Sagràscia: il road movie di Bonifacio Angius tra sogno e realtà

Il film segna l'esordio dietro la macchina da presa del regista sassarese, che abbiamo incontrato in conferenza stampa a Roma.

Dopo un percorso di scoperta e sperimentazione all'interno del cortometraggio, Bonifacio Angius è approdato al primo lungometraggio che, quasi inevitabilmente, riconduce alle atmosfere misteriose e secolari della sua Sardegna. Sagràscia, distribuito da Distribuzione Indipendente dal 11 novembre in 4 copie per un totale di nove regioni, segna così l'esordio del regista sassarese che, veicolando un racconto regionale attraverso il linguaggio universale delle immagini, cerca di aggiungere il suo tocco personale all'ampio paesaggio del cinema italiano. Elemento centrale della vicenda è il piccolo Antoneddu, miracolato dal santo protettore, e una terra sospesa tra illusione e realtà, fede e credenze popolari dove il bene si fonde con il male in una sorta di naturale armonia. A sostenere Angius nella delineazione di questo mondo antico vivo nella sua forma come nell'essenza è il co-fondatore della Garanza Stefano Deffenu , per l'occasione nella duplice veste di attore e sceneggiatore .

Signor Angius, Sagràscia è una storia a metà strada tra realtà e illusione, il cui scopo è sorprendere e destabilizzare lo spettatore. Può raccontarci l'evoluzione di questo esordio così insolito per il panorama italiano? Bonifacio Angius: Tutto prende spunto da una storia che ho sentito raccontare da mio padre mille volte. Era poco più di un bambino quando cadde dalle scale per scappare dalla nonna che voleva ripetutamente lavargli il viso. Fortunatamente non si fece nulla ma le donne di casa decisero che doveva andare a ringraziare il santo protettore per la presunta grazia ricevuta. Ecco, questo è l'inizio della mia storia che, poi, ho trasformato in un vero e proprio road movie soprattutto per facilitarne la realizzazione. Al di là dei problemi economici, però, mi interessava puntare l'attenzione sul rapporto tra il bambino e la santità e sul viaggio compiuto per ringraziare qualcuno che fondamentalmente non ha fatto nulla per lui. Il racconto è basato totalmente sull'inconsapevolezza che l'uomo affronta in ogni istante della propria vita ed è proprio per questo motivo che la struttura del film non doveva rispettare un canone in tre atti piuttosto riconoscibile, ma lasciarsi andare ad una sorta di confusione reale. Riconosco che si tratta di un esordio atipico. Ci si sarebbe aspettati un film più quadrato, schematico dove si comprende tutto senza alcuna fatica, ma ho scelto di ignorare le restrizioni di mercato e di raccontare una storia più vicina alla mia personalità.

Nonostante l'indubbia originalità del progetto, il film, in alcune inquadrature come nella scelta estetica, sembra far riferimento all'autorialità del grande cinema italiano... Bonifacio Angius: E' vero, ad esempio ci sono delle citazioni da Pier Paolo Pasolini. In modo particolare la carrellata all'indietro dei due personaggi richiama sicuramente Uccellacci e Uccellini, quando allo stesso modo vengono ripresi di spalle Totò e Ninetto Davoli. Ma sono stato ispirato anche dal documentario L'ultima sequenza di Mario Sesti, dedicato al lavoro di Fellini.

Per continuare a parlare di ispirazione anche la colonna sonora, che in questo caso ha un ruolo da comprimario, sembra riecheggiare alcune sonorità de La Strada... Bonifacio Angius:: La strada è un film a cui penso ogni volta che mi trovo dietro la macchina da presa. È talmente potente che non posso fare a meno di pensarci. Durante le prime fasi del montaggio non avevo ancora una colonna sonora originale, così avevo scelto come accompagnamento alle immagini una marcetta scritta da Rota proprio per La strada. Il compositore è stato indubbiamente influenzato da questo, ma è riuscito a comporre un tappeto musicale incredibile per qualità e originalità. Inizialmente volevo spingerlo a copiare dei temi noti ma poi sono stato conquistato dalla sua personalizzazione. Considerate che in questo film la musica non è semplicemente un sottofondo, ma ha il grande compito di attribuire una certa atmosfera a tutta la vicenda.

Sagràscia è un'opera prima incredibilmente complessa e matura nelle immagini come nella gestione del racconto. Non crede che questo possa essere destabilizzante per un pubblico abituato a confrontarsi quasi esclusivamente con il linguaggio semplice e usuale della commedia? Bonifacio Angius: Mi piacciono quei film in cui non tutto è spiegato e dato direttamente in pasto al pubblico. Ma poi cosa vuol dire fare un film complesso? Anche il film di Malick The Tree of Life non dà molti appigli alle persone ma è in grado in un solo attimo di farti provare nuovamente quelle sensazioni tipiche dell'infanzia. E se un regista riesce a fare questo vuol dire che ci troviamo di fronte ad un grande artista. D'altronde il cinema non è certo un quiz da risolvere o da capire, ma da vivere e provare sulla propria pelle. Il problema è che il pubblico è assuefatto dalle produzioni televisive che, onestamente, puoi seguire anche di spalle mentre lavi i piatti. Tutto questo spinge a disdegnare un certo tipo di esperienza cinematografica non indissolubilmente legata alla sceneggiatura ma all'utilizzo dell'immagine. Se i film di Fellini uscissero oggi per la prima volta in sala la gente come reagirebbe? Sicuramente lo definirebbe noioso e stiamo parlando di uno degli autori più importanti del nostro cinema.
Gianni Tetti: Quando abbiamo iniziato la scrittura di questa storia ci siamo dati veramente poche direttevi, tra cui non fare assolutamente un film tipicamente sardo e non strutturarlo in tre atti. Più che altro ci siamo mossi attraverso un meccanismo a stanze. Immaginate un corridoio dove ci sono delle porte che, di volta in volta, vengono aperte per svelare il loro contenuto. Sono attimi, conoscenze che fai mano a mano e che non è detto si debbano comprendere perfettamente. In questo modo il film si trasforma in un'esperienza progressiva.

Il film non ha avuto un percorso festivaliero, fatta eccezione per il Festival di San Paolo del Brasile. Si tratta di una scelta personale o non vi è stata data la possibilità? Bonifacio Angius: Perché non abbiamo partecipato ai festival europei? Forse perché non abbiamo un produttore, perché nessuno può guadagnarci oppure non abbiamo i contatti giusti. Io pensavo che un film come Sagràscia potesse avere una buon riscontro nelle varie manifestazioni cinematografiche, ma visto che si tratta di un progetto autoprodotto che non parla al grande pubblico, i festival si sono spaventati ed hanno preferito non inserirlo nel programma.

Guardando al futuro, lei ha molti progetti in cantiere. Ci può dare qualche anticipazione sul suo prossimo lungometraggio, Perfidia? Bonifacio Angius: Abbiamo già iniziato a scrivere, praticamente abbiamo finito la prima stesura anche se dobbiamo sistemare qualche elemento. Questa volta si tratta di un film in tre atti dalla struttura classica. Vorrei realizzarlo quanto prima, sicuramente entro il 2012, considerando quanto sia legato alla situazione attuale. Il protagonista è un uomo di 35 anni, disoccupato che non ha ancora realizzato nulla nella propria vita. Tutto prende inizio durante il funerale della madre, da quel momento il padre decide di iniziarlo alla vita e di farne un uomo vero. Al di là della storia, si tratta di una metafora sulla mia generazione e su come la società ci abbia indotto ad un rilassamento generale, aspettando che prima o poi qualche cosa ci piombi addosso dal nulla. Per quanto riguarda la parte produttiva, abbiamo partecipato al bando nazionale e a quello europeo per ottenere i fondi per il cinema. Se non dovessimo riuscire, come prevedo, ci impegneremo comunque ad accumulare il budget necessario per girare tutto in quattro settimane. Credo che ci si debba sforzare per realizzare ciò in cui si crede. Dopo questo film, ho in mente di partire per la Cina sud orientale per girare l'episodio di un altro progetto diviso in tre capitoli da realizzare in diverse parti del mondo. Ma questa è tutta un'altra avventura, per ora sono concentrato su Perfidia.