellino lungo quattro dita, provocandogli una ferita superficiale al grido di "Viva Orsini, viva la repubblica universale". In seguito, un processo contrassegnato da torture indicibili, con l'unica speranza per il cuoco che era quella di fingere una pazzia che mai, mai questo anarchico avrebbe accettato di simulare. Per lui, i pazzi erano quelli che accettavano uno status quo di miseria, analfabetismo e disuguaglianza. E così, l'atroce vendetta di una casa regnante che, in questa come in tante altre occasioni, si è dimostrata ben poco illuminata, la condanna a morte commutata in ergastolo, l'internamento in una cella minuscola, posta sotto il livello del mare, alta solo 1 metro e 40, la pazzia infine raggiunta tra le piaghe, l'isolamento e il puzzo dei propri escrementi. E ancora, un manicomio criminale in cui sarebbe infine arrivata la morte, come una benedizione, ma con un ulteriore sfregio: la testa staccata dal corpo ed esposta, insieme al cervello, per quasi un secolo in un museo criminologico, in ossequio a deliranti teorie razziste.


Ci sono pellicole, e questo Passannante ne è un caso emblematico, di cui dispiace non poter scrivere in termini completamente positivi. Dispiace perché, al di là della realizzazione balbettante, piena di difetti e di ingenuità, narrative e di regia, se ne coglie la sincerità, la genuinità degli intenti. L'importanza dell'istanza divulgativa che portano avanti. L'irrinunciabilità di una riflessione vera, scevra dalle pomposità retoriche, sulla nostra storia e sulle nostre radici; per capire come siamo e di conseguenza come potremmo migliorare. Questo è cio che Ulderico Pesce ha fatto con costanza e convinzione, con il suo spettacolo e la sua campagna divulgativa e mediatica, coronata infine da successo: nel 2007, i resti di Giovanni Passannante sono stati rimossi dal museo criminale e sepolti nel suo paese natale, quel paese a cui l'infinita arroganza della casa regnante volle persino cambiare il nome, da Salvia di Lucania a Savoia di Lucania. Dispiace sinceramente, quindi, che un'opera così meritoria sul piano etico e divulgativo, che documenta con gli strumenti del cinema la riuscita di una battaglia di civiltà, presenti così tanti difetti: l'inesperienza cinematografica del regista Sergio Colabona si vede tutta, e purtroppo il film soffre, tra le altre cose, di una generale mancanza di unità di tono. C'è uno scollamento abbastanza evidente tra le sequenze ad ambientazione storica, tutte improntate a un melò enfatico ma, a tratti, piuttosto efficace, e quelle poste nel presente, in cui a farla da padrone è l'istrionismo di Pesce, con siparietti comici del tutto fuori luogo dato il tema del film. Una certa mancanza di credibilità, personaggi (primi tra tutti quelli dei tre ministri che si succedono nei vari periodi che il film tratta) ridotti a macchiette, uniti anche, nelle parti storiche, ad attori fuori ruolo: a cominciare proprio dal protagonista Fabio Troiano, un Passannante monoespressivo e privato di ogni spessore drammatico, purtroppo ben lungi dal rappresentare quel cuore del film che avrebbe logicamente dovuto rappresentare.

Non siamo comunque di fronte a un fallimento totale, ed è bene sottolinearlo. La peculiare struttura narrativa del film, fatta di flashback e flashforward, alternanza di piani temporali diversi che non si limitano a viaggiare a cavallo dei due (anzi tre) secoli in cui la storia si dipana, ma seguono anche nel presente la battaglia dei tre protagonisti, presenta una sua intrinseca efficacia. Le immagini di repertorio riguardanti gli esponenti (attuali) di Casa Savoia vengono inserite nei punti giusti, e in genere il film presenta un lavoro sul montaggio piuttosto ricercato. La componente emotiva, aiutata certo dal tema, ma anche dall'indubbio, evidente coinvolgimento di chi il film l'ha voluto, è presente ed a tratti coinvolge lo spettatore con una certa intensità. E' un'emotività un po' grezza, certo, che si basa in gran parte su fattori extracinematografici, ma che in certe sequenze (prima tra tutte quella della prima, sconvolgente rivelazione dello stato in cui il cuoco è stato ridotto dalla carcerazione) fa vibrare di un'indignazione vera, totale e genuina. Il coraggio dimostrato dal film, che attacca senza mezzi termini gli attuali rappresentanti dei Savoia, che accampano diritti senza aver prima fatto i conti con una storia che è piena di orrori come quello qui raccontato, è qualcosa che va sicuramente premiato, in tempi di forzate riconciliazioni e di politically correct imperante. Quello che senz'altro avrebbe giovato a un film come Passannante sarebbe stata una maggiore compattezza di tono, unita a una scrittura più accurata in special modo nelle parti storiche. Tuttavia, non ce la sentiamo di bocciare il film diretto da Sergio Colabona, proprio per il bisogno intrinseco di opere come questa: specie in un periodo in cui la ribellione viene troppo spesso confusa col qualunquismo, e in un paese che tende naturalmente, e inesorabilmente, a dimenticare. Qualsiasi anticorpo (magari imperfetto, debole e difettoso, ma vivo) contro l'oblio, non può che essere accolto positivamente.

Movieplayer.it

3.0/5