Recensione La sposa promessa (2012)

Una delicata storia di amore familiare che ricorda, nella declinazione al femminile, nei toni discreti e nell'ambientazione circoscritta, le opere di Jane Austen.

Religione e sentimento

Nonostante non abbia ancora incontrato ufficialmente il suo futuro sposo, ma l'abbia semplicemente spiato da lontano, la giovane Shira Mendelman non potrebbe essere più ansiosa e felice all'idea di sposarsi; anche solo la prospettiva di cominciare una vita propria, di vivere le emozioni del corteggiamento prima e del matrimonio poi, è una ragione più che sufficiente per attendere impaziente che terminino i festeggiamenti per il Purim e cominci il rito ufficiale di fidanzamento. Nel bel mezzo del giorno di festa però, la sorella maggiore, incinta al nono mese, muore dopo aver partorito un figlio maschio e la vita dell'intera famiglia viene messa sottosopra.


Già straziata dal dolore di aver perso la figlia, la madre di Shira adesso deve affrontare anche la possibilità di perdere il nipotino appena nato visto che la famiglia del fresco vedovo, Yochai, sta spingendo affinché egli si risposi subito con una ragazza che vive in Belgio. Come risolvere questa situazione apparentemente senza via d'uscita? Come fare in modo che questo terribile dolore possa in qualche modo essere attutito? L'unica soluzione è quella di proporre un matrimonio tra Shira e Yochai, ma prima bisogna convincere i due interessati e soprattutto la ragazza che dovrebbe così rinunciare a quell'idea romantica del matrimonio avuta sin da piccola.

Nonostante le differenze temporali e culturali, questo La sposa promessa della regista esordiente Rama Burshtein sembra quasi una storia alla Jane Austen, uno sguardo intimo sul mondo ebraico ortodosso, un mondo chiuso su se stesso in fondo non troppo diverso da quello più volte raccontato dall'autrice di Orgoglio e pregiudizio che anche in questo caso viene raccontato dall'interno, da una regista molto religiosa e spesso dedita a promuovere le espressioni culturali della comunità ultra-ortodossa.

E' propria questa particolarità a rendere speciale il film, la grande attenzione e il rispetto di questa regista nel raccontare una storia che le sta evidentemente molto a cuore, una storia che in mano ad un qualsiasi altro regista sarebbe probabilmente diventata una critica tagliente e feroce ad una società che adesso appare anacronistica, ma che invece in questo modo si trasforma in una grande, anche se atipica, storia di amore di figlia, sorella e donna. Ad aiutare la regista nella sua piccola impresa tante convinventi interpretazioni da parte di tutto il cast, ma tra le quali spicca senza dubbio quella della esordiente Hadas Yaron, la cui Shira sprizza innocenza e dolcezza dalla prima all'ultima scena.

Movieplayer.it

3.0/5