Recensione Ritorno a Brideshead (2008)

Ai temi dell'omosessualità maschile e della distinzione sociale e religiosa si assommano il peso oppressivo del cattolicesimo, l'incomunicabilità familiare, la feroce satira sulla società nobiliare dell'epoca chiusa in un mondo di lussuosi privilegi che va scomparendo giorno dopo giorno.

Ritorno alla fede

Tra gli innumerevoli capolavori della letteratura a cui il cinema ha, di volta in volta, attinto in cerca di nuova linfa immaginifica mancava all'appello Ritorno a Brideshead, articolato bildungsroman dello scrittore inglese Evelyn Waugh. In realtà, nel 1981, dal romanzo era già stato tratto uno sceneggiato televisivo a puntate nobilitato dalla presenza di un cast straordinario che vedeva, tra i protagonisti, un giovane Jeremy Irons a fianco dei mostri sacri Laurence Olivier e John Gielgud. Sceneggiato che però il regista Julian Jarrold giura di non aver visto proprio per non lasciarsi influenzare da esso in alcun modo. E in effetti i modelli a cui sembra ispirarsi l'imponente Brideshead Revisited, film d'apertura della 61 edizione del Festival di Locarno, sono tutti cinematografici e, ancor prima, letterari. Basti pensare alle non poche somiglianze che uniscono l'imponente magione vittoriana Brideshead al cottage conteso dai personaggi di Casa Howard, entrambe dimore che vivono di vita propria in quanto testimoni mute degli intrecci sentimentali vissuti al loro interno e fulcro del via vai di personaggi che, pur cercando di allontanarvisi, ad esse ritornano sempre, ai temi dell'amore bruciante e mai coronato e alla perdita dell'innocenza comuni al recente Espiazione di Joe Wright, o alla parentesi veneziana la cui ambiguità ricorda terribilmente l'inquietante Cortesie per gli ospiti di Paul Schrader.

Il modello a cui Brideshead Revisited sembra però guardare con maggior aderenza è il drammatico Maurice, anch'esso diretto da James Ivory e ispirato a un romanzo di E.M. Forster. All'omosessualità maschile di Maurice, per lo più celata, rinnegata o vissuta in punta di piedi, l'autodistruttivo Sebastian di Brideshead Revisited contrappone quella ostentata impudentemente e sbandierata ai quattro venti per fingere di potersi liberare dalle catene del perbenismo che aggiogano la nobiltà inglese dei primi del secolo a cui, nel caso della famiglia Flyte, si aggiunge un assillante senso di inadeguatezza, un'ossessione del peccato instillata dal cattolicesimo militante di cui è porta bandiera Lady Marchmain. La scelta di mantenere lo stesso punto di vista del romanzo, quello del capitano Charles Ryder, a più riprese coinvolto in legami sentimentali di diversa natura con i fratelli Flyte, ma sempre esterno alla famiglia, movimenta la struttura narrativa con una serie di flashback a cascata che permettono allo spettatore di venire a conoscenza dell'intera vicenda. Julian Jarrold, che ha alle spalle un lavoro su un altro mostro sacro della letteratura inglese, la Jane Austen protagonista di Becoming Jane, biopic diretto dal regista lo scorso anno, fa il possibile per confezionare una pellicola impeccabile. Aiutato dalla suggestiva scenografia, che vede la magione oggetto del film ricreata nell'antico Castle Howard nello Yorkshire, e da costumi filologicamente perfetti, tenta di fare il salto di qualità con coraggiose evoluzioni visive che donino un'impronta personale alla pellicola.

Purtroppo l'adattamento di un romanzo complesso e stratificato come Ritorno a Brideshead non agevola il compito. Ai temi dell'omosessualità maschile e della distinzione sociale e religiosa si assommano il peso oppressivo del cattolicesimo, l'incomunicabilità familiare, la feroce satira sulla società nobiliare dell'epoca chiusa in un mondo di lussuosi privilegi che va scomparendo giorno dopo giorno. E ancora l'attento approfondimento psicologico dei caratteri, tratteggiato per mezzo di parole, gesti o anche impalpabili sfumature descrittive, e la nostalgica attrazione segretamente provata dallo scrittore per quello stesso universo che critica e di cui celebra la morte imminente. Il film prova a controbilanciare questa densità semantica della materia di partenza giocando tutto sull'ambiguità e sul piano del non detto. I tre giovani protagonisti vengono così caricati di una responsabilità recitativa che non sempre sono in grado di gestire al meglio. Alla recitazione esteriore e caricata di Ben Winshaw si contrappone quella trattenuta e lievemente statica di Matthew Goode, già visto in Match Point di Woody Allen, mentre la musa femminile Hayley Atwell, anche lei scoperta da Allen, sa essere intrigante e seducente, ma incapace di cambiare registro quando la vicenda vira bruscamente verso toni più drammatici. Misurata ed efficace Emma Thompson, purtroppo sacrificata da un ruolo che le regala solo poche scene significative, così come la sottoutilizzata Greta Scacchi che, anche con qualche ruga in più, non ha perso il suo fascino antico, e il piacevolmente gigione Michael Gambon.
Alla lunga Brideshead Revisited patisce l'eccessiva durata che, pur non esaurendo la materia narrata, si fa percepire dallo spettatore. La sensazione che lascia questa produzione, senza dubbio visivamente imponente, è di un lavoro dall'elevato potenziale che non riesce a esprimersi appieno lasciando in bocca il sapore amaro di una scommessa vinta solo a metà.

Movieplayer.it

2.0/5