Recensione Violeta Parra Went to Heaven (2011)

Spezzando il continuum temporale, l'alternanza cronologica degli eventi, Woods cattura l'inquietudine della protagonista, che emerge dal quadro d'insieme senza mai essere rappresentata in maniera piana.

Canto d'accoglienza

Ci voleva qualcosa di speciale per raccontare la vita di una donna, di un'artista come Violeta Parra, una delle figure chiave della musica tradizionale sudamericana e del folk internazionale, morta suicida nel 1967, dopo aver scritto più di tremila canzoni, alcune delle quali indimenticabili come Gracias a la vida, considerata da tutti il suo testamento artistico. Andrès Wood questo quid lo ha trovato e ne ha fatto l'ingrediente più prezioso di Violeta Parra went to heaven, vincitore del Grand Jury Prize al Sundance Film Festival del 2012, candidato al Premio Oscar come Miglior Film Straniero per il Cile. Tratto dal romanzo scritto dal figlio della cantante, Angel, Violeta se fue a los cielos (Violeta Parra è andata in cielo, edito in Italia da Casini Editore), il film è quanto di più lontano possa esserci da uno sterile racconto celebrativo; non viene dipinto il santino di Violeta, ma ne vengono raccontati i momenti salienti attraverso una narrazione che poco concede agli stereotipi del biopic, pur soddisfacendo una delle esigenze primarie della biografia, quella di far conoscere dettagli importanti della vita di un artista o di un personaggio noto. Fuggire dall'agiografia spicciola vuol dire non offrire alla platea cinematografica un piatto precotto, vuol dire scegliere un modo diverso di raccontare, vuol dire fare appello alla concentrazione dello spettatore, sfidarlo, invitarlo ad ascoltare e vedere attentamente, che era ciò che Violeta pretendeva dal suo pubblico. Questo film è articolato e oscuro quanto la sua protagonista, un personaggio pieno di contraddizioni, artista eclettica ed empatica, poetessa, tessitrice, pittrice, ma soprattutto donna passionale e rabbiosa, talvolta dispotica e violenta, disposta a tutto pur di vivere alla sua maniera, senza mediazioni o facili soluzioni.


Il film mescola con efficacia diversi piani temporali, dall'infanzia di Violeta, agli anni della maturità, raccordati da un'intervista televisiva in cui l'artista si racconta senza pudore e con grande ironia ad un giornalista che tenta di metterla in difficoltà più volte. Spezzando il continuum temporale, l'alternanza cronologica degli eventi, Woods cattura l'inquietudine della protagonista, che emerge dal quadro d'insieme senza mai essere rappresentata in maniera piana. Il rapporto con il padre professore, uomo innamorato della chitarra e del vino rosso, la morte della piccola figlia quando era in tournèe a Varsavia, l'amore disperato per il musicista svizzero Gilbert Favré, il suo peregrinare tra le campagne cilene alla scoperta di quei canti popolari che nessuno avrebbe più ascoltato, la costruzione di un grande tendone a La Reina, dove si sarebbe esibita assieme ad altri artisti, sono tappe che Wood mostra quasi per dovere di cronaca, ma che non mettono mai in secondo piano colei che le ha vissute in prima persona e se questo lavoro risulta intimamente coinvolgente gran parte del merito va dato alla straordinaria interprete, Francisca Gavilàn, che cantando tutte le canzoni, è riuscita a restituire in pieno la complessità della Parra, dando vita ad una performance musicale di ottimo livello. Violeta infatti non è stata solo una donna appassionata, una musicista originale, ma anche la custode della tradizione del folk cileno di cui negli anni ha saputo amorevolmente tracciare una mappa.

In quegli anni il Sud America era davvero un altro mondo, un coacervo di culture, un mix contraddittorio di violenze e speranze, terreno fertile per i nuovi conquistadores e cuore pulsante di quel grande movimento di liberazione che avrebbe coinvolto tutto il mondo. Basti dire che nel 1953, quando la Parra conduceva in radio un programma sul folclore, Ernesto Guevara iniziò il viaggio che lo portò a realizzare sei anni dopo la rivoluzione cubana e a incontrare il futuro presidente cileno, Salvador Allende; apparentemente ai margini della grande storia, così diversa dai quei valorosi guerriglieri, Violeta era invece lì, con la sua voce, la metrica spezzata, la figura poco aggraziata e mentre gli uomini combattevano col fucile, quella piccola donna col tamburo lottava dalla parte degli umili, fiera del suo sangue rosso. Il film allora coinvolge e fa pensare e spinge a compiersi interrogativi pressanti sul valore di certe figure femminili, su quanta forza siano riuscite a trasmettere attraverso la parola e su quanto fragili potessero essere. Perché Violeta componeva per amore. "Si sta facendo tutto nero", dice a Gilbert quando l'uomo le comunica l'intenzione di non restare più con lei. Violeta muore in quel momento e Wood ce lo mostra con pudore.

Movieplayer.it

3.0/5