Recensione World War Z (2013)

Con il suo ritmo frenetico e grazie al carisma del protagonista Brad Pitt, il World War Z di Forster si inserisce con dignità tra i blockbuster dell'estate, americana ed italiana.

In guerra con gli zombie

Dei mostri classici appartenenti al mondo dell'horror, il morto vivente è quello che si è sempre prestato a metafore sociali più vivide, a partire dagli storici zombi romeriani. Comprensibile quindi, in un periodo di forte crisi sociale ed economica, un ritorno di visibilità di questi cadaveri ambulanti, cavalcato dal nuovo blockbuster interpretato e prodotto da Brad Pitt.
Il popolare attore veste i panni di Gerry Lane, ex agente dell'ONU che ha vissuto zone calde del mondo e si è ormai ritirato per vivere un'esistenza normale a contatto con la moglie e le figlie. Ed è all'insegna della sua vita di tutti i giorni l'incipit di World War Z, tra risveglio in famiglia e pancake, fino all'inevitabile catastrofe. Bloccati nel traffico cittadino, i Lane notano che qualcosa non va: troppi elicotteri sorvolano la zona, agenti in moto che sfrecciano tra le auto incolonnate, e poi un camion fuori controllo che fa strage di veicoli.
E' l'inizio della loro fuga forsennata tra orde di zombie, perchè lo stesso Gerry ama ripetere che "il movimento è vita" e non bisogna mai fermarsi in situazioni di pericolo.


Ispirato all'interessante romanzo di Max Brooks La guerra mondiale degli Zombie, World War Z in realtà stravolge la struttura narrativa frammentaria del materiale di partenza, per mettere il carismatico eroe Brad Pitt al centro del racconto. Tutto ruota intorno al suo ex agente della Nazioni Unite, costretto a rimettersi all'opera per proteggere la sua famiglia, e di conseguenza il mondo intero, e scoprire le cause della pandemia che sta trasformando porzioni sempre maggiori della popolazione terrestre in selvaggi predatori.
Ciononostante, non si può considerare il film di Marc Forster un classico Zombie Movie: e non perchè non ci siano zombie, ci sono eccome! Un'onda anomala di morti viventi che si muove morbida e sinuosa, con la velocità, coordinazione e fluidità di uno sciame di insetti. Una isterica frenesia che li rende ancor più pericolosi e minacciosi dei lenti morti viventi classici del cinema, avvicinandoli maggiormente a quelli rapidi e letali visti nell'ultimo decennio nel remake de L'alba dei morti viventi firmato da Zack Snyder o 28 giorni dopo, con l'aggiunta di quella che appare essere un'intelligenza collettiva.

Ed è notevole il lavoro fatto su di loro, dal movimento alla caratterizzazione dei singoli, evidente nella cura dei loro diversificati look grazie al lavoro della costumista Mayes C. Rubeo, e nel modo in cui l'anzianità come morto vivente traspare nel livello di decomposizione. Una cura che determina una particolarità interessante rispetto ad altri colleghi non-morti protagonisti di altre pellicole, enfatizzata anche dalla scelta fatta sul movimento degli stessi, affidato a ballerini coreografati da Alexandra Reynolds (basta ricordare la prima trasformazione che ci viene mostrata per intero, sotto gli occhi incuriositi dell'eroe Brad Pitt, il cui merito va all'artista del movimento Ryen Perkins-Gangnes).
Non uno zombie-movie, quindi, ma un film con tanti, tanti zombie, riusciti grazie alla fusione dei suddetti elementi con gli inevitabili CGI e make-up, e protagonisti di quello che però, per passo e sviluppo, è più avvicinabile ad un blockbuster.
Come detto, Forster mette al centro della narrazione Gerry Lane, lo rende motore dell'azione e lo segue nei suoi spostamenti in diverse aree del mondo, dalla Corea del sud al Galles, passando per Israele, basando il ritmo del film sul suo grado di consapevolezza e coinvolgimento e ponendo l'enfasi sull'impatto visivo: le inquadrature sono ampie e mostrano gli inarrestabili sciami di zombie che travolgono tutto quello che trovano al loro cospetto; il montaggio è più vicino a quello di un film d'azione che ad un horror, pur non rinunciando ad alcune sequenze particolarmente ansiogene, ed anche gli attacchi stessi dei non morti sono più puliti di quanto sarebbe lecito aspettarsi da un film di questo tipo; il 3D riesce a portare lo spettatore nel mezzo dell'azione contribuendo ad accrescere la partecipazione; la musica di Marco Beltrami (con il contributo di Matt Bellamy e dei suoi Muse) accompagna dando corpo alle sequenze, che siano frenetiche o di tensione.
Con questa impostazione Brad Pitt-centrica, è inevitabile che poco spazio abbiano i comprimari, a cominciare dalla pur brava Mireille Enos (la protagonista femminile di The Killing), che tratteggia con misura la moglie di Lane nel ridotto spazio a sua disposizione. Gli altri non sono che una carrellata di volti più o meno noti che incrociano per tempo variabili il percorso del protagonista alla ricerca dell'origine, e quindi di una cura, per il virus che sta mutando la razza umana, da Matthew Fox al nostro Pierfrancesco Favino.
Lo stesso si può dire per le implicazioni socio-politiche della storia di Brooks, presenti ma travolte dal frenetico sviluppo del World War Z di Forster, che si inserisce con dignità tra i blockbuster dell'estate americana e può catalizzare anche l'attenzione dello spettatore nostrano nella stagione del suo letargo cinematografico.

Movieplayer.it

3.0/5